Ispirato in gran parte all’omonimo romanzo d’esordio di Roberto Perrone (2002), Zamora è il film dell’esordio alla regia di Neri Marcorè. Siamo a Vigevano negli anni 60, Walter Vismara (Alberto Paradossi) vive ancora con i genitori e fa il contabile in un’azienda cittadina. Ragioniere nell’animo, la calcolatrice lo segue ovunque e la sua vita sembra scorrere tranquilla fra lavoro e serate davanti alla tv a indovinare le risposte nel programma a quiz di Mike Bongiorno.

Quando il suo datore di lavoro decide di andare in pensione e di chiudere la ditta, Walter ha l’occasione per il salto di qualità: il commendatore, infatti, lo candida per il ruolo di ragioniere nell’azienda di un amico a Milano.

Il Cavalier Tosetto (Giovanni Storti) sarà il suo nuovo datore di lavoro e lui vuole conquistarne la fiducia per dare al meglio “il là ” alla nuova vita meneghina: tutt’altro mondo rispetto a Vigevano, tant’è che Walter va a vivere da sua sorella Elvira (Anna Ferraioli Ravel), moglie di un agente di commercio sempre in viaggio.

Il Vismara è uomo di numeri, concreto, senza troppi grilli per la testa. Tutto gira attorno a bilanci, dati e andrebbe per il verso giusto se non fosse che il Tosetto non solo tifa Inter (la sua segretaria recita a memoria la formazione della squadra al suo schiocco di dita) ma è letteralmente ossessionato dal “folber ” (il football, secondo un neologismo caro a Gianni Brera) al punto da obbligare i suoi dipendenti ad allenamenti settimanali scapoli contro ammogliati, in vista della partita ufficiale del 1° Maggio. Walter, che considera il calcio uno sport demenziale, si dichiara portiere per la semplice ragione che è l’unico ruolo che conosce e così svolge le sue prime partitelle.

Disastro totale. In ufficio viene deriso dai colleghi e in particolare dall’Ingegner Gusperti (Walter Leonardi) che lo bullizza soprannominandolo Zamora come il fenomenale portiere spagnolo degli anni 30. In più fra il Gusperti e Ada (Marta Gastini), la segretaria di cui Walter si è innamorato, pare esserci del tenero.

Tradito da una parte e deriso dall’altra, il ragioniere escogita un piano per vendicarsi coinvolgendo Giorgio (Neri Marcorè), un portiere caduto in disgrazia che lo aiuterà a districarsi nell’ambiente calcistico, lo allenerà per farlo diventare perlomeno un portiere decente e gli sarà di grande aiuto per dare una svolta alla sua vita.

In questo debutto che è un piccolo gioiello, leggero e insieme profondo, Neri Marcorè è bravissimo a ricreare la Milano del boom economico, che non è ancora quella da bere ma è la città ideale per i lavoratori e per gli industriali. Le scenografie, poi, sono impeccabili, i costumi non fanno una grinza e il cast, anche per quanto riguarda i personaggi minori, è di assoluta eccellenza: ogni attore calza a pennello il proprio ruolo, a iniziare dal protagonista fino al barista/arbitro di calcio Bepi (Giovanni Esposito) che improvvisa il dialetto milanese pur di non farsi scoprire napoletano. Zamora, infine, ha l’indiscutibile pregio di mettere in luce la neonata emancipazione femminile. Lo fa dipingendo donne forti, che degli uomini non hanno bisogno più di tanto.