«Per essere un primo album non è male, ma avevo solo 23 anni quando lo realizzai e sarebbe piuttosto strano se non pensassi di avere fatto cose migliori in seguito». Joe Jackson non ama romanticizzare il passato e non è un nostalgico, ma le canzoni di Look Sharp! devono essergli rimaste nel cuore se è vero che dal vivo è tuttora quello il suo disco “storico ” più saccheggiato dopo Night And Day.

L’allampanato e già stempiato spilungone di Burton-upon-Trent, 70.000 abitanti a poca distanza da Derby, Leicester e Nottingham nel cuore delle Midlands inglesi, ci arrivò forgiato da studi classici di pianoforte e anni di rodaggio trascorsi a intrattenere gli avventori ubriachi nei pub, ad accompagnare un suonatore di bouzouki in un ristorante greco e a fare il direttore musicale al Playboy Club di Portsmouth: esperienze che gli permisero subito di distinguersi dalla massa degli altri giovani arrembanti che si affacciavano sulla scena musicale anche se, forse per l’unica volta in carriera, anche lui entrò subito in sintonia con lo spirito del tempo: «Quel che ci sento ancora oggi è la Londra del 1978. Ero molto influenzato da quel che mi stava succedendo intorno, anche se non avevo i titoli per essere considerato un punk rocker. Ero un pianista innamorato degli Steely Dan, mi interessava il jazz e avevo anche un’educazione classica, e quindi in un certo senso ero un disadattato».

È questo, probabilmente, il motivo per cui Look Sharp! suona ancora, a 44 anni di distanza, così fresco, graffiante, intrigante. Ghigno sardonico e aria sprezzante, Jackson venne subito paragonato agli altri giovani arrabbiati dell’epoca, Elvis Costello e il progenitore Graham Parker, l’unico verso cui ha riconosciuto un debito musicale («Quando lo sentii pensai: cavolo, ecco uno che non sa cantare proprio come me, eppure riesce a fare funzionare quel che fa e a farlo suonare bene. Se ce la fa lui, forse posso farcela anch’io»). Con il 1° condivideva l’amore per le belle melodie e per il pop classico, ma il suo disco di debutto suonava ancora più asciutto e affilato: un quadretto in bianco e nero stiloso come le scarpe bianche a punta con laccio immortalate nell’iconica copertina (sul retro c’è sempre lui, gessato e cravatta a pois, che ti guarda minaccioso puntandoti contro il dito indice).

Ascoltava con attenzione anche il reggae e il rocksteady giamaicano allora in auge in Inghilterra; e da lì prese l’idea di un suono pulsante con la batteria di Dave Houghton e il formidabile basso di Graham Maby (partner musicale di una vita) in primo piano, mentre la chitarra elettrica di Gary Sanford stava più indietro nel mix a fungere da strumento ritmico di supporto e contrappunto «con un sound molto sottile, mentre continua a entrare e uscire di scena con accordi e altri fraseggi. Quello che non volevamo era il tipico suono di una band new wave del ’77 o ’78, con una chitarra alla Ramones che fa continuamente casino lì in mezzo». Così la sua musica respirava di più, non era compressa ma fluttuava diventando plasmabile come plastilina (Jackson lo dimostrerà reinventando continuamente i suoi primi pezzi con nuovi arrangiamenti nel corso dei tour successivi). Aveva trovato un sound, un produttore esperto (David Kershenbaum), una casa discografica che credeva in lui (la A&M del trombettista Herb Alpert e di Jerry Moss) ma soprattutto aveva le canzoni.

La più famosa, Is She Really Going Out With Him?, è ancora tra le più richieste in concerto e la più divertente: un po’ doo wop e un po’ pub rock, un bridge jazzato, un basso felpato che imprime il tono al pezzo rendendolo subito riconoscibile, un dialogo vocale a botta e risposta con la band, un titolo che prendeva spunto dalla celebre Leader Of The Pack delle Shangri-Las e un testo memorabile in cui il protagonista si chiede come la ragazza dei suoi sogni possa andare in giro con un tipo più sfigato di lui. Pubblicato nell’ottobre del 1978, il singolo arrivò al N° 13 delle classifiche inglesi e al N° 21 di quelle americane, sorprendendo lui in primo luogo, che si ritrovò catapultato di punto in bianco tra le “next big things” della musica inglese. Fu un successo anche nelle college radio americane, insieme agli altri 3 singoli estratti dal disco. Il 2°, Sunday Papers, uscì 1 mese dopo l’album, nel febbraio del 1979, ed è tuttora un altro momento irrinunciabile nei concerti: un tagliente, aspro reggae-rock con assolo di melodica alla giamaicana e un’accelerazione rock and roll nel finale, in cui Jackson intinge la sua penna al curaro prendendosela con la tv e i tabloid domenicali inglesi pieni di sciocchezze e di pettegolezzi sui vip, sulla scandalosa vita sessuale di vescovi e politici, su quei pazzi di punk rocker o «su qualsiasi altro stronzo»: “Non ho nulla contro la stampa/non pubblicherebbe queste notizie se non fossero vere ”, cantava con compiaciuto sarcasmo, mentre live ribadiva il concetto stracciando una copia di News Of The World o del Sun.

Un’onda giamaicana più morbida, lenta e flessuosa muove Fools In Love: una delle prime, grandi ballate romantiche e disilluse di JJ che anticipa in qualche modo ciò che verrà e in cui Jackson si riserva uno spazio al pianoforte, mentre un singulto ritmico dispari e spezzato spinge la trascinante title track: una sequenza di stop and go, di fermate e di riprese con raffinate armonizzazioni jazz e l’urgenza ritmica del post punk. Ancora più evidente, quest’ultima, nel parossistico scioglilingua a 100 all’ora di Got The Time: uno sparo di rivoltella, un colpo di frusta, lo scatto di un coltello, una frenetica e ansiogena riflessione sul tempo che fugge e non ti lascia respiro (tanto da convincere una band metal come gli Anthrax a farne una cover nel 1990).

Ipercritico anche con se stesso, Jackson oggi si vergogna di pezzi innocenti come Pretty Girls, ma è troppo ingeneroso: anche il resto dei 36 minuti e ½ di Look Sharp!, intensi e concentrati, regge il colpo, con la disincantata aria sbarazzina di Happy Loving Couples; il groove e il pamphlet anti consumista di (Do The) Instant Mash; il dinamico pub rock con coretti Sixties di Baby Stick Around e il rock and roll incazzato e stridente di Throw It Away: i tasti del piano martellati alla maniera di Jerry Lee Lewis, un’invettiva contro i ricchi che diventano sempre più ricchi e contro il Grande Fratello che ficca il naso nel nostro privato.

9 mesi dopo, con I’m The Man, Joe Jackson confezionerà un 2° abito su misura tagliato dalla stessa stoffa, ma di lì in poi cambierà definitivamente direzione (tornando sul luogo del delitto soltanto nel 2003 con la reunion della band originale per l’album Volume 4 e il tour successivo) iniziando a nuotare contro corrente: anche per questo, quei 2 primi album (e Look Sharp! più di tutti) restano un unicum, insostituibili figli di un tempo e di un luogo dal mood sovraeccitato, piccole meraviglie di scheletrica bellezza.

Joe Jackson, Look Sharp! (1979, A&M)