Rimbalzata sui media a poche ore di distanza dall’annuncio delle morti di SixtoSugar ManRodriguez e di Robbie Robertson, la notizia della scomparsa di David LaFlamme, violinista, cantante e leader degli It’s A Beautiful Day è passata ingiustamente in secondo piano. Ed è un peccato, perché il suo gruppo oggi semi dimenticato ha avuto un ruolo di rilievo nell’evoluzione del San Francisco Sound di fine anni 60, quando i guru della rivoluzione psichedelica in città erano i Jefferson Airplane, i Grateful Dead, i Quicksilver Messenger Service e i Big Brother and the Holding Company con Janis Joplin al microfono.

Come altri gruppi di “seconda fascia ” protagonisti di uno dei momenti più fertili e irripetibili della storia del rock e a dispetto della loro originalità, gli It’s A Beautiful Day erano un prodotto dello stesso humus culturale. Anche loro si erano fatti un nome nelle sale da ballo frequentate dai giovani hippie pacifisti e ambientalisti interessati allo spiritualismo di matrice orientale, al rock, alla poesia beatnik, all’erba e all’LSD, diventando una presenza fissa al Fillmore West del leggendario promoter ebreo-tedesco-americano Bill Graham, loro 1° mentore che risultò fondamentale nel procurargli un contratto con la major Columbia Records; mentre con gli Airplane e con gli altri concittadini Moby Grape condivisero anche il 1° manager, il discusso e spregiudicato Matthew Katz che gli trovò il nome ma con cui – proprio come i colleghi – finirono subito per litigare per questioni economiche e di royalty cercando di liberarsene il più in fretta possibile.

Fu Katz, nel 1967, a mandarli in esilio a Seattle a farsi le ossa, convinto che non fossero ancora pronti a competere con i migliori gruppi di Frisco. E fu proprio lì che dalla penna di LaFlamme e da quella della moglie e tastierista Linda nacque White Bird, il brano che ancora oggi li identifica, la canzone che dopo Get Together di Chet Powers alias Dino Valenti e dopo Somebody To Love degli Jefferson Airplane finì per incarnare nel 1969 lo spirito della già morente Summer of Love. «Vivevamo nell’attico di una vecchia casa vittoriana di Seattle e ci esibivamo regolarmente all’Encore Ballroom», raccontò anni dopo a proposito della genesi della canzone LaFlamme, nativo del Connecticut e personaggio atipico nella emergente scena musicale di San Francisco: convinto patriota e veterano dell’esercito americano con alle spalle studi musicali classici sfociati in un apprendistato presso la Utah Symphony Orchestra; e tra i primissimi a suonare un violino elettrificato (a 5 corde) in un contesto rock prima in una band chiamata Orkustra (ne faceva parte anche Bobby Beausoleil, in seguito diventato tristemente famoso come adepto della Manson Family e tuttora in carcere per omicidio), poi nella prima formazione degli Hot Licks dell’ex Charlatans Dan Hicks.

«Era un tipico giorno invernale a Seattle, fra pioggia e pioviggine, e dalla finestra dell’attico guardavamo la strada che avevamo di fronte» ha ricordato David, suggestionato da quelle foglie spazzate dal vento e da quei cieli minacciosi. «In quell’attico ci sentivamo come degli uccelli in gabbia. Non avevamo soldi, non avevamo mezzi di trasporto, il clima era orribile. Sopravvivevamo solo grazie ai miseri buoni pasto che ci erano stati concessi. Un’esperienza dura e difficile, ma in qualche modo molto creativa». Ne scaturì un poetico e delicato inno alla libertà in perfetta sintonia con i tempi e con gli umori della controcultura giovanile; un’ariosa ballata aperta dalle corde pizzicate del violino con una chitarra acustica e un organo in sottofondo, nobilitata da una bella e sinuosa melodia spagnoleggiante, dall’assolo stridente di LaFlamme e dal duetto vocale in stile Jefferson fra lui e Linda Santos, presenza scenica sexy e autorevole quasi come quella di Grace Slick, perfetto complemento sonoro e visivo al carismatico frontman dai lunghi e lisci capelli biondi.

I suoi 6 minuti abbondanti erano troppi per il format delle radio tradizionali AM, ma calzavano a pennello alle playlist delle nuove emittenti che trasmettevano in modulazione di frequenza: come ha scritto Alec Palao, uno dei massimi esperti e studiosi della scena musicale di San Francisco, diventò impossibile per qualunque frequentatore di Haight-Ashbury e dintorni non imbattersi in quella canzone mossa, esotica e dal tono un po’ enfatico che invitava a volare come quell’uccello bianco che “sogna i pioppi le cui foglie morenti si trasformano in oro ”. Libertà o morte: una dicotomia in cui qualcuno scorse gli ultimi bagliori di vita di quel Sogno Americano alternativo che di lì a poco avrebbe dato origine alla breve utopia della Woodstock Nation. 2 mesi prima del megaraduno di Bethel quel pezzo memorabile, in seguito pubblicato anche come singolo, arrivò nei negozi in apertura del 1° e omonimo album degli It’s A Beautiful Day, custodito in una splendida copertina dipinta da Kent Hollister e che un altro ex Charlatans, George Hunter, aveva ideato ispirandosi a Woman On The Top Of A Mountain, il quadro dipinto nel 1912 da Charles Courtney Curran: immagine perfetta per descrivere quella musica che puntava verso l’alto, verso le cime delle montagne e i cieli solcati da stormi di uccelli, raffigurando una donna d’inizio secolo abbigliata nello stile Western e di frontiera prediletto dalle band psichedeliche di San Francisco.

A White Bird, nell’LP, seguiva Hot Summer Day, l’altra faccia della medaglia: non tanto musicalmente – ancora sapori mediterranei, di nuovo il basso elettrico in primo piano nel mix ma con un sound più blues contraddistinto dalla presenza di un’armonica – quanto nel testo, che descriveva stavolta una torrida giornata estiva trascorsa a rimpiangere un amore scomparso “girando in tondo come un fiume sopra pietre dai colori accesi ”. Restano tuttora i 2 pezzi più famosi in repertorio insieme a Bombay Calling, un’escursione in India dalla melodia orientale e dalla sezione strumentale quasi prog consegnata alla storia per motivi più prosaici: il “plagio” della sequenza melodica e armonica iniziale perpetrato dai Deep Purple per la ben più famosa Child In Time, in parte riconosciuto dallo stesso Jon LordNon avvenne del tutto per caso», ammise l’organista anni dopo. «Mi piace parecchio quella progressione dal sol maggiore al mi minore. Bom-bom-bom») e di cui gli It’s A Beautiful Day si vendicarono copiando deliberatamente un brano della band inglese, Wring That Neck, per un pezzo incluso nel loro 2° album.

David LaFlamme
(1941-2023)

Le immaginarie peregrinazioni del sestetto californiano si spostavano nella vecchia Europa con Bulgaria: onirica, percussiva e più sperimentale. In quel 1° singolo pubblicato già nel 1968, ancora una volta il violino elettrico sostituiva la chitarra come strumento solista principe, mentre la 6 corde di Hal Wagenet conquistava più spazio nell’acido rock blues di Wasted Union Blues (con l’ombra dei primi Airplane alle spalle) e la drammatica Girl With No Eyes sfoggiava le influenze classiche del leader con il clavicembalo di Linda a introdurre un madrigale cantato ancora una volta a 2 voci. Era il titolo che chiudeva una prima facciata più strutturata e modellata sul formato canzone, mentre il 2° lato dell’Lp aperto da Bombay Calling e da Bulgaria, si concedeva all’improvvisazione e a suoni più avventurosi sfociando nei 9 minuti e 42 secondi turbinosi di Time Is, una lisergica danza gitana che scandiva lo scorrere inesorabile e frenetico del tempo fra contrappunti di tastiere, accelerazioni ritmiche e un assolo del batterista Val Fuentes. Colonna sonora ideale per gli sballi lisergici e le danze sfrenate al Fillmore, quando San Francisco era il centro del Nuovo Mondo e la band di LaFlamme sembrava destinata a diventare uno dei simboli della stagione psichedelica.

Invece It’s A Beautiful Day si fermò poco oltre la soglia della Top 50 delle classifiche di Billboard e i dischi successivi non ne replicarono l’ispirazione, spingendo gradualmente il gruppo ai margini della scena. LaFlamme non se ne fece un grande cruccio: «Se avessi continuato a vivere in quel modo», dichiarò nel 2003 in un’intervista pubblicata sul sito web Exposé, «sarei finito come Jim Morrison, facendomi coinvolgere sempre di più in quel tipo di torturati trip personali». È vissuto invece fino a 82 anni, ricostituendo la band nel 2000 con Fuentes e la terza moglie Linda Baker al termine di una lunghissima vertenza legale con Katz e continuando a suonare fino a quando il morbo di Parkinson contratto negli ultimi anni glielo ha consentito.

It’s A Beautiful Day (1969, Columbia)