«Se volete sapere da chi hanno rubato le loro idee ciarlatani da quattro soldi come i Beatles, i Pink Floyd, i Byrds, gli Hollies e i Beach Boys, ascoltate questo disco e mettetevi a piangere». Lo dichiara alla stampa, nel 1985, con evidente gusto del paradosso, il misterioso Sir John Johns, cantante e chitarrista di una altrettanto misteriosa band, The Dukes Of Stratosphear, di cui la Virgin Records pubblica quell’anno una manciata di canzoni che suonano come inedite nuggets degli anni 60, contenute in un Ep dalla coloratissima e psichedelica copertina intitolato 25 O’Clock.

La data scelta per distribuirlo nei negozi, il 1° di aprile, dovrebbe insospettire pubblico e media: come si scoprirà solo più tardi, si tratta infatti di un piccolo e arguto scherzetto architettato dagli XTC, cioè da Andy Partridge (il Sir John Johns di cui sopra), Colin Moulding (nei panni di The Red Curtain) e Dave Gregory (alias Lord Cornelius Plum) affiancati per l’occasione, e in mancanza di un batterista di ruolo, dal fratello di quest’ultimo, Ian, altrimenti detto E.I.E.I. Owen. È un progetto di vecchia data, che risale ai tempi in cui Partridge e Gregory si conobbero a Swindon scoprendo di condividere una smisurata passione per certo psych pop dei Sixties : non solo per le hit pubblicate in quel periodo da artisti famosi, ma anche per singoli e album circolati allora solo nel circuito sotterraneo (Moulding, pur consapevole della loro esistenza, sembrava in quel momento più incline all’heavy rock di Black Sabbath e Uriah Heep). I tempi non sono maturi, e dovranno aspettare una decina d’anni prima di poter rendere omaggio alla musica che ha nutrito le loro fantasie adolescenziali.

The Dukes Of Stratosphear

A quel punto, giocherelloni come sempre, hanno un’idea geniale: perché non confezionare, in luogo del classico album di cover, una collezione di credibilissimi facsimile vestendo i panni di un immaginario gruppo d’epoca? È una mossa vincente, da cui nascono ibride e scintillanti imitazioni che neppure i più sofisticati programmi contemporanei di intelligenza artificiale avrebbero saputo creare con altrettanta efficacia. Ai Chapel Lane Studios situati a Hereford, vicino ai confini con il Galles, i 4 si calano perfettamente nella parte, infilandosi in una capsula temporale che gli consente di tornare indietro di 20 anni. Come cosplayer ante litteram indossano sgargianti abiti paisley e si circondano di candele profumate, mentre il produttore John Leckie asseconda ogni loro più bizzarro desiderio come fosse un novello George Martin. Sono sufficienti 2 settimane di lavoro e 1 striminzito budget di 4.000 sterline (1.000 in meno di quelle messe a disposizione con riluttanza dalla Virgin) per riversare su nastro 26 minuti di musica realizzati perlopiù con apparecchiature vintage e con la massima spontaneità (la regola è di selezionare solo prime o seconde takes).

Il ticchettìo di orologi, il trillare di sveglie e gli squilli di campane a festa che rimbalzano in stereo fra gli altoparlanti nell’introduzione della title track, risucchiano subito l’ascoltatore in quella loro immaginaria venticinquesima ora del giorno: un mondo beat e psichedelico, cartoonesco e in technicolor, in cui Partridge e compagni, collezionisti di 45 giri d’epoca e di fumetti di fantascienza, s’immergono con un entusiasmo quasi infantile mostrando un’attenzione maniacale al dettaglio e una cultura enciclopedica. In 25 O’Clock (la canzone) si assapora il gusto dei migliori singoli underground anni 60 come I Had Too Much To Dream (Last Night) e Get Me To The World On Time dei californiani Electric Prunes, fra atmosfere orientaleggianti, aroma di patchouli e i classici ingredienti sonori del garage rock del decennio: l’imprescindibile fuzz che distorce le chitarre elettriche, il timbro rauco degli organi Farfisa e Vox Continental, i nastri manipolati e riprodotti al contrario, i phaser che filtrano e ritardano l’emissione del suono.

Fra annunci fittizi di disc jockey radiofonici, risate in loop, voci di bimbi, sbuffi di mellotron, assoli concisi di chitarra o di tastiera l’artificio è esplicito, sfacciato, dichiarato, in una girandola di citazioni che rendono l’ascolto ancora più divertente e stuzzicante. La stralunata giostra di Bike Ride To The Moon evoca sin dal titolo i Pink Floyd di Syd Barrett e la White Bicycles dei Tomorrow (il gruppo di Keith West e del futuro chitarrista degli Yes, Steve Howe). Il turbine di suoni di My Love Explodes frulla il riff di Over Under Sideways Down degli Yardbirds con i Pretty Things mentre What In The World, unico pezzo firmato da Moulding e non da Partridge, mescola – secondo quanto spiegherà lo stesso Andy – i Manfred Mann a una mezza dozzina di dischi ECM e ai Beatles del Sottomarino Giallo, di Only A Northern Song e di It’s All Too Much. Your Gold Dress contiene invece «il riff più stupido della storia» e un pianoforte ispirato allo stile di Nicky Hopkins in She’s A Rainbow dei Rolling Stones; il singolo The Mole From The Ministry, che accoppia un’indolente melodia mccartneyana a una citazione di un vecchio brano degli XTC (Life Is Good In The Greenhouse, da Go2), è infine la degna chiusura di un delizioso ed esilarante pasticcio sonoro.

2 anni dopo, nel 1987, i Fab 4 del Wiltshire hanno più tempo a disposizione e apparecchiano 1 album intero che, svelato il trucco, cita gli XTC nelle note di copertina (ringraziandoli per «avere prestato le chitarre») mentre il titolo, Psonic Psunspot, prende a prestito lo strano linguaggio di un altro viaggiatore del tempo, il disneyano Eega Beeva (in Italia, Eta Beta): fra i solchi si annida un’altra sequenza di sfavillanti falsi d’autore che parte con Vanishing Girl, una delle migliori canzoni del repertorio di Moulding stavolta impegnato a ricreare il beat pop solare e gli armoniosi intrecci vocali degli Hollies di Graham Nash, prima che dal magico e ribollente pentolone emergano uno scarto di 25 O’ Clock (il deragliante pastiche di Have You Seen Jackie?, precisa Gregory, centrifuga i Tomorrow, gli Electric Prunes e il Magical Mistery Tour beatlesiano con Ogden’s Nut Gone Flake degli Small Faces, il David Bowie del 1967 e gli Strawberry Alarm Clock); un’outtake da The Big Express (Shiny Cage, guarnita di chitarra acustica e tablas, era stata giudicata troppo harrisoniana e revolveriana per trovare posto in quel disco) e un avanzo da Skylarking (l’incalzante Little Lighthouse, con una tromba spagnoleggiante che ricorda volutamente Conquistador dei Procol Harum).

You’re A Good Man Albert Brown, per cui i Dukes realizzano anche 1 videoclip a basso costo e altrettanto citazionista, è un music hall alla Kinks; e a Ray Davies fa pensare anche The Affiliated, ballata acustica con un inatteso break a ritmo di bossa. Collideascope «suona come i Move che copiano i Beatles» e la marcetta di Brainiac’s Daughter (forse il brano più XTC del disco, che nel titolo omaggia 1 dei nemici storici di Superman) non è meno lennoniana. L’ondivaga You’re My Drug è invece un esperimento di fusione fra Monterey dei New Animals di Eric Burdon e So You Want To Be A Rock And Roll Star dei Byrds; e la conclusiva Pale And Precious (con Sir John Johns alla batteria) suona come un clamoroso inedito dei Beach Boys a cavallo tra la surf music degli esordi e le ambiziose sinfonie tascabili concepite da Brian Wilson per Pet Sounds e Smile.

Non era scontato, ma il gioco funziona anche stavolta e il pubblico – non solo quello inglese, ma anche quello americano – mostra di gradire: se 25 O’ Clock aveva venduto il doppio di The Big Express (il precedente disco a nome XTC), i risultati commerciali di Psonic Psunspots superano quelli di Skylarking, costringendo Partridge ad ammettere quanto sia scioccante «rendersi conto che la gente preferiva queste nostre personalità fittizie a quelle reali». «Stava cercando evidentemente di dirci qualcosa», rifletterà. «Poco male, perché nell’arco degli anni successivi ci saremmo tramutati lentamente nei Dukes». Che non pubblicheranno più nulla, lasciando tuttavia una nitida impronta su album come lo stesso Skylarking, Oranges And Lemons e, in parte, Nonsuch; e salvando la carriera di un gruppo che sembrava ormai bloccato su un binario morto. Grazie a quei divertissement spensierati e ai loro alter ego anni 60 Andy, Colin e Dave avevano ritrovato fiducia in se stessi e il loro fanciullino, scoprendo la loro Pepperland e altre terre fantastiche fra le ciminiere, le officine ferroviarie e la sonnolenta vita di provincia di Swindon.

The Dukes Of Stratosphear, 25 O’Clock/Psonic Psunspot (1985/1987, Virgin)