Il 1° suono che si ascolta su Trouble Bound, in apertura di Hard Line, sono le calde voci dei Jordanairies. Come se invece che nel 1985 fossimo nella seconda metà degli anni 50, quando il gruppo vocale di Springfield, Missouri, iniziava ad accompagnare Elvis Presley in studio di registrazione e nei concerti. Strano ma vero: mentre intorno a loro, a Los Angeles, il garage e la psichedelìa dei Sixties tornavano in auge grazie ai gruppi Paisley Underground e in radio e in tv si sentivano solo synth pop, batterie elettroniche e produzioni bombastiche, i Blasters celebravano ostinatamente l’epopea del rock and roll e il suo spirito originario.

Suoni aspri, vintage e ruspanti. Chitarre, pianoforte, basso e batteria. Giubbotti di pelle e sguardi da duri, basettoni e ciuffi impomatati alla James Dean. Come i “ribelli senza causa“, come la “gioventù bruciata” di 30 anni prima. Non solo quello, in realtà, ma un omaggio entusiasta e sincero a tutta la più genuina American Music a cui 5 anni prima avevano intitolato il loro album di debutto: un fulmine a ciel sereno che sull’altra sponda dell’Atlantico al gallese Shakin’ Stevens aveva fruttato 1 singolo di successo, Marie Marie.

Non erano dei reazionari, e neanche dei nostalgici. Erano soltanto dei giovani uomini sulla trentina che con quella mitologia in testa e fra quei suoni erano cresciuti. Non sotto le luci sfavillanti di downtown Los Angeles ma a Downey, sobborgo situato nell’area sud orientale della contea dove nei tardi anni 50, come ha ricordato il giornalista locale Don Snowden nelle note di copertina dell’antologia Testament, i bulldozer spianarono i vecchi terreni agricoli su cui sorgevano aranceti e alberi di avocado per fare spazio a una città dormitorio popolata da chi lavorava nel centro aerospaziale di Rockwell e nelle acciaierie della zona; nello stabilimento della Ford o nella fabbrica di pneumatici della Firestone. Era il luogo d’origine dei Carpenters, campioni del pop soffice e zuccheroso, ma ospitava anche una scena musicale underground vivace ed esposta ai 4 venti: da Sud e da Ovest, da Compton e da South Central, soffiava il vento del vecchio jazz e del jump blues, del doo wop e dell’r&b; la musica di Big Joe Turner, di Marcus Johnson (bandleader di Jimmy Reed) e del sassofonista Lee Allen, braccio destro di Fats Domino e di Little Richard e loro futuro collaboratore. Da Nord, invece, le sonorità del quartiere chicano e l’Eastside Sound che negli anni 60 era diventato un fenomeno locale mischiando voci doo wop e ritmi Motown al garage rock e al beat della British Invasion.

Phil Alvin (voce e chitarra ritmica, una carriera da insegnante con un master in matematica e in intelligenza artificiale); il fratello minore Dave (autore di canzoni e «chitarrista da bar» secondo una sua stessa e molto ingenerosa definizione); John Bazz (basso) e Bill Bateman (batteria) erano sbocciati e cresciuti su quel terreno fertile, si erano irrobustiti suonando a più non posso nel circuito dei club locali ed erano finiti alla indie Slash Records distribuita da Warner Bros. dopo avere rubato il nome alla band di Jimmy McCracklin (i Blues Blasters) e avere esordito per la ancora più piccola Rollin’ Rock di Ronny Weiser specializzata in rockabilly. Un genere vetusto ma in pieno revival (anche sulla East Coast, con gli Stray Cats), che i 4 masticavano da sempre e che conviveva bene con lo spirito della scena post punk californiana: stessa filosofia del “fai da te”, identico approccio sbrigativo, simile attitudine a una musica svelta, concisa, frenetica e suonata a tutto volume.

I Blasters, che sapevano infiammare i vecchi classici con baldanza giovanile e con la furia tipica di quegli anni, avevano delle armi in più. La voce duttile e tutto sommato “classica” di Phil, singhiozzante e modulata come quella di un crooner, potente e selvatica come quella di uno shouter. La chitarra tagliente e soprattutto il talento autoriale di Dave, che in Hard Line si applicava a uno spettro sempre più ampio di musiche antiche e contemporanee: Elvis Presley (il doo wop classico e irresistibile di Help You Dream, ancora con i Jordanaires) e i Creedence Clearwater Revival; il cajun della Louisiana (Hey, Girl, con chitarra acustica e fisarmonica) e l’heartland rock da America profonda di John Mellencamp, fan dichiarato che su richiesta della casa discografica offrì alla band una canzone inedita nel suo tipico stile, Colored Lights, con l’intento di aiutarli a fare breccia nelle radio e nel mercato dei grandi numeri.

Jeff Eyrich, contrabbassista e produttore che aveva già diretto in studio i conterranei Plimsouls e Gun Club, li convinse a smagrire il suono (niente più sezione fiati) rendendolo più quadrato e affilato, ma per fortuna senza snaturarlo. In studio, a LA e a Nashville, vennero in soccorso i vecchi amici, come loro frequentatori assidui dei piccoli nightclub disseminati sul Sunset Strip di Hollywood. John Doe degli X, futuro compagno di Dave nei Knitters, diede una mano al minore degli Alvin nella scrittura di un paio di pezzi: Little Honey, una storia di ardente gelosia accompagnata da una melodia folk appalachiana con David Hidalgo dei Los Lobos al mandolino; Richard Greene, la leggenda del bluegrass, al violino; Larry Taylor (ex Canned Heat) al contrabbasso e Stan Lynch degli Hearbreakers di Tom Petty alle percussioni; e Just Another Sunday, un rock sferzante e chitarristico fra Mellencamp e John Fogerty che raccontava di weekend infernali vissuti in solitudine fra le 4 mura di un motel scalcinato mentre la tua ragazza aggancia il telefono ogni volta che provi a chiamarla.

Tra scazzi e litigi sempre più frequenti, i 2 fratelli sembravano in effetti guardare in direzioni diverse. Phil, che l’anno dopo avrebbe sfogato le sue passioni per il jazz, il jump, il jive, la musica fiatistica e gli spiritual con l’album solo Un “Sung Stories”, riarrangiava con le belle e potenti voci dei Jubilee Train Singers il celebre gospel intitolato Samson And Delilah, nel repertorio anche dei Grateful Dead. Nel mentre, Dave assumeva la statura di un vero songwriter raccontando frammenti realistici di vita americana suburbana. La propensione a cacciarsi nei guai di chi la notte vuole sfogare le frustrazioni e le fatiche di una giornata di duro lavoro (la già citata Trouble Bound: tutta stop e riprese, con un gran riff di chitarra alla Eddie Cochran, la voce gorgheggiante di Alvin sr. e il piano boogie woogie del “quinto BlasterGene Taylor, anche lui per breve tempo nei Canned Heat).

Dave e Phil Alvin
© Jeff Fasano

L’aria bollente del Sud degli Stati Uniti che in Dark Night penzola in aria come un uomo morto”, mentre una cieca violenza xenofoba esplode in uno sparo nel buio durante una notte minacciosa e calda come quella dell’Ispettore Tibbs (aperta da una chitarra tremolante alla Pops Staples, è una ballata elettrica con l’atmosfera e il suono delle cose più cupe e pungenti dei Creedence Clearwater Revival: piacerà molto anche a Robert Rodriguez e a Quentin Tarantino, che la selezioneranno per la colonna sonora del film Dal tramonto all’alba). Il ritratto di un politico infingardo che non è nato in una umile capanna e non ha combattuto in guerra ma che ha imparato a sorridere, a citare Abramo Lincoln e a fingersi amico della gente comune (Common Man, il pezzo più cattivo e incalzante in cui Dave prende spunto dai racconti amari e disillusi del padre sindacalista). I sogni di gloria rock and roll destinati inesorabilmente a spegnersi di chi ha avuto “quasi una hit ” prima di tornare a suonare nei piccoli locali di provincia: Rock And Roll Will Stand, un inno a tutti quelli che ci hanno provato e non ce l’hanno fatta e che ricorda i Blasters dei vecchi tempi, quelli dell’album omonimo e di Non Fiction.

Una parabola in cui potranno in parte riconoscersi anche loro, che con Hard Line non andranno oltre il N° 86 della classifica di Billboard senza farsene un cruccio, dato che la musica l’hanno sempre vissuta come una necessità espressiva più che come un mestiere. Dave se ne andrà subito dopo per seguire una strada ricca di soddisfazioni artistiche (compreso un Grammy Award) se non commerciali. Phil, negli anni afflitto da crescenti problemi di salute, terrà in vita il gruppo a intermittenza e con alterne fortune fino a oggi (accogliendo di tanto in tanto il fratello fuggiasco come ospite speciale).

Percepibili solo conoscendo a posteriori i retroscena, le loro divergenze artistiche e le loro tensioni personali sono probabilmente uno dei segreti della vitalità e del dinamismo di un disco che quando uscì sembrò presagire alla band californiana un futuro luminoso. Non sarebbe andata così, anche se come ogni esemplare parabola americana che si rispetti anche quella dei fratelli Alvin avrà il suo lieto fine: una riappacificazione suggellata da 1 disco e 1 tour in coppia (con la band dei Guilty Ones) di cui anche noi in Italia siamo stati testimoni poco meno di 10 anni fa.

Blasters, Hard Line (1985, Slash)