Da lunghissimi, imperterriti anni l’Inferno è solo un grande paesaggio brullo e polveroso. Infatti Satana se n’è andato: si è stabilito sulla Terra, abbandonando i vecchi locali.
È vuoto l’Inferno, tutto spento: senza più baldoria di peccati e vendette. Adesso la perfezione del Male è in Terra.
L’identikit della malvagità ha per connotati un paio di corna adunche, gli occhiali neri da sole e un ghigno felice. Perché i diavoli amano il fuoco quanto amano l’Inferno e cercano di ricreare il loro habitat naturale incendiando e abbrustolendo: così (dopo aver sparpagliato benzina in abbondanza su alberi, palazzi, macchine, uomini, edicole, chioschi, cravatte, lasagne, contadini, psicologi e calzette) gettano cerini accesi per strade e continenti, suscitando esplosioni molto concitate. Ma soprattutto ustioni. E sangue. E roghi incandescenti, sterminati, luccicanti!
«Che belli!», esclamano i demoni eccitati. E intanto il mondo si consuma, piagato di fiamme.
«Evviva!», esultano i diavoli, che per non abbagliarsi osservano le vampe attraverso lenti scure. Nel frattempo, scambiandosi sorrisi soddisfatti, si scuotono per le corna con gesti d’allegria.
«Ah, magnifico: che fuoco stupendo!», e si baciano in volto, mentre sulle loro guance la pira immensa che la Terra sta diventando, provoca un sudore denso, mellifluo, pesante.
La perversione eclettica di questi mostri incalliti, non conosce limiti. Ed è cinica, spietata. Si son portati dietro, ad esempio, le anime dannate. E non sapendo dove metterle, le hanno crocifisse per le mani e per i piedi alle rocce dei monti, servendosi di grossi chiodi arrugginiti e sporgenti. Che utilizzano poi come comodi appigli, quando decidono (per tenersi in forma) di farsi una gitarella per le Alpi arrampicandosi qui e là. Ed ecco allora demoni atletici e scalatori che si issano su per cime e vette, aggrappandosi saldamente ai chiodi per l’appunto, ma anche (se capita ed aiuta) alle braccia, alle gambe e alle teste dei poveri spiriti, appesi e trafitti.
Dal canto loro le città e le campagne, popolate da rari superstiti, sfuggiti al falò in cui la Terra gradualmente si converte, sono invase da particolari demoni, muniti di patente. È possibile vederli, pimpanti e spigliati, alla guida di buffi furgoncini piccoletti, ciascuno dei quali dotato di un rimorchio scoperto e angusto. Nonché stracolmo d’anime peccatrici che, simili per consistenza – non per forma – a fragili e friabili nembi temporaleschi, gemono di dolore ininterrotto, dal momento che lo spazio insufficiente e stretto le stritola senza tregua. Son talmente pigiate e compresse, che alcune scoppiano. E dai loro corpi eterei, esplosi e sbrindellati, subito fuoriesce il male che han compiuto prima di morire. Si tratta (cosa orrenda) di un liquido ingannatore che sgorga e sprizza – sotto forma di sangue melmoso – con lo stesso impeto epilettico dei fulmini e che, a dispetto del colore cupo e deforme, spande intorno un profumo dolce: la tentazione.
I demoni patentati, dai cattivacci che sono, scarrozzano quest’aroma traditore, imbroglione e ciarlatano in giro per cascine, paeselli, piazze, viali, boschi diroccati dal fuoco e metropoli.
Così facendo, oltre a raggiungere il loro scopo (turbare le narici degli uomini ancor vivi), ottengono pure di creare, come corollario imprevisto e inevitabile, un traffico eccessivo e intenso di furgoncini ingorgati. Nelle file immobili, che intasano specialmente le città, resta qualche volta imprigionato Satana stesso, al volante del suo camion personale (essendo il re dei diavoli, ha preteso per sé un furgone un po’ più grande, per portare le anime a spasso).
Ebbene, mentre aspetta che la circolazione riprenda e si sblocchi, egli si guarda intorno dai finestrini e gioisce per il trionfo del Male (ovunque demoni che incendiano e distruggono, uomini che cedono alla tentazione!). Giocondo e contentone, scatena il suo entusiasmo premendo sul clacson. E quando il traffico ricomincia a muoversi, non trascura d’investire qualche pedone, tanto per procurargli una fine crudele, dolosa e compiaciuta.
Da secoli, dunque, l’Inferno è un vacuo paesaggio, dove il termine “vacuo” sta a significare “brullo e polveroso”.
Tra le ceneri dei fuochi eterni, estintisi per sempre, sorgono ora conventi di monaci emigrati. Infatti solo all’Inferno c’è adesso la tranquillità, adatta agli esercizi spirituali: e i frati han deciso di trasferirsi allora, e di traslocare le loro masserizie liturgiche proprio lì, nelle bolge deserte. Dove trascorrono i giorni vestiti del saio, tenendo la speranza stretta nel cuore… e nella dolce, inutile preghiera.
© Pietro Pancamo
Poeta, novelliere, editor professionista, Pietro Pancamo è nato a Cuneo nel 1972. Suoi testi sono apparsi sul Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, la Repubblica, La Stampa, Poesia (Crocetti Editore), Atelier, Gradiva, Poetarum silva, Carmilla, Il Ridotto, Il Paradiso degli Orchi, FantasyMagazine, IF. Insolito & Fantastico, Vibrisse, El Ghibli, Cronache letterarie, Scriptamanent (Rubbettino Editore), Suite Italiana, Diogen (rivista di Sarajevo, fra le più importanti d’Europa). Cura la sezione poesia del mensile italo-olandese Il Cofanetto Magico, conduce la rubrica letteraria (Pod)cast away su Maratea Web Radio. Oltre ad aver fondato e diretto il portale culturale L(‘)abile traccia (citato nel 2007 in un volume della Zanichelli), è stato direttore editoriale della rivista internazionale Niederngasse, caporedattore per la poesia dell’e-zine Progetto Babele, redattore di Viadellebelledonne (blog letterario fra i più seguiti in Italia).