Basterebbe già solo il ritmo di marcetta militare di 50 Ways To Leave Your Lover di Paul Simon (quel geniale modo d’intervenire creando un controcanto ritmico indimenticabile, offrendo alla canzone quel “quid ” che la rende un capolavoro) per definirlo il Maestro della batteria. O ancora il tempo di Chuck E’s In Love di Rickie Lee Jones, Livin’ It Up di Bill La Bounty, Nite Sprite di Chick Corea, Not Ethiopia degli Steps, The Hustle di Van McCoy, Just The Two Of Us di Grover Washington…
Che piaccia o no, ci troviamo al cospetto di colui che ha elevato la percussione a espressione d’arte pura. Sì, perchè quello che è Steve Gadd per la batteria è stato Albert Einstein per la fisica: colui che ha rivoluzionato il concetto di ritmo, di accompagnamento, di musicalità applicata a uno strumento negletto. Obietterete che ci sono stati batteristi altrettanto influenti, come ad esempio Buddy Rich (che però ha sempre difettato di gusto e viveva un egocentrismo malato), Max Roach (un intellettuale troppo distante dalla massa), Elvin Jones (istinto puro, cavallo di razza impossibile da domare), Tony Williams (genio precoce, troppo in anticipo sui tempi), Jack DeJohnette (finissimo tessitore di trame complesse, non alla portata del grande pubblico), Paul Motian (il trionfo della poesia, del “less is more “, del dialogo), Billy Cobham (tecnica spaventosa, ma con cadute di gusto imbarazzanti). La questione, però, è un’altra: chi di loro ha realmente indicato la via, lasciando tracce di stile riconoscibili nel suono di chi è arrivato dopo di lui? Uno solo, Steve Gadd.
Steve Gadd
Fin dai primi passi mossi a Rochester con Chick Corea e i fratelli Mangione, Steve denota una personalità dirompente: non è mai un batterista banale, bensì l’elemento fondamentale per conferire un tocco di classe al brano. Dal suo arrivo a New York, poi, diventa il re delle sale d’incisione… e fra gli anni 70 e gli anni 90 è presente in almeno 8 dischi prodotti su 10. Suona con tutti e tutti vogliono il suo tocco, quei toms pieni, quel rullante rotondo, quella cassa secca, quei piatti imperiosi, quell’hi-hat unico e inimitabile con cui creare fills e paradiddles al fulmicotone. Da Frank Sinatra a Paul McCartney, da James Taylor a Dave Grusin, da Quincy Jones a Carla Bley, tutti si sono avvalsi del suo tocco. E batteristi quali Dave Weckl, Vinnie Colaiuta, Steve Smith, Dennis Chambers, Joel Rosenblatt e Gary Novak gli devono tutto, ben consci che Steve ha aperto la strada a un nuovo modo d’intendere il drummer e interpretare lo strumento.
Ascoltate ad esempio Three Quartets di Chick Corea, dove la parte di batteria viene concepita come una linea melodica di musica da camera e, permettetemi, nessuno poteva eseguirla se non Steve Gadd. Non solo ci vuole totale aderenza alla musica, ma consapevolezza di trovarti di fronte a una partitura che ti obbliga a dettare il ritmo, a interagire in special modo con il sax di Michael Brecker e a dialogare alla pari con il contrabbasso di Eddie Gomez, che diverrà il partner privilegiato di tutta una carriera.
La grandezza di Steve è certamente frutto della sua innata modestia. Scevro da egocentrici personalismi, ha pubblicato per la Hudson Music la sua biografia, A Life in Time, scritta con Joe Bergamini e ricca di aneddoti, partiture, trascrizioni, fotografie e interventi dei musicisti con i quali ha condiviso la sua vita artistica. Nel libro non mancano parole d’elogio per chiunque lo abbia chiamato a suonare: alcune commoventi e toccanti, come il ricordo dedicato a Chick Corea; o la parte riservata a Michael Brecker, al quale vengono dedicate pagine che ben sottolineano cosa significhi la parola amicizia. E si rivela autocritico, l’ottimo Gadd, quando riconosce che talvolta le sue produzioni solistiche non sono state all’altezza della sua fama… ma una famiglia da mantenere è pur sempre un impegno da non trascurare.
Da The Boys From Rochester fino all’ultima incisione con la big band tedesca WDR e in compagnia dei vecchi sodali Eddie Gomez e Ronnie Cuber, Steve ci offre una panoramica sulla vita e la carriera di un musicista votato alla ricerca di un “suo ” suono, di come impreziosire la partitura che di volta in volta è stato chiamato a eseguire. Emblematiche, in tal senso, le parole dedicate all’incisione di She Was Too Good To Me di Chet Baker:
“Avevo una paura folle. Perché mai un trombettista così raffinato, elegante, lontano anni luce dal mio stile, un mito del jazz che tutti amiamo e adoriamo chiede proprio me alla batteria? La risposta me la diede proprio Chet, dicendo che suonavo e portavo il tempo come nessuno altro. Voleva che gli fornissi quel sostegno per potersi esprimere al massimo delle sue possibilità”.
A Life in Time ci rivela come Steve Gadd sia rispettato e tenuto in considerazione da tutta la comunità musicale. Pensate che in Giappone è talmente celebre da essere il testimonial di una nota marca di whisky… Un libro come questo si legge tutto d’un fiato ed è per noi italiani motivo d’orgoglio quando nel ricordare le sue innumerevoli collaborazioni il batterista si sofferma su Pino Daniele affermando quanto fosse “un musicista geniale, una persona deliziosa, un grandissimo autore che manca alla canzone di oggi ”.
Steve Gadd è stato ed è la batteria. Leggerlo è come ascoltarlo suonare: una gioia che si rinnova, un’esperienza indimenticabile.