“So may we start? It’s time to start…”. 19 aprile 2022: sono vivaddio ripartiti, i Mael Brothers, dalla tournée annullata 2 anni orsono. Avrebbero dovuto promozionare dal vivo A Steady Drip, Drip, Drip (24° album in discografia incluso FFS coi Franz Ferdinand) che non ha per nulla sfigurato accanto a Kimono My House, Propaganda, N°1 In Heaven o Lil’ Beethoven, ma la pandemìa s’è messa di traverso e Ron & Russell hanno atteso con serafico aplomb tempi migliori e adesso sono qui, nel 9° arrondissement di Parigi, a suonare la carica.
Sugli Sparks la cornice si confà “comme il faut” dispensando il glamour tardo ottocentesco del Casino de Paris, che non è una casa da gioco bensì una “sala delle feste” o “sala di spettacolo”. La tappa nella Ville Lumière che segue il giro di concerti negli Stati Uniti (debutto alla Walt Disney Concert Hall nella natìa Los Angeles) e le date britanniche del tour, ha oltretutto un gusto particolare: i 5 César vinti, incluso quello per la miglior musica originale assegnato ai 2 american/mitteleuropei per Annette, la colonna sonora del film/musical diretto da Leos Carax e interpretato da Marion Cotillard e Adam Driver.
Quindi possiamo iniziare? Certo che sì. Dall’incipit a effetto di So May We Start, mirabile movie theme che è insieme composizione fra le più riuscite del repertorio sparksiano: le tastiere di Ron Mael a dettarne le coordinate, la voce in falsetto di Russell Mael a plasmarne l’anima … et voilà: è un ineffabile crescendo a orologeria. Spalleggiati da un quintetto senza macchia e senza paura (chitarra solista + chitarra ritmica + basso + batteria + tastiere), il teatralmente accigliato Ron e il cabarettisticamente iperattivo Russell (78 e 74 anni portati in maniera egregia) propongono altri 2 estratti da Annette: la romantica We Love Each Other So Much e l’operistica Aria (The Forest) affidata al soprano Catherine Trottmann.
Ciò che vuole e deve essere anzitutto evidenziato in questo live act è il proverbiale eclettismo sparksiano, capace di spaziare “in souplesse” dal glam/art rock al technopop; dalla musica da camera alla bubblegum music; dal music-hall alla computer music. Quando Russell racconta alla platea il flop discografico degli Halfnelson, la necessità di mutare nome in Sparks, l’importanza di un produttore come Todd Rundgren e poi parte un gioiellino come Wonder Girl, si comprendono le meraviglie che si paleseranno negli anni a venire, ben presenti nelle 2 ore a perdifiato del concerto parigino: dal rock senza compromessi di This Town Ain’t Big Enough For Both Of Us, all’estetizzante Never Turn Your Back On Mother Earth; dal cameristico minuetto di Under The Table With Her, alla moroderiana The Number One Song In Heaven; dalla cabarettistica Get In The Swing, al crooning danzereccio di When Do I Get To Sing “My Way”.
© Eleonora Tarantino
E quando, di nuovo Russell, si mette a narrare di Igor Stravinsky che azzardò un blitz nella pop music ma temendo per la propria reputazione tornò precipitosamente alla classica, ecco Stravinsky’s Only Hit ovvero i maiuscoli Sparks del nuovo millennio replicabili nel repertorio di Li’l Beethoven con la folgorante sequenza di I Married Myself, The Rhythm Thief, My Baby’s Taking Me Home + una sorprendente Suburban Homeboy nella versione “Ron Speaks”.
Al termine dell’esibizione, a mò di bis, i versi che recitano “While others may have so much more to say / Each street we walk on’s Les Champs-Elysées” illuminano l’orecchiabilità melodica di All That, la gemma pescata da A Steady Drip, Drip, Drip. Ed è come sentir gridare dagli astanti, gioiosamente, in coro: Parbleu! Lunga vita agli Sparks!