Il giornale mi aveva affidato una specie di inchiesta sui gatti, ma non quelli normali. Il caporedattore voleva storie di gatti speciali: “Da mito!“, esclamò. “Dei quali te ne ricordi dopo anni e ne racconti le imprese a tutti gli amici!“.
Francamente non sapevo dove sbattere la testa. Poi, inatteso, il colpo di fortuna. Il signor Arnaldo, il giornalaio sottocasa, sentita la mia richiesta si grattò un momento nella barba e poi venne fuori così: “Se le interessa, c’è mio cugino che ha un gatto davvero speciale…“.
“Speciale come?“.
“Viene dall’Asia. È una bestia che mangia soltanto pesce vivo tuffandosi nell’acqua dalla barca e nuotando sott’acqua va a cercarsi il suo pesce che si mangia dopo essere risalito a bordo“.
“Sì, sì, mi interessa. Dove abita suo cugino?“, gli domandai subito.
“Il Rodolfo, che sarebbe poi mio cugino, sta di casa sul Po, dalle parti di Piadena. Se vuole ci telefono. Così lui l’aspetta a casa sua un giorno preciso. Vive solo, ma è sempre contento quando qualcuno lo va a trovare“.
Avevo preso l’appuntamento di domenica, con arrivo previsto nella tarda mattinata. Rodolfo Cordelli, cugino dell’Arnaldo, il giornalaio, abitava a poche centinaia di metri dalle basse rive del grande fiume. Era un ex marinaio in pensione che aveva girato i mari di mezzo mondo e ora si godeva, si fa per dire, la pensione nella fattoria ereditata dai suoi vecchi. Si trattava di una solida casotta di campagna, bianca di calce e con le persiane verdi. Un pergolato le correva tutt’intorno. Un archetto di mattoni rossicci ingentiliva l’insieme. Sotto l’archetto mi aspettava il signor Cordelli, in camicia bianca e pantaloni blu. Era un uomo sui sessantacinque anni, alto e magro. Ossuto, direi, ma dall’aspetto forte e gradevole. Nel volto rugoso e abbronzato risplendevano due occhi azzurrissimi. Mi raccontò subito che veniva da oltre trent’anni di ininterrotta navigazione sulle rotte dell’Estremo Oriente. Possedeva una bella voce della bassa con forti innervature delle pianure emiliane.
Si era intorno a mezzogiorno e il signor Cordelli mi invitò alla sua tavola, già apparecchiata al centro del cortile. Mangiammo ravioloni di zucca e un luccio del Po. Bevemmo un vino rosso cupo e corposo che andava giù senza parlare, ma che poi esplodeva nello stomaco.
“È sangue della Bassa“, rise il signor Cordelli.
Poi si volse verso il verde. Si girò di nuovo e mi disse: “Eccolo là ! È lui, Singapore“.
Se ne veniva pigro dal fondo della corte. Aveva un mantello grigio-azzurro simile al piombo, ma molto più vivo. Gli occhi erano tondi e azzurrissimi, come quelli del suo padrone. Appariva magrissimo e di taglia piccola. Giunto sotto la mia sedia mi annusò con cura il risvolto dei pantaloni. Quindi mi gettò un’occhiata in volto, strizzò gli occhietti e si sedette composto.
“Gli va a genio, altrimenti se ne sarebbe scappato in casa“.
“Sono qui per conoscere la storia del suo gatto“, esordii subito. Temevo di addormentarmi senza sentire l’argomento per il quale ero venuto fino a lui. Quel suo vino sanguigno cominciava a picchiarmi in testa.
“Lui si chiama Singapore, però è di Bangkok. È un gatto di una specie che vive sul delta del fiume Mekong. L’ho chiamato così perché la Encounter Bay faceva la rotta Singapore-Venezia. Per farla breve salpammo da Singapore l’undici giugno di quattro anni fa. Era il mio ultimo viaggio. Poi veniva un’inutile vecchiaia da pensionato. Primo attracco Bangkok. Là esiste un mercato sull’acqua della laguna detto “floating market“. È un semplice mercato come i nostri. L’unica differenza è costituita dalle barche a fondo piatto che sostituiscono le nostre bancarelle. Ogni barca è abitata da un gruppo familiare. Ogni barca ha un gatto di questa specie…”, e indicò con la mano Singapore che sonnecchiava accanto alla sua sedia.
“Sono gatti di razza tailandese, tutti uguali, e servono per tenere lontani i grossi topi di laguna che infestano quelle acque sporche. Non vi può assolutamente essere più di un gatto per ogni barca. Guai! Si sbranerebbero fino alla morte di uno dei due se spuntasse un secondo gatto a bordo. Questo è il motivo per cui mi rifilarono il qui presente Singapore quel giugno di quattro anni fa. Era tanto piccolo che mi stava comodamente nel palmo della mano. Il vecchio merciaio Mung, capo famiglia, me lo rifilò specificando che mi avrebbe portato fortuna. Così minuscolo e indifeso come si presentava faceva tanta tenerezza e me lo portai a bordo, nascosto sotto il giubbotto. Sembrava più un topino che un gatto e teneva il codino sempre teso, con quei quattro peli che si ritrovava dritti dritti a ricordare lo spazzolino per resentare le bottiglie“.
Rise piano spingendo di nuovo la manona a cercare il muso del gatto. Singapore levò il capo, a occhi chiusi, lasciandosi carezzare tra gli orecchi.
“Non sto a dirvi le traversie e i sotterfugi per far viaggiare il clandestino a bordo dell’Encounter e poi scivolarle tra le maglie della Dogana di Genova all’arrivo. Sta di fatto che adesso è dove lo vedete. Ha quattro anni e gode di ottima salute. Ma non è stato sempre così. I miei guai cominciarono subito dopo l’arrivo. La bestiola cresceva miserina perché non mi mangiava. Beveva, più acqua che latte, ma non mangiava nulla. Nessun tipo di carne, salame, formaggio o altro che gli proponevo davanti. Non parliamo dei cibi in scatola. Strappava via la testa disgustato. Neanche il veterinario, per dire, riusciva a capirci qualcosa. Allora rammentai di un fatto curioso, delle gare di pesca che i bangkokiani fanno loro fare nei giorni di festa. Li gettano ripetutamente in acqua ed ogni volta gli animali riemergono con un pesce tra i denti. Alla fine della gara pesano il pescato e vince il gatto che ne ha tirati fuori di più. Il vincitore si becca, per premio, un bel pescione lustro e vivo. Credetti di avere capito. Corsi subito al fiume, il Po sta a cento metri, dove ho una barca attraccata a un moletto. Filai da un pescatore mio amico e mi feci regalare un paio di arborelle. Le esibii sotto il naso di Singapore. Macchè. Torse appena il muso e se ne andò. Passarono ancora dei giorni e la povera bestiolina pareva che dovesse morire da un momento all’altro. Allora io che cosa faccio?! Lo prendo sottobraccio e me lo porto al fiume. E via con la barca al largo. Seguivo un istinto, non sapevo nemmeno io il perché. Ma ecco che lui comincia ad annusare l’aria, a guardare l’acqua. Pare che gli piaccia navigare sul grande fiume. D’un tratto si sporge dallo scalmo e guarda diritto in giù, nell’acqua verde che profuma di pesce.
“Occhio che ci crolli dentro se ti sporgi così“, gli dico io.
Non faccio in tempo a finire la frase che, pluff! È già dentro l’acqua. Ma non è caduto, ci si è buttato d’istinto! Ne sono sicuro. Blocco subito il moto con i remi e fisso il pelo dell’acqua. Non si vede un bel niente. Poi, dentro un mazzetto di schiuma, ecco che ti compare la sua testina. S’aggrappa alla murata, ma non riesce a salire. Perciò mi sporgo e lo tiro in secca. Tra i denti aguzzi stringe un bel cucciolo di pesce gatto! Mica un’arborella che sono capaci tutti. Lui è andato a prendersi il pesce gatto, lo squaletto di fiume, che si dibatte ancora! Lo posa sul fondo, gli preme sopra una zampa e poi se lo mangia in quattro bocconi. Non resta che la spina lunga. Stampato sul muso bagnato ci leggevo una soddisfazione senza fine. Da allora, almeno tre volte la settimana ce ne andiamo insieme a pescare sul fiume“.
Fra i romanzi di Sergio Cioncolini pubblicati da Pendragon ricordiamo Il cortile del diavolo (2011), I giorni corti (2012), Andava a veder morire i piccioni (2014), L’albero delle bionde (2015), Un’isola sottovento (2016), Un coltello di ceramica verde (2018) e Danni Collaterali (2019)