Art Ensemble of Chicago (AEOC) at Bergamo Jazz Festival, March 20, 1974, Teatro Donizetti Nella foto, da sinistra: Joseph Jarman, Don Moye, Lester Bowie, Malachi Favors, Roscoe Mitchell.

Nella mia vita ho conosciuto una gran quantità di persone innamorate del jazz. E a lungo andare ho scoperto che quasi tutti si ponevano dei limiti, s’inventavano dei confini oltre i quali tendevano a non andare, perché si trattava di territori musicali che non riuscivano a riconoscere come l’oggetto del loro amore. Qualche eccezione mi è capitato di trovarla (non molte); ma nessuno mi è parso “più eccezione” di Roberto Masotti. Come spiegarmelo? Non è semplice, forse perché i motivi sono parecchi e variamente connessi tra loro. Innanzitutto la musica in genere – e il jazz in particolare – riguarda il senso dell’udito, ma anche quello della vista e più ampiamente il corpo, i suoi movimenti e la ricettività emotiva. Poi il lavoro del fotografo si pone problematicamente dinnanzi alla musica: non si limita a guardarla e a testimoniarla attraverso l’obiettivo, ma deve anche frugare nei suoi spazi e nei suoi tempi, per produrne un’immagine significante. Altrimenti si riesce solo a banalizzare nell’istante del “clic” quello che qualsiasi spettatore ha già sperimentato nel suo continuum. C’è infine una terza spiegazione storico-biografica: Masotti ha cominciato la sua avventura di fruitore e testimone negli anni in cui il jazz viveva la sua fase più esplosiva: dal free all’elettrico, per arrivare fino ai più arditi sperimentalismi delle avanguardie al di là e al di qua dell’Atlantico. Gli anni, cioè, in cui nessuna etichetta (e neanche la parola jazz) era gradita ai musicisti e nessun confine veniva considerato invalicabile.

Dunque il suo amore per il jazz frantuma davvero tutte le barriere, non si pone alcun limite e già molte volte, attraverso mostre e pubblicazioni, il fotografo ravennate ne aveva dato prova. Ma questo libro ne è una conferma all’ennesima potenza e contemporaneamente coglie di sorpresa anche chi lo conosce da sempre: se non altro per l’originalità e la raffinatezza della proposta editoriale. Jazz Area è un libro dal profumo artigianale: carta nera porosa, brevi testi e foto stampate in inchiostro argento. Il titolo non è nuovo: richiama una mostra commissionata a Masotti dal Comune di Pavia nel 1999 e poi riproposta a Ruvo di Puglia, al Lingotto di Torino, a Nimes (in Francia), Monza, Mantova, Trento e Bergamo. Ma qui si va oltre lo spirito della mostra e si sottolinea anche attraverso i testi la dimensione autobiografica, le diverse esperienze personali, segnalate anche attraverso le numerose sezioni (personaggi, strumenti, gruppi, momenti colti sul palco o in studio di registrazione).

Il sottotitolo del volume è “la mia storia con il jazz”: si è scelto consapevolmente la preposizione “con” piuttosto che “per”; ma si poteva scegliere anche “dentro”, perché da diversi decenni Roberto è davvero presente all’interno di questo fenomeno musicale e della sua straordinaria evoluzione. Basta ripensare alla sua collaborazione con il mensile Gong e all’attenzione che per primo (almeno in Italia) ha dedicato in quegli anni all’emergente musica improvvisata europea. L’amore per il jazz era già nato da tempo, ma è soprattutto da quei fatidici Anni ‘70 che il suo lavoro va ben oltre il compito del fotografo e si arricchisce con progetti e intuizioni uniche. Impossibile dimenticare quante sorprendenti invenzioni visive sono contenute nella fortunata impresa You Turned The Tables On Me (con esposizioni in numerose città europee) e quante sue immagini siano diventate copertine discografiche del prestigioso catalogo ECM. Da allora i percorsi professionali di Roberto Masotti e della moglie Silvia Lelli hanno continuato a valicare ulteriori confini, raccontando le nuove esperienze della musica colta contemporanea e i molti anni di collaborazione con il Teatro alla Scala di Milano. E dal settembre scorso, l’archivio privato Lelli & Masotti ha ricevuto il meritato riconoscimento da parte del Ministero dei Beni Culturali per la sua particolare importanza storica.

Per queste ragioni (e forse anche per molte altre) sfogliare lentamente le spesse pagine di carta nera e soffermarsi sulle oltre 250 foto, sulla forza espressiva di quei gesti, è un viaggio attraverso mezzo secolo di storia, un’emozione estetica senza confronti che può diventare ancor più completa se accompagnata dalle musiche che sono in qualche modo corrispondenti a quelle immagini. Un’esperienza multisensoriale, che può aprire le porte del jazz anche a chi quelle porte non ha mai provato a varcare.

Roberto Masotti, Jazz Area. La mia storia con il jazz, Seipersei, 160 pagine, € 40

Foto: Art Ensemble of Chicago, Bergamo Jazz Festival, Teatro Donizetti, 20/3/1974, da sinistra: Joseph Jarman, Don Moye, Lester Bowie, Malachi Favors, Roscoe Mitchell
Dewey Redman, Bergamo Jazz Festival, 1977
Company Week, ICA, Londra, maggio 1977, da sinistra: Derek Bailey, Maarten Altena, Lol Coxhill, Steve Beresford, Anthony Braxton, Tristan Honsinger, Han Bennink, Evan Parker, Leo Smith, Steve Lacy
Helen Humes, Montreux Jazz Festival, 1974
Thelonious Monk, Milano, Conservatorio, Festival del Jazz, 1971
© Roberto Masotti