Nel 1976 Richard Thompson e sua moglie Linda sono «sperduti nel Suffolk rurale», come lui stesso ricorda nella recente biografia Beeswing. I Fairport Convention, il folk-rock, la mia voce. 1967-75, scritta con Scott Timberg ed edita in Italia da Jimenez. Vivono «in un antico casolare con il tetto di paglia nei pressi del villaggio di Hoxne», davanti a un laghetto con 5 anatre. Allevano polli, coltivano l’orto, crescono 2 figli piccoli e praticano il sufismo cui sono dediti già da un paio di anni. Hanno abbandonato il music business, non incidono più dischi, non tengono concerti (e Richard, per “purificarsi”, preferisce costruire frecce per il suo arco e altri manufatti piuttosto che imbracciare la chitarra).

Richard Williams, A&R della Island Records che sta per tornare alla vecchia professione di giornalista musicale, si chiede in che modo chiudere le pendenze contrattuali con la coppia cui nel frattempo il manager Jo Lustig ha già procurato un contratto con la Chrysalis (in attesa che i 2 tornino sui loro passi). E gli viene in mente un’idea brillante: pubblicare, al posto di un “best of” o di un “greatest hits” (successi da riproporre, d’altronde, non ce ne sono), una raccolta di rarità e di inediti, una compilation di “scarti” di studio e di registrazioni dal vivo che offra un ritratto diverso, ma accurato, dell’artista. Così facendo, in sostanza, anticipa di anni il lavoro di sfruttamento degli archivi a cui oggi le case discografiche ricorrono continuamente, riesumando bonus tracks per le loro ristampe e confezionando box set retrospettivi.

Chiamato a collaborare assieme al fonico John Wood, Thompson dà il suo benestare e anzi contribuisce al progetto con 2 strumentali nuovi di zecca, registrati il 15 marzo del 1976 negli studi londinesi di Basing Street ed eseguiti con una Martin acustica (il suo mullah giudica sconveniente che suoni uno strumento elettrico): Flee As A Bird, un tradizionale concepito per i balli in stile clog-dance, e la medley The Pitfall/The Excursion (su cui sovraincide anche parti di mandolino e di dulcimer appalachiano) sono piccoli esercizi folk di buon gusto ma senza troppe pretese; uniche nuove composizioni incluse nel doppio album che esce nei negozi il maggio successivo con il titolo di (guitar, vocal) e che Universal Music ha da poco ristampato su doppio vinile 180 grammi rimasterizzato dallo specialista Andy Batt utilizzando un nuovo transfer della matrice originale (la confezione contiene anche una download card).

Richard & Linda Thompson

Sono tutt’ora gli unici 2 brani irreperibili altrove, mentre il resto è stato ripubblicato nel tempo in cofanetti e ristampe che hanno un po’ intaccato il valore dell’originale facendoci dimenticare come, all’epoca della sua uscita, quell’album divenne subito un capitolo essenziale della discografia del musicista londinese, che qui riassumeva le sue credenziali, chitarra e voce: strumentista sublime, prima che cantante ancora un po’ incerto e quasi controvoglia, con un’anima elettrica e rock and roll impressa nel DNA ben prima che vi facessero breccia il folk e la musica tradizionale.

Ordinato in sequenza cronologica, il doppio Lp lo illustra in maniera inequivocabile fin dai pezzi (quasi la metà: 6 su 13) dedicati alla prima parte di carriera trascorsa con i Fairport Convention. Time Will Show The Wiser, che apre la scaletta, è l’unica canzone tratta da un album ufficiale, il 1° e omonimo del gruppo datato 1968: scritta da Emitt Rhodes, figura di culto del pop psichedelico americano dei Sixties, con la sua esecuzione a 2 voci (Ian Matthews e Judy Dyble), il suo guizzante arrangiamento chitarristico e i suoi profumi flower power ci rammenta perché all’inizio i ragazzi di Muswell Hill vennero definiti «la risposta inglese ai Jefferson Airplane». In Throwaway Street Puzzle, lato B del 45 giri Meet On The Ledge; e in Mr. Lacey, ripresa da una session radiofonica per la BBC, la voce femminile è quella ben più autorevole e carismatica della straordinaria Sandy Denny, ma la musica conserva un’impronta statunitense: versante blues, un genere pochissimo frequentato dai Fairport che qui lo condiscono con aromi dylaniani e con un tocco di scanzonata, quasi parodistica leggerezza.

Con The Ballad Of Easy Rider, scritta da Roger McGuinn con l’aiuto proprio di Bob Dylan e registrata dai Byrds per la colonna sonora del film di Dennis Hopper, le cose si fanno decisamente più serie: la voce lirica e ariosa di Sandy e i misurati fraseggi di Thompson alla Gibson Les Paul arricchiscono una versione rallentata e maestosa che non ha nulla da invidiare all’originale, nel momento in cui i Fairport si preparano a voltare definitivamente pagina (in quello stesso periodo, estate del 1969, stanno registrando i pezzi di Liege And Lief, l’album con cui inventano il British folk elettrico: inevitabile che quella cover venga estromessa dalla sequenza finale del disco).

Anche per i Fairport folk rockers del 1970 (quelli di Full House, con la Denny e il fondatore del gruppo Ashley Hutchings già fuori dai giochi) gli States rimangono comunque una terra promessa; e proprio da un’esibizione in un tempio della musica californiana d’epoca, il Troubadour di Los Angeles, proviene una rauca versione dal vivo di Sweet Little Rock’N’Roller, classico di Chuck Berry che il quintetto rinforzato dal violino di Dave Swarbrick esegue nei primi mesi del 1970 con ribalda, divertita e alcolica esuberanza. Intanto Richard è già passato alla Fender Stratocaster, con cui regala nella tetra Poor Will And The Jolly Hangman 1 dei suoi assoli più aspri e travolgenti, pungente controcanto strumentale al macabro racconto di un’impiccagione: sarà Thompson stesso, in aperto contrasto con il produttore Joe Boyd, a insistere testardamente per escludere una delle sue composizioni migliori del periodo da Full House, perché profondamente insoddisfatto della sua performance vocale. Tornerà sui suoi passi solo nel 1975, riregistrandola con Linda ai cori negli stessi studi, i Sound Techniques di Londra, dove 5 anni prima i Fairport avevano inciso la traccia base rimasta nel frattempo intatta.

Agli anni trascorsi a fianco della moglie è dedicato il resto del programma. Ed è proprio la voce sottilmente nervosa e carica di spleen britannico dell’allora signora Thompson l’assoluta protagonista di A Heart Needs A Home, una di quelle assorte e sconsolate ballate thompsoniane del “periodo sufi” in cui non è chiaro in quale amore, terreno o divino, cerchi conforto il protagonista: ancora più bella, rispetto alla versione pubblicata nel 1975 sull’album Hokey Pokey, in questa alternate take lievemente più elettrica e arrangiata (con chitarra, basso elettrico, batteria, piano e harmonium). Accompagnate da una sola chitarra acustica, le voci della coppia scarnificano l’anima soul di The Dark End Of The Street aggiungendosi alla miriade di artisti che, da James Carr in poi, hanno interpretato il capolavoro scritto da Dan Penn e da Chips Moman con una versione registrata dal vivo alla Queen Elizabeth Hall di Londra nell’aprile del 1975, mentre pochi mesi dopo, il 27 novembre al Politecnico di Oxford, alzano al massimo i cursori degli amplificatori per lanciarsi assieme alla sezione ritmica dei Fairport (Dave Pegg al basso, Dave Mattacks alla batteria) e al fisarmonicista John Kirkpatrick in una ringhiosa e liberatoria It’ll Be Me, un altro rock and roll d’annata imparato ascoltando sul grammofono di casa il vecchio 45 giri di Cliff Richard con gli Shadows.

Dai nastri di quello stesso concerto, registrato con lo studio mobile 24 piste della Island, affiorano anche i 2 pezzi forti dell’antologia, sacre reliquie che consolidano la presenza di Thompson nell’Olimpo dei migliori chitarristi del rock: sono 2 lunghissime e improvvisate esecuzioni, tra i 12 e i 13 minuti abbondanti di durata, di Night Comes In e di Calvary Cross, trasfigurate rispetto alle versioni di studio e da cui Thompson «estrae le viscere» (la definizione è di Williams) abbandonandosi a una sorta di trance: strutturate in modo analogo, iniziano lentamente e in tono sommesso per aumentare progressivamente d’intensità e sfociare in un climax febbrile, come una danza da derviscio o una salita al Golgota, prima di calare nuovamente di volume e polverizzarsi nell’etere. Rinunciando a virtuosismi appariscenti e a scale veloci, Thompson usa la Stratocaster per tessere un’inesorabile ragnatela di note taglienti, ripetute e marziali che Kirkpatrick contrappunta con la sua fisarmonica a bottoni mentre il basso di Pegg e la batteria di Mattacks ne seguono telepaticamente le traiettorie imprevedibili e tortuose. Le corde della Fender sanguinano e si aggrovigliano, prima di aprirsi alla catarsi. E quei 25 minuti restano tatuati nella mente di tanti appassionati: 2 anni prima era uscito il capolavoro I Want To See The Bright Lights Tonight, ma sarà proprio (guitar, vocal), come scrive il giornalista e autore Patrick Humphries nella biografia Strange Affair, a segnare “il vero inizio del culto di Richard Thompson”.