È senza dubbio Pinocchio il film delle festività natalizie. Matteo Garrone ha provato a ridare vita al romanzo per ragazzi Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, scritto nel 1881 da Carlo Lorenzini in arte Collodi, affidandosi a un cast d’altissimo livello: Federico Ielapi è Pinocchio (il piccolo attore ha già recitato in Quo vado?, nei Moschettieri del Re e nella fiction Don Matteo); un eccezionale, commovente Roberto Benigni interpreta Geppetto (incarnava invece il burattino nel film da lui girato nel 2002); Massimo Ceccherini e Rocco Papaleo indossano i panni del Gatto e della Volpe; Gigi Proietti recita nel ruolo di Mangiafuoco. Dietro la macchina da presa, Garrone ha voluto accanto a sé professionisti con cui aveva collaborato in occasione di Il racconto dei racconti – Tale of Tales (2015) e Dogman (2018): il costumista Massimo Cantini Parrini, lo scenografo Dimitri Capuani, il compositore Dario Marinelli, il direttore della fotografia Nicolaj Brüel e il montaggista Marco Spoletini.
C’erano insomma tutti i presupposti per fare di questo Pinocchio un film d’eccellenza, eppure… Inutile che vi racconti la trama anche se i più giovani, magari influenzati dalla filmografia Disney, rimarranno sorpresi nel constatare come alcuni dei personaggi differiscano da quelli dei loro ricordi: l’empatico Mangiafuoco, che starnutisce ogni volta che si commuove, è ad esempio indimenticabile.
Curatissimo nei dettagli, altrettanto rispettoso nei riguardi della fiaba collodiana, Pinocchio rimanda in ogni sequenza alla tradizione italiana; e guardandolo riaffiora immediatamente alla memoria lo sceneggiato televisivo Le avventure di Pinocchio diretto nel 1972 da Luigi Comencini. Sono gli effetti speciali, invece, la scelta più azzardata di Garrone che rinuncia quasi del tutto al digitale basandosi su maschere e costumi. Il regista romano ha probabilmente voluto concentrare l’attenzione sulla storia anziché sulle magie visive; ma il profondo rispetto per il testo originale pare essere l’altrettanto profondo limite di questo film. Operazione comprensibile, ma troppo evidente, al punto da sacrificare la godibilità di tutto l’insieme. Osservando attentamente Pinocchio, sembra di essere tornati al 1984 di La storia infinita di Wolfgang Petersen o al filone fantasy del Fantaghirò di Lamberto Bava (1991-1996). Cosa peraltro interessante per chi ne ha ricordo, ma invece anacronistica per chi è nato dagli anni 90 in poi. Trovo difficile che un bambino di oggi riesca ad apprezzarne appieno le peculiarità.
C’è poi mancanza di vivacità e a tratti un po’ di noia. Anche i personaggi potenzialmente divertenti non riescono, talvolta, a sottrarre la pellicola alla monotonìa. Peccato davvero, dal momento che gli attori sono più che ragguardevoli e la storia scorre in piacevolezza, ma senza alcun accento che strappi un sorriso o una lacrima. Difficile, infine, apprezzare la cosiddetta morale della favola e la metamorfosi del protagonista da burattino a bimbo, in questo che sembra voler essere solo un “consegnare alla storia” il Pinocchio marchiato Garrone.
Foto: © 01 Distribution