Diretto e sceneggiato da Simone Bozzelli, al debutto sul grande schermo, Patagonia racconta di Yuri (Andrea Fuorto), un ragazzo cresciuto dalle zie in un paesino dell’entroterra abruzzese. Alla cassa della macelleria di famiglia, Yuri non nutre grandi aspettative: trascina un’esistenza infantile, con la zia che ancora lo assiste mentre fa il bagno, ma la sua curiosità nei confronti del mondo e di tutto ciò che di diverso vede transitare sotto ai suoi occhi aumenta ogni giorno di più.

Al compleanno del cugino incontra Agostino (Augusto Mario Russi), l’animatore della festa, che è tutto quello che Yuri vorrebbe essere: libero, con un’infinità di piercing e di tatuaggi; un tipo che si sposta al volante di un camper che gli fa anche da casa. Decide di seguirlo facendogli da assistente e insieme si mettono a viaggiare animando le feste per i bambini. Al contrario di Yuri che non vede l’ora di crescere, Agostino è cresciuto ma non ne vuole sapere di diventare adulto: teorizza il dolce far niente come stile di vita, girovaga sul camper, è un egocentrico narcisista che con gratificazioni, punizioni e tante piccole molestie morali guida Yuri in questa avventura.

E quest’ultimo, un po’ alla volta, inizia a identificarsi nei desideri di Agostino al punto da farli propri. Il sogno è andare insieme in Patagonia dove tutto scorre libero e felice; ma quando raggiungono un campo rave, Agostino decide di fermarsi e fra droghe e incontri più o meno infelici Yuri si ritrova di nuovo senza obbiettivi da raggiungere. Con Agostino, ormai, i rapporti si fanno sempre più tesi e lui non è più il ragazzino del primo incontro. Non gli resta che imparare l’esperienza della scelta, sapendo che quest’ultima implica sempre una perdita. Anche della libertà.

È un film drammaticamente crudo, Patagonia. Un pugno allo stomaco dello spettatore che assiste impotente a tutte le vessazioni subite dal protagonista, chiedendosi fino a che punto può spingersi la manipolazione dell’animo umano. Una buona prima prova, che lascia indubbiamente il segno.