Pubblico intergenerazionale (anche se, ovviamente, in prevalenza over 50), tante magliette che evocano immagini e tour memorabili, molti irriducibili e qualche curioso. A 2 anni di distanza dalla data programmata del concerto dei Nick Mason’s Saucerful of Secrets, il popolo floydiano si è dato appuntamento domenica sera nel giardino della Palazzina di Caccia di Stupinigi, la meravigliosa residenza sabauda ubicata 10 chilometri a Sud Ovest di Torino, costruita nel ‘700 su progetto dell’architetto Filippo Juvarra e dal 1997 dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO che in queste settimane ospita il festival musicale Sonic Park. La pandemìa ha rinviato di 2 anni un tour europeo che dopo Regno Unito, Scandinavia, Europa dell’Est ed Europa Centrale è sbarcato per 2 date in Italia (la sera precedente al Lucca Summer Festival) e che ora prosegue tra Svizzera, Germania e Spagna per concludersi in Portogallo il 13 luglio 2022 (da settembre sono in programma concerti negli Stati Uniti).

Non ci sono le folle oceaniche che salutano normalmente l’arrivo di Roger Waters o di David Gilmour, gli ex compagni di band di cui Nick Mason, anti rock star per antonomasia dall’aspetto ordinario e dimesso, non possiede il carisma e l’ambizione. La produzione dello show è decisamente più modesta, le sue intenzioni completamente diverse ma stuzzicanti e originali: proporre al grande pubblico contemporaneo, giovane e meno giovane, il repertorio meno celebrato e conosciuto dei Pink Floyd, quello antecedente al 1973 e alla popolarità planetaria conseguita a The Dark Side Of The Moon, anche se in una scaletta leggermente rimaneggiata rispetto agli esordi nel 2018; e ai 5 concerti italiani dell’anno successivo, trova ora posto la versione integrale di Echoes, 1 dei brani più amati dai fan di lunga militanza che viene eseguito prima dei bis e a cui il nuovo tour è intitolato.

È una scelta coraggiosa, impegnativa e molto apprezzata dal pubblico torinese, che le riserva l’applauso più caloroso della serata e una standing ovation, dopo che sulle sedie in platea molte teste hanno ondeggiato a ritmo e qualcuno si è prodotto in assoli di air guitar o in rullate di batteria con invisibili bacchette: impeccabile l’esecuzione, anche se è impossibile togliersi dalla testa le immagini di Pompei e dalle orecchie le voci di Richard Wright e di David Gilmour, che la eseguirono insieme anche durante il tour di On An Island. Tanto che viene da pensare che quella del chitarrista, che da allora ha deciso di non suonarla più ritenendola legata indissolubilmente alla presenza del compianto tastierista, sia la decisione più sensata.

Nick Mason

Un altro brano ripescato da Meddle e scelto per aprire la serata, One Of These Days, è a sua volta un crowd pleaser, un pezzo che tutti riconoscono dal 1°, inconfondibile rintocco di basso (che Guy Pratt inizia a suonare dietro le quinte) che lo apre dopo ¼ d’ora di voci e di soundscapes diffusi dagli altoparlanti e che hanno preparato al clima del concerto. All’inizio il suono non soddisfa, almeno dalle postazioni dietro al mixer. Sottile, tenue, metallico, freddo, impastato nonostante gli sforzi della band in cui il 78enne Mason si prodiga al massimo delle sue attuali possibilità dietro la sua batteria a doppia cassa e il tastierista Dom Beken manovra anche effetti e basi agendo da sound designer, mentre l’ex Blockheads Lee Harris (l’idea dei Saucerful of Secrets è nata grazie a lui, puntualizza subito Nick) e Gary Kemp intrecciano le chitarre fra assoli, accordi, delay e distorsioni. E la mente degli Spandau Ballet si divide le parti vocali con Guy Pratt, bassista istrionico che si prende in tutti i sensi il centro della scena forte dei galloni conquistati sul campo (tanti tour con i Floyd e con Gilmour, oltre che con i Roxy Music, con Madonna e con Michael Jackson).

Dallo stesso album proviene anche Fearless, ballata inconfondibilmente watersiana (anche se firmata a 4 mani con Gilmour) aperta e chiusa dai cori preregistrati dei tifosi del Liverpool che cantano You’ll Never Walk Alone, mentre Mason approfitta delle pause per evocare il suo 1° concerto italiano nel 1968C’era qualcuno, tra voi? Forse, come me, non ve lo ricordate») e raccontare, con il suo tipico humour e il suo inappuntabile aplomb i problemi di censura in cui il gruppo incorse nel 1967 con le colorate pilloline psych pop Arnold Layne e Candy And A Currant Bun (titolo originale: Let’s Roll Another One, rolliamocene un’altra), lato A e lato B del 45 giri che nel marzo del 1967 segnò il debutto discografico dei Pink Floyd e di cui la BBC non gradì i riferimenti testuali al travestitismo, al sesso e alle droghe. Ora non fanno più paura a nessuno e i Saucerful of Secrets sembrano divertirsi parecchio a riproporne le strambe e accattivanti melodie mentre sugli schermi alle loro spalle, tra dischi rotanti, fiamme e altre grafiche tipicamente 60s appare il volto del loro autore, Syd Barrett.

«L’uomo senza il quale noi non saremmo qui», si premura di ricordare il batterista dei Floyd, cui va riconosciuto il merito di tenerne viva la memoria, riconoscendone l’importanza cruciale e riportando in vita un repertorio che nessuno dei presenti ha avuto mai modo di ascoltare dal vivo: nessuno prima dei Saucerful of Secrets, rimarca Nick («neppure gli Australian Pink Floyd, o i Brit Floyd o i Transilvanian Pink Floyd»), ha mai eseguito su un palco l’acidissima Vegetable Man mentre solo qualche fortunato reduce del 1967 ricorderà di avere ascoltato Barrett e la band eseguire Lucifer Sam, un surf rock tenebroso e impasticcato che qualcuno ha descritto come «una versione sinistra di Duane Eddy». Lì in mezzo la band ci infila una bella, corposa e moderna medley electro-funk tra Obscured By Clouds e When You’re In, gli strumentali che aprivano la colonna sonora del film La Vallée e che qui si aprono con sibilanti suoni sintetici, come a rimarcare che i 5 non vogliono riprodurre con precisione didascalica i modelli originali ma prendersi anche delle libertà: per esempio, affidando alla acustica di Kemp la frase melodica più famosa di Atom Heart Mother, in una versione liofilizzata e schiacciata a sandwich in mezzo a una If divisa in 2 parti. Manca l’orchestra, mancano l’impatto e lo sviluppo epico dell’originale, sopravvive il dialogo chitarra-tastiera di Funky Dung ma la platea ringrazia per l’opportunità di riascoltare una composizione amatissima dai seguaci della prima ora, ma detestata tanto da Gilmour che da Waters (per una volta d’accordo almeno su un argomento).

Sono una strana creatura, i Saucerful of Secrets: unico caso al mondo di cover band in cui suona un componente originale e storico di un gruppo, che pur non essendone quasi mai autore, quelle canzoni le ha viste nascere e svilupparsi mettendoci la sua firma con un drumming ispirato al jazz e alle big band. Ha tutto il diritto, insomma, di dire la sua e di prendersi scherzosamente qualche piccola rivincita, come quando prima di Set The Controls For The Heart Of The Sun rivendica finalmente la possibilità di avvicinarsi al mitico gong che ai tempi d’oro era esclusivo appannaggio di Waters: soprattutto se con i compagni di band ne sfodera una versione stordente, potentissima, ultra psichedelica e dal crescendo fragoroso che non ha nulla da invidiare a quelle proposte dal bassista e che, in termini di pathos e intensità oltre che di volume, rappresenta probabilmente il culmine assoluto dello show.

Nick Mason’s Saucerful of Secrets: Lee Harris, Gary Kemp, Nick Mason, Guy Pratt, Dom Beken

Poco prima i SoS avevano servito anche un bel ricordo di Richard Wright, imbastendo una bella e rispettosa versione della nostalgica Remember A Day (gli storici segnalano che i Pink Floyd la eseguirono dal vivo una volta soltanto in carriera mentre Gilmour l’ha cantata alla tv inglese nel 2008 in sua memoria), mentre il 2° set parte in quarta con i viaggi interstellari e la esoterica filastrocca di Astronomy Domine, un altro classico barrettiano in cui Kemp «da New Romantic si trasforma in dio del prog rock» (parole di Mason) dialogando alla chitarra con Harris. Come urla Pratt prima di attaccare The Nile Song e dopo avere rammentato di averla ascoltata la prima volta sulla compilation Relics (comprata «perché costava la metà degli altri dischi del gruppo»), i Pink Floyd amavano anche il rock and roll e i Saucerful of Secrets ce lo ricordano pestando duro nel rabbioso pezzo ripreso da More (1969) come nei riff di Childhood’s End, che con la romantica e sognante Burning Bridges porta a 4 i ripescaggi da Obscured By Clouds, sottovalutato dalla critica ma evidentemente molto amato dal batterista.

I 20 minuti abbondanti di Echoes chiudono il programma principale, mentre nei bis un sintetico edit del brano che dà il nome alla band si apre con il “pandemonio sincopato” e le inconfondibili rullate di Mason per sfociare nell’inno arioso di Celestial Voices. Allentano la carica epica di A Saucerful Of Secrets 2 schegge del Barrett più giocoso, eccentrico e innocente, il singolo da Top Ten See Emily Play e Bike: qui, più che i Pink Floyd, sembra di ascoltare i Blur; e forse è un segnale messo lì apposta per ricordare come il Diamante Pazzo abbia influenzato decenni di musica britannica e come i Saucerful of Secrets siano un progetto scanzonato e all’insegna dell’understatement, senza la pretesa di conquistare i titoli dei giornali, riempire gli stadi e viaggiare per il mondo a bordo di un jet privato. Il loro è un back to the basics: un divertimento intelligente, curioso, lontano dalla seriosità che siamo soliti associare alla musica dei Pink Floyd. Consapevole dei suoi limiti, del suo ruolo e della sua storia, Mason non avrebbe potuto giocarsi meglio le sue carte.

SETLIST

Set 1: Soundscapes, One Of These Days, Arnold Layne, Fearless, Obscured By Clouds, When You’re In, Candy And A Currant Bun, Vegetable Man, If, Atom Heart Mother, If (Reprise), Remember A Day, Set The Controls For The Heart Of The Sun.

Set 2: Astronomy Domine, The Nile Song, Burning Bridges, Childhood’s End, Lucifer Sam, Echoes.

Encore: See Emily Play, A Saucerful Of Secrets, Bike.