Si può incidere Kind Of Blue (1959) in jeans, giacca di velluto con le frange, stivali in camoscio e occhiali da sole con la montatura esagonale? No. Ci si può presentare all’Isle of Wight Festival del 1970 in un completo sartoriale italiano, camicia bianca immacolata, cravatta e scarpe inglesi? No. Si può duettare con i migliori rappresentanti della scena hip hop con un golf in cashmere, pantaloni di velluto e stivaletti? No. Tranne che per quell’autentico maestro di stile chiamato Miles Davis (1926-1991), attento come pochi altri alle sollecitazioni che il mondo al di fuori della musica (il cosiddetto costume) periodicamente indicava.
Miles Style: The Fashion Of Miles Davis, il libro scritto dall’ex discografico e poi produttore cinematografico Michael Stradford, è un fantastico saggio su come il trombettista americano sia riuscito a essere, oltre che Maestro capace di rivoluzionare il jazz almeno 5 volte in carriera (dal cool all’hip hop), anche maître de l’élégance grazie alle sue fantastiche mises. Miles Davis, infatti, ha saputo essere un modello per i suoi contemporanei anche in fatto di abbigliamento, orologi, automobili.
Fin dagli esordi nel bop accanto a Charlie Parker, quando indossava abiti molto larghi, spesso doppiopetto, ai quali abbinava scarpe di manifattura italiana, ha sempre saputo vestirsi secondo i dettami della moda, spesso anticipandone tendenze e utilizzi. Non a caso, quando suonava con Parker sfoggiava al polso un orologio Omega d’oro con cinturino in coccodrillo in sintonìa con l’abbigliamento elegante e formale allora in voga. Miles Style si sofferma infatti sulle relazioni esistenti fra l’abbigliamento utilizzato nel corso della sua carriera e la musica da lui eseguita. Analisi che ci trova concordi nel sottolineare come anche il modo di vestirsi abbia giocato un ruolo fondamentale nel trasformare Davis in una star di prima grandezza e in un modello di riferimento seguito da milioni di afroamericani.
Miles Davis nel 1955
Dal bop passiamo alle incisioni con Gil Evans. Quindi, camicie button down o pullover dolcevita sulle tinte del grigio, abbinati a pantaloni con le pinces; o i più informali chinos, con stivaletti Clarks o calzature inglesi. Il periodo del 2° quintetto, quello con Herbie Hancock, Wayne Shorter, Ron Carter e Tony Williams, lo vede invece sfoggiare abiti di sartoria “made in Italy” gessati o scuri, scarpe inglesi e cravatte ugualmente italiane, per poi esplodere nel periodo rock con un look bizzarro (forse per accattivarsi le simpatie di quegli afroamericani che preferivano seguire Jimi Hendrix, James Brown e Sly & the Family Stone): capigliatura afro, occhialoni giganti, giacche multicolori in camoscio o in velluto su jeans a zampa d’elefante e stivaloni con la zeppa. Oppure, negli ultimi anni, camicioni afro su pantaloni dalla larghezza imbarazzante e sabeau ai piedi.
Miles era un eccentrico dandy che amava vestirsi secondo i propri gusti e non le mode del momento, che comunque seguiva per tenersi aggiornato. Stesso discorso per gli orologi, di cui era compulsivo collezionista: suo nipote, Vince Wilburn, ha confermato che possedeva svariati Rolex fra cui un cronografo Daytona realizzato apposta per lui sul prototipo destinato a diventare il famoso modello Paul Newman con quadrante nero, ghiera e bracciale in acciaio; diversi Omega fra i quali lo SpeedMaster creato in occasione dello sbarco sulla Luna; alcuni Cartier, Jaeger-LeCoultre, Audemars Piguet, Breitling… Il must dell’alta orologeria svizzera.
Come se non bastasse, Miles Davis era un appassionato di automobili come Jaguar, Porsche, Aston Martin. In particolare quelle sportive, ma non disdegnava le berline dal design inconfondibile: a Parigi, durante le registrazioni della colonna sonora del film noir Ascensore per il patibolo di Louis Malle, girava a bordo di una Citroen Ds del 1955, mentre quando era in Italia non vedeva l’ora di mostrarsi alla guida di un’Alfa Romeo o di una Ferrari. La passione per queste ultime (ne ha possedute vari modelli) lo ha portato addirittura all’arresto, picchiato a sangue da un fin troppo zelante agente della stradale che lo ha fermato alla guida della sua fiammante Dino intimandogli di scendere, perchè «Un negro può solo averla rubata!».
Il trombettista jazz seduto sul cofano della sua Lamborghini Miura, 1970
Era raffinato in tutto. In ogni singolo aspetto della vita quotidiana: beveva solo acqua minerale Perrier, fumava sigarette Lucky Strike che accendeva con il Cartier e quando sceglieva lo champagne, era esclusivamente Moët & Chandon. Uomo dai gusti decisi, li traduceva nella propria ricerca musicale fatta di note eleganti, armonie sinuose, melodie dal fascino senza tempo. C’è un episodio, nel libro, riferito alle registrazioni di Sketches Of Spain (1960): Miles chiede a Gil Evans dove ha comprato la camicia che indossa e il pianista gli risponde: «Da Macy’s, tranquillo… È una comunissima button down di Brooks Brothers!».
Sempre e comunque elegante, era figlio della buona borghesia nera: suo padre era un dentista affermato, il primo in famiglia ad aver conseguito una laurea. Fino all’ultimo giorno della sua vita si è circondato di cose belle, di oggetti griffati, esclusivi, mai banali, capaci di esaltarne la dirompente personalità. Ci è riuscito alla perfezione, tant’è che continueremo a ricordarlo non solo per l’immortale musica ma anche per il gusto personale, originale, di certo non dozzinale e in sintonìa col personaggio Miles. Che il “principe delle tenebre” non si vestisse ai grandi magazzini, è appurato.