L’incipit di Midnight In Paris è piuttosto allarmante: in un rapido montaggio appaiono le più sfavillanti immagini della capitale francese e lo spettatore è preso dal timore di un nuovo spot turistico: come quello che ha irrimediabilmente segnato Vicky Cristina Barcelona (2008). Ma stavolta è il segnale sonoro a evitare che la situazione precipiti: su quelle immagini patinate parte l’inconfondibile sax soprano di Sidney Bechet e subito si prova la strana sensazione di uno spostamento temporale, qualcosa che disorienta e affascina: quella sonora, non è la Parigi che vediamo. Bechet, mitico “neworleansiano ” innamorato della Ville Lumière, ci riporta al jazz degli anni 20, proprio dove vorrebbe tornare il protagonista Gil (un magnifico Owen Wilson), giovane scribacchino di sceneggiature che vorrebbe trovare l’ispirazione per dare forma a un vero romanzo.

Tutto però congiura contro l’aspirante scrittore americano: la fidanzata petulante, che pensa solo al successo a Hollywood e lo tradisce con un amico pedante che pretende di fare da guida alla coppia; e i genitori di lei, perfetti esemplari di americani ignoranti e reazionari. Il povero Gil cerca di evitarli con lunghe passeggiate notturne nella sua adorata città ideale. E a mezzanotte in punto si compie ripetutamente il miracolo: in una stradina buia passa una vecchia auto d’epoca e lo trasporta in straordinarie “feste mobili ” dove incontra Zelda e Francis Scott Fitzgerald, T. S. Eliot, Ernest Hemingway, il torero Belmonte, Pablo Picasso, Henri Matisse, Salvador Dalí, Luis Buñuel, Man Ray, Cole Porter, Josephine Baker e Gertrude Stein, che legge il suo manoscritto e gli dà preziosi consigli.

È il pretesto per esilaranti sequenze di gag e cammei interpretativi di gran classe (esemplare la Stein di Kathy Bates). Fra tanti personaggi illustri, il nostro protagonista incontra anche una ragazza della provincia francese, Adriana (Marion Cotillard), che è una “groupie ” di questi artisti ma soffre del medesimo disturbo di Gil e vorrebbe tornare indietro nella Belle Epoque di Toulouse Lautrec e del can-can. Quando una lussuosa carrozza a cavalli li trasporta in quel tempo lontano, Adriana decide di restare mentre Gil comprende che deve tornare nel secolo a cui è destinato e completare il suo romanzo, trasferendosi definitivamente in Francia. Attraverso il suo “alter ego ”, Woody Allen ci racconta il suo amore per Parigi; ma soprattutto vuole affermare che quella meraviglia dentro alla nostra scatola cranica (quella fitta rete di neuroni e di sinapsi, di ricordi e di emozioni) ci può regalare cose piene di logica e di realismo, ma anche spettacolari illusioni. E non è detto che le prime siano sempre preferibili alle seconde.

La scena conclusiva, vede Gil su un ponte della Senna con una ragazza da poco conosciuta al Marché aux Puces (che ha in comune con lui molte cose). Comincia a piovere, ma a entrambi piace camminare sotto la pioggia. E torna la magia del sax di Bechet a suggerirci che un’altra vita è possibile. Parigi – sostiene Woody Allen – è davvero una vacanza della mente (e del cuore).

Foto: © Medusa Film