La satira di strada di Maupal – al secolo Mauro Pallotta, classe 1972 – parte dal suo quartiere natìo nel cuore della “santità” romana: Borgo Pio. È il 2016 quando la rivista Artnet lo posiziona al 21° posto della classifica mondiale degli street artisti. Motivazione: il suo murale SuperPope dedicato a Papa Francesco e cancellato dopo una manciata di ore dalla squadra capitolina del decoro urbano. In poche parole: Maupal diventa un caso internazionale. Cioè colui che ha svecchiato l’immaginario michalangiolesco della Cappella Sistina con il tratto contemporaneo di Sua Santità Papa Bergoglio, che apprezza eccome quell’azzardo tra Sacro e Profano e lo invita a un’udienza ufficiale in San Pietro. E lui? Regala al Pontefice un bozzetto del SuperPope e in cambio riceve un sorriso e un affettuoso scappellotto, a sancire quell’impensabile complicità.

Da quel fantomatico Superman con la candida veste ecclesiastica che vola con una valigetta portavalori destinata certamente ai più poveri, il Santo Padre ridiventa protagonista di altri murales a pochi passi dal Vaticano: arrampicato su una scala mentre gioca a tris facendo vincere il simbolo della pace, con una guardia svizzera a fargli da palo; ritratto (in via del Falco al numero civico 7, interno cortile) mentre lancia il suo cuore con la fionda; e al civico 182, Borgo Pio, 2019, materializzatosi alle prime luci dell’alba, mentre si affaccia da una finestra tenendo in mano una corda nautica con un vero salvagente, con la dicitura “Papale Papale”: evidente appello a far aprire i porti per accogliere i migranti in balìa delle onde.

Ma oltre al papato c’è di più. A confermarcelo è l’installazione pittorica del 2018 che raffigura il tipico gabbiano romano, alto quasi 2 metri, che chiede di essere assunto come netturbino per eliminare una volta per tutte l’ammasso di spazzatura che ammorba la Capitale. Appare, il pennuto, nel giro di una notte in via di Campo Boario, all’Ostiense, vicino alla sede dell’AMA (Azienda Municipale Ambiente), portando col becco una domanda d’assunzione. Nome: Gabbiano Reale. Caratteristiche: volatile, aggressivo e coraggioso. Hobby: mangio pesci, ratti, animali morti e scarti dell’alimentazione umana. In fede, Maupal.

Ai media della politica romana, poi, nel 2019 non passa certo inosservata l‘installazione “oltraggiosa” in via del Governo Vecchio: la sagoma in cartone del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, appesa ai fili della luce “alla Juri Chechi” in posizione “a croce” tra gli anelli giallo e verde, che con espressione contratta dallo sforzo mantiene in equilibrio Lega e Movimento 5 Stelle.

Maupal io l’ho seguito e mai rincorso. Ma dopo giorni d’inquietudine milanese causa quarantena, ricevo via mail un’immagine (segno del destino, pensando alla mia passione per la Street Art…) del gatto Tom che in piena emergenza da coronavirus deve arrendersi al topo Jerry perché obbligato a stargli lontano “Un Metro!!!”. Ergo: lo devo assolutamente acchiappare per un’intervista, Maupal!

Un Metro!!!, Borgo Pio, Roma, 2020

Farsi capire è un’arte?
«La forma comunicativa più arcaica, prima ancora del linguaggio della parola, è il segno. L’arte è segno, comunicazione, linguaggio universale. Senza, non riuscirei a farmi comprendere».

Dopo avere frequentato l’Accademia di Belle Arti di Roma, perché hai scelto il mondo della Street Art?
«In realtà è la Street Art ad avere scelto me. Dopo gli studi accademici, fra milioni di difficoltà cercavo di perseguire il mio sogno e la mia passione: vivere della mia arte. Complicato. Poi una sera, per la prima volta in vita mia, ho deciso di attaccare sopra un muro distante 30 metri dalla porta principale del Vaticano un disegno che avevo preparato su carta e acrilico. È stata un po’ come una goliardata e non la consideravo nemmeno parte della Street Art, anche perché il genere mi era fondamentalmente sconosciuto. Avevo sentito parlare solo di Banksy, questo artista inglese misterioso e fugace, ma non sapevo nemmeno pronunciare correttamente il suo nome. Il bivio della mia vita è stato il SuperPope, considerato a livello planetario l’evento spontaneo di Street Art più grande e virale di sempre. Mi ha cambiato la vita e da quel giorno sono entrato nel fantastico mondo dell’arte urbana».

Dal punto di vista della “pittura pittura”, l’occhio di Pier Paolo Pasolini che hai ritratto nel quartiere Pigneto esprime tutto il tuo talento…
«Subito dopo il SuperPope ho ricevuto la prima proposta dal mondo “street”: la curatrice parigina Agathe Jauborg organizzava un evento al Pigneto dedicato allo scrittore e regista bolognese che aveva ampiamente frequentato il rione. Ho voluto rappresentare lo sguardo del grande intellettuale, che con profondità riusciva a mettere nitidamente a fuoco il futuro di questa nostra Italia. Per il linguaggio della Street Art, oltre che un neofita ero ancora molto legato alla pittura accademica. Quindi ho deciso di rappresentare Pasolini in versione realistica, utilizzando il bianco e il nero e sfumandoli con acqua sporca. Attraverso la scelta tecnica e cromatica, ho voluto creare un personale racconto parallelo della sua biografia: il bianco e il nero rappresentano il suo pensiero estremo, sia positivamente sia negativamente, mentre l’acqua sporca mi è servita a raffigurare la sua fase “underground”, spesso condannata dall’opinione pubblica».

Io penso che oggi più che mai la miglior forma di Arte Contemporanea sia la Street Art. Sei d’accordo?
«È in assoluto il genere più democratico e accessibile a tutti, come Internet; e dai forti contrasti cromatici esaltati dalla tecnica dello stencil o dallo stile Pop come la società contemporanea che si sta sempre più dividendo in ricchezza e povertà, cultura e ignoranza, progressismo e conservatorismo. In più, la Street Art aderisce con forza alla contemporaneità in quanto effimera e fugace come gran parte dei rapporti sociali che ormai ci dominano».

Il virus Covid-19, graffittato sui muri del globo, è l’istantanea del nostro presente: credi possa contribuire a scuotere le coscienze dei cittadini e dei media?
«L’arte di strada può essere ormai paragonata a una forma di giornalismo spontaneo che viene dal basso, dalle periferie, dalla popolazione vera. Quindi sono convinto che possa contribuire a scuotere le coscienze».

C’è il rischio che questa pandemìa possa affossare definitivamente l’arte, visto lo scarso sostegno per la cultura dimostrato dai nostri politici?
«L’arte morirà solo quando l’essere umano si estiguerà. L’amore e la passione non prevedono aiuti né sovvenzioni, per continuare a esistere; quindi, i veri artisti non sentono il bisogno dell’aiuto di nessuno. Ma se arrivasse, sarebbe un incentivo per alzare la qualità e la velocità dell’evoluzione sociale».

A mio giudizio Un metro!!!, l’ultimo murale che hai realizzato a pochi passi dal Vaticano, mette a debita distanza il gatto Tom dal topo Jerry imponendo finalmente il più debole sul più forte. È un messaggio auspicabile per la società di domani?
«Con un omaggio all’illustratore Gene Deitch, scomparso di recente, ho voluto sottolineare un’abitudine che acquisiremo, quella di mantenere le distanze e indossare le mascherine, che all’apparenza potrà sembrare una precauzione d’ordine sanitario ma in realtà diventerà sinonimo di rispetto verso noi stessi e il prossimo. Sarà più complicato per il più forte soggiogare il più debole, in ogni senso e in ogni circostanza. Questo credo, questo spero».

La grafica dei cartoon è il modo più idoneo per veicolare i tuoi messaggi?
«Nel momento in cui si decide di realizzare un’opera e collocarla in strada, lo si fa principalmente per lanciare un messaggio a un bacino d’utenza più ampio possibile; altrimenti, se si vuole percorrere una ricerca artistica rivolta al virtuosismo tecnico e/o concettuale, si rimane chiusi nel proprio atelier lavorando per collezionisti, galleristi, fiere d’arte, musei. Lo stile più sintetico e più veloce nell’arte del segno, il Pop, è lo stile del cartoon, lo stencil».

Ti sei mai domandato perché abbiano rimosso il tuo primo murale che ritraeva Papa Bergoglio Supereroe?
«La censura verso le immagini che raffigurano capi spirituali e/o religiosi è comprensibile. Sono personalità estremamente influenti e potrebbero creare problemi nella sensibilità sociale. Ma quando viene esaltata una visione di positività, senza offese e senza volgarità, a quel punto varrebbe la pena proteggere l’opera d’arte anziché censurarla. Io che ho avuto un gran numero di lavori “oscurati” dalla Pubblica Sicurezza, oltre a sentirmi offeso ritengo queste censure atti violenti verso tutti i potenziali osservatori, che si ritrovano orfani di opere d’arte distrutte o sequestrate».

Ti definisci “un indigeno ben radicato”. Perché?
«Sono romano da generazioni e radicatissimo nel rione al centro di Roma dove sono nato, cresciuto e tuttora vivo: Borgo Pio. Ho provato per anni a cambiare quartiere, città, nazione, ma non ho ancora trovato di meglio…».

Chi sceglieresti fra Keith Haring e Kenny Scharf?
«Dipende. Se volessi perseguire l’obiettivo di essere anche il manager di me stesso, per sentirmi artista a tutto tondo cercherei di “costruirmi” curando di più questa fase: e la mia scelta cadrebbe su Keith Haring. Se invece per esprimermi appieno valutassi la spontaneità e l’infantilismo non snaturabile, allora sceglierei Kenny Scharf. Io, invece, vado avanti senza specchiarmi. E quel che sarà, sarà».

E fra Banksy e Blek Le Rat?
«Reputo Banksy un genio assoluto. Mi ricorda un Supereroe mascherato: nessuno conosce la sua identità, ma tutti sanno chi è. Ogni sua opera ha un peso specifico enorme dal punto di vista sociale, culturale, economico. Credo sia giusto così. Il francese Blek Le Rat va invece considerato come uno dei padri della Street Art: e probabilmente ha esercitato una forte influenza nell’evoluzione artistica di Banksy. Credo però che nessuno possa essere paragonato all’artista di Bristol, influente nel mondo dell’arte come lo è un ambasciatore statunitense in un piccolo, povero Paese africano».

Ovviamente scherzando, quale street artista butteresti giù dalla fatidica torre?
«Li terrei tutti sopra, poiché l’arte serve a tutti e gli artisti dovrebbero essere protetti dall’UNESCO! Chi manca d’onestà intellettuale scopiazzando altri o ponendosi come traguardo finale il denaro piuttosto che l’amore verso l’arte, prima o poi viene smascherato e non va neppure considerato artista. Su quella torre, quindi, non ci salirà mai davvero».

Dopo Papa Francesco, Donald Trump, il Dalai Lama, Babbo Natale e Garibaldi, quale sarà la tua prossima Superstar?
«Prima o poi mi piacerebbe dedicare un opera a José Mujica, l’ex Presidente dell’Uruguay. Un personaggio meraviglioso, che ha avuto una risonanza troppo bassa se rapportata al grande esempio di positività che ha dimostrato di essere».

SuperPope, via Plauto, Roma, 2014

Contratto, via del Governo Vecchio, Roma, 2019

Street Pope, vicolo del Campanile, Roma, 2016

AMA, via del Campo Boario, Roma, 2018