Quando se ne va qualcuno che ti ha accompagnato per tanti anni, per compensare il dolore della perdita credo ci si debba subito chiedere: com’eri prima di conoscerlo? Io ero certamente meno ricco di sensibilità verso l’arte di quanto non lo sia ora ”.

La copertina dell’Lp Racconti della tenda rossa di Franco Mussida

Toccanti le parole scritte dal chitarrista Franco Mussida, tra i fondatori della Premiata Forneria Marconi, a proposito di Tino Stefanoni (1937-2017) che gli aveva metafisicamente dipinto la copertina dell’Lp Racconti della tenda rossa. Quella tenda rossosangue circondata da cumuli di neve, utilizzata nel 1928 dai sopravvissuti allo schianto del dirigibile Italia sul pack e unica testimone della spedizione scientifica al Polo Nord guidata da Umberto Nobile, ribadiva nel 1991 la comunione d’intenti fra il pittore lecchese e il musicista milanese.

Sempre in quell’anno, Stefanoni allestisce la sua Stanza della pittura, paesaggistica installazione di 8 acrilici su tela, un’asta e una panca, arricchita per l’occasione da un intervento “ambient ” di Mussida. Insonorizzata come allora, fino all’8 giugno 2024 quell’opera è fra i pezzi forti della mostra intitolata La ricerca delle cose, in cartellone alla galleria M77 di Milano.

Il progetto espositivo curato da Elizabeth Mangini, docente di Storia dell’Arte e Cultura Visiva al California College of the Arts di San Francisco, ha modo di svilupparsi nei 2 piani della galleria con l’obbiettivo di costruire un racconto che si snoda dagli anni 60 fino ai giorni nostri.

Che Tino Stefanoni (prima personale nel 1968 alla Galleria Apollinaire di Milano, avvalorata da un saggio del critico d’arte Pierre Restany) sia stato un inusuale, atipico, rigoroso creativo del contemporaneo, non c’è alcun dubbio. E che la sua genialità l’abbia esercitata ad acrilico e grafite su tela, o su fogli da disegno, indossando un immacolato camice o impugnando una lente d’ingrandimento per svelarsi con nonchalance pittore, ingegnere, designer, architetto, miniaturista, filosofo e chissà cos’altro ancora, ce lo raccontano i concettuali Riflessi degli anni 60, ovvero quei minuscoli tondi in rilievo che alla stregua di bolle di sapone inglobano micro paesaggi destinati, più in là nel tempo, a dilatarsi e a diventare panorami e sfondi metafisici inframmezzati da abitative forme geometriche.

Ma la sua vera eccezionalità è testimoniata dall’approccio alla Pop Art, del tutto opposto a quello propagandato da Claes Oldenburg (1929-2022). Se infatti per lo scultore svedese naturalizzato americano gli oggetti del consumismo, gli accessori, gli abiti, gli utensili da lavoro vanno ingigantiti e “monumentalizzati ” per poi meritarsi una collocazione negli spazi urbani, per l’eclettico artista lombardo tutto quello che ci circonda va rimpicciolito, ordinato con precisione certosina e catalogato procedendo per Elenchi di cose, Tavole, Piastre.

Tino Stefanoni. La ricerca delle cose
Veduta della mostra
Courtesy M77
Ph. Lorenzo Palmieri

Cosicchè camicie, giacche, tazzine, mestoli, imbuti, pennini, matite, pennellesse, barattoli, tubetti, scrivanie, sedie, poltrone, lavandini, buste, quaderni, boule dell’acqua calda, perfino mani guantate e addirittura profili maschili vengono singolarmente declinati su tela, su carta, su tavola, su ferro e altresì numerati, moltiplicati, affiancati, iconizzati, riquadrati in modo progettuale, delineati e contornati fino a farsi, negli anni 80, Apparizioni rarefatte e non più “cose ” algide e rigide.

Altrettanto Pop, infine, sono i Segnali: regolamentari, d’accordo, ma contraddistinti da immagini ben diverse da quelle del codice stradale. Un epilogo decisamente ironico, per un’antologica sin da ora fra le più riuscite e indispensabili del 2024.

Tino Stefanoni
La ricerca delle cose
Fino all’8 giugno 2024, M77, via Mecenate 77, Milano
tel. 0284571243
Catalogo M77

Piastre guida per la ricerca delle cose
7 soggetti ripetuti 10 volte come esercizio didattico, 1971
Ph. Sandro Crippa