Scritto con Gilles Marchand e diretto da Dominik Moll, La Notte del 12 si basa su fatti realmente accaduti ed è tratto dal libro inchiesta 18.3 Une année à la PJ di Pauline Guéna. Presentato in selezione ufficiale all’ultimo Festival di Cannes, si distingue anzitutto per la modalità con cui rilegge la tradizione del noir in chiave femminista.
Promosso capitano della polizia giudiziaria di Grenoble, Yohan Vivès (un ottimo e melanconico Bastien Bouillon) deve subito confrontarsi con un agghiacciante omicidio. Il libro della Guéna sostiene che ogni investigatore incontra un crimine che per qualche strano motivo si deposita dentro di lui come una scheggia, provocando una ferita impossibile da rimarginarsi. È il caso di Clara, 21 anni, bruciata viva dopo una serata fra amiche.
Insieme al collega Marceau (Bouli Lanners), Yohan condurrà le indagini sui conoscenti di quella ragazza dalla vita sociale piuttosto animata ma senza eccessi, senza mai giungere a una soluzione e realizzando che ogni essere umano è un potenziale colpevole.
Le difficoltà (economiche e non solo) della polizia giudiziaria sono più che evidenti, ma la centralità del film è il rapporto fra uomini e donne. Molte notizie di cronaca, infatti, sono legate a violenze commesse da maschi contro femmine; e chi è incaricato a combattere questi crimini è quasi sempre un uomo. Sicchè La Notte del 12 sembra domandarsi cosa passi per la testa a questi ultimi quando indagano sulle crudeltà commesse contro donne che potrebbero essere le loro figlie, compagne, amiche, sorelle.
Saranno proprio loro ad aprire gli occhi a Yohan: dalla giovane recluta Nadia (Mouna Soualem), alla giudice istruttrice (Anouk Grinberg). Ed è nel suo ufficio che il protagonista si mostrerà per la prima volta vulnerabile: «Quello che mi ha fatto impazzire è che tutti i ragazzi che abbiamo interrogato avrebbero potuto farlo. C’è qualcosa che non va tra gli uomini e le donne». Yohan non riesce a farsene una ragione: non ha ancora trovato un responsabile e tutto questo non gli lascia scampo.
Mai pronunciati a voce alta durante il film, ma ben presenti nella mente di chi guarda, i termini “femminicidio” o “mascolinità tossica” aleggiano sullo spettatore. Senza alcuna ostentazione, Dominik Moll analizza la misoginìa della nostra società e il suo thriller diventa un atto d’accusa dalla parte dei poliziotti e dei sospettati, senza però calcare troppo la mano e tantomeno formulare giudizi sommari. A distanza di anni, Yohan comprenderà che poco può fare contro il male: soprattutto quando non ha un volto crudele ma si nasconde dietro la mediocrità e la meschinità di piccoli uomini all’apparenza non colpevoli. Quantomeno del delitto di cui vengono accusati.