Franco D’Andrea e Dj Rocca Pomigliano Jazz Festival XXV Edizione Teatro Gloria Pomigliano D’Arco

Che il curriculum di Luca Roccatagliati aka DJ Rocca sia bello tonico, và da sé che a testimoniarlo ci sono le produzioni discografiche, le innumerevoli collaborazioni, i DJ Set in giro per il mondo… Ma c’è il classico quid in più, per il dj di Reggio Emilia che venerdì 24 giugno si esibirà al Joevinyle Showcase – Music in the Street. Sta tutto in una frase tratta da una biografia online: “Già disco del mese per la rivista Musica Jazz”.

Con simili risultati l’autostima sale a mille…
«Quella con il pianista Franco D’Andrea è la collaborazione che mi rende più orgoglioso: nata in trio (Electric Tree) e “premiata” da Musica Jazz, poi in ottetto e ora in duo, nel triplo Cd Franco D’Andrea meets DJ Rocca che uscirà l’8 luglio e mi vede impegnato nell’evoluzione del deejaying applicato al jazz. L’intero progetto ha preso forma da Musical Box, il programma di Rai Radio 2 che aveva indetto un concorso che invitava a remixare un brano di D’Andrea. Ho partecipato, ho vinto, Franco ha voluto conoscermi, l’ho raggiunto a Roma e la nostra collaborazione dura ormai da 8 anni».

Hai avuto modo di collaborare anche con Daniele Baldelli, Howie B, Dimitri From Paris…
«Seguo Daniele da quando avevo 15 anni e lui era il dj del Cosmic di Lazise, in provincia di Verona. La scena Afro, collocata in diverse aree regionali, ruotava attorno a Baldelli, Beppe Loda, Mozart, Ebreo, Spranga, Rubens. Per quanto riguarda Howie B, lo considero tuttora un grande amico mentre Dimitri From Paris, dj radiofonico, è stato colui che meglio di altri ha saputo mescolare la disco e la lounge nell’album Sacrebleu».

Come hai scoperto la musica?
«Studiandola al Conservatorio. Mi sono diplomato in flauto traverso ma volevo ascoltare James Brown e non me ne fregava niente di Bach. Poi, imparando a suonare il sax contralto mi sono appassionato alla musica colta e al jazz».

Black music, jazz… e l’elettronica?
«Mi piace tutta: musica cosmica, krautrock, Kraftwerk, Brian Eno, Jean Michel Jarre, la techno…».

Quando hai iniziato a ipotizzare un futuro da dj?
«Ero giovanissimo quando i disc jockey erano in gran parte quelli che mettevano i dischi per “beccare” le ragazze. All’epoca, chi voleva fare il dj non è che approfondisse o si appassionasse più di tanto alla musica. Ma negli anni 90, al Maffia di Reggio Emilia ho avuto la fortuna di scoprire che il deejaying era diventato una forma d’arte molto più alta: l’espressione musicale di un momento storico che ti consentiva di ampliare le tue conoscenze, dato che una certa elettronica era l’avanguardia della musica tout court. Se agli inizi degli anni 90 il rock aveva raggiunto la massima espressione col grunge, da quel momento in poi è entrato in crisi e gruppi come i Prodigy e i Chemical Brothers (che erano dj) hanno preso elettronicamente il suo posto. Il mondo del deejaying, a quel punto, ha raggiunto il mainstream portando la propria cultura nella musica di quegli anni. Adesso se ascoltiamo le canzoni che vanno al Festival di Sanremo, da Mahmood a Blanco, c’è tanta di quell’elettronica che proviene dai dj che ormai ci sembra sia del tutto normale. Negli anni 90, chi voleva poteva rendersi conto che la musica stava letteralmente cambiando. E io c’ero».

Cosa ci farai ascoltare domani sera?
«Porterò la mia conoscenza dell’Afro elettronica, magari anche con pezzi nuovi che si rifanno a quelle sonorità».

In giro c’è qualcosa che valga davvero la pena di ascoltare?
«Certe musiche, periodicamente, ritornano. Ad esempio, ancora dall’Inghilterra, un nuovo acid jazz attraverso giovani musicisti cresciuti con la dance, l’r&b, l’elettronica. In Italia si sta sviluppando qualcosa di simile con 2 gruppi lombardi: Studio Murena, che suonano funk e jazz con un rapper; e DayKoda, che oscillano fra elettronica e contaminazioni jazz. Ve li consiglio spassionatamente».