La Music in the Streetvinilicamente” diffusa al Joevinyle Showcase, prosegue con il DJ Set di colui che il funk riesce a esplorarlo, come pochi altri, a 360 gradi. Bolognese, mixatore di quelli sopraffini, ecco a voi DJ Giancarlo Lelli.

La tua essenza di disc jockey si condensa alla perfezione nel termine SUPERFUNKEXPERIENCE
«Che riflette la mia evoluzione, iniziata alla fine degli anni 80 dopo aver dato il via, nel 1983, alla carriera di dj professionista. Era il periodo dell’afro – quando mixare un pezzo di Fela Kuti con Joe Jackson o con i Kraftwerk era una cosa normale – e della militanza all’Arlecchino di Santa Maria Codifiume, in provincia di Ferrara: discoteca che tutt’ora esiste, che mi vede come guest una volta al mese e dove il dj resident è un altro Lelli, mio figlio Davide in arte DJ Ghello».

Nella black music c’è un gruppo o un solista che prediligi?
«James Brown mi ha influenzato più di tutti gli altri (e fra l’altro il 1° disco che ho acquistato è il suo Sex Machine) seguito da Rufus Thomas. Se parliamo invece della musica con la quale sono cresciuto ti dico Mina, Renato Zero, Pink Floyd, Ella Fitzgerald, il jazz di Pat Metheny, Chick Corea, Al di Meola, Jaco Pastorius e Weather Report, la new age dell’arpista elettroacustico Andreas Vollenweider…».

In quanto a gusti musicali sei di larghe vedute…
«Al punto da apprezzare il David Bowie elettronico che collaborava con Brian Eno, o i Talking Heads che sono stati per molti versi geniali. Non vado invece d’accordo con il rock cosiddetto classico: non a caso ho citato i Pink Floyd che sono tutta un’altra cosa».

Se ti nomino il Bowie della svolta black iniziata con Diamond Dogs e proseguita con Young Americans e Station To Station, lo ascolti ma poi ti giri dall’altra parte?
«Tutt’altro, se pensi che nel periodo afro inserivo nei miei DJ Set pezzi come Golden Years o come Ashes To Ashes, che secondo me è il suo capolavoro in assoluto. E poi c’è Fame, a dimostrare la sua confidenzialità con il funk».

A proposito di funk, lo hai spesso e volentieri declinato in tutte le sue diramazioni.
«I miei DJ Set si possono paragonare a veri e propri concerti. La mia impostazione è chiaramente funk e deep-funk, ma nel mio mixato puoi sentire il jazz-funk, il soul-funk, il blues-funk, il nu-funk di gruppi come The New Mastersounds…».

Ti aggiorni in continuazione…
«Ho sempre cercato di proporre cose nuove. Anche quando c’era l’afro, inserivo qualcosa che gli altri dj non suonavano. Sai qual è il più grande complimento che mi hanno fatto di recente? All’Ippodromo di Cesena, un ragazzo che avrà avuto 20 anni mi ha chiamato in disparte e mi ha detto: “Pensavo di conoscere il funk, ma dopo averti sentito ho capito che di funk non ne sapevo proprio niente”».

Hai mai utilizzato nella SUPERFUNKEXPERIENCE tracce di colonne sonore da film o di lounge music?
«Sono stato fra i primi a inserire l’acid jazz e il cosiddetto easy listening di musicisti straordinari come Piero Piccioni e Piero Umiliani. Nei primi anni 90, accanto a James Brown e al funk dei Meters, nei miei DJ Set potevi trovare l’Isaac Hayes di Shaft e i Goblin di Profondo rosso, temi tratti da film polizieschi o da B-movies… Una volta ho addirittura iniziato con le trombe di una di quelle pellicole stile Spartacus, piene di gladiatori, che la domenica mattina mio padre ed io andavamo a vedere al cinema».

Domani sera potrebbero esserci sorprese di questo tipo?
«Certo, ma sempre con un filo conduttore black. E per quanto riguarda il mixaggio, entrerò sulla battuta per dare ancora più esplosività al funk».

Se tu dovessi incontrare un ragazzo con l’ambizione di fare il dj, cosa gli consiglieresti?
«Gli direi di non smettere mai di incuriosirsi, di uscire ogni tanto dal suo ambito musicale, di utilizzare solo ed esclusivamente vinili e di sviluppare, se possibile, una tecnica di mixaggio tutta sua, che sia fin da subito riconoscibile».

Definiscimi in poche parole il dj.
«Uno psicologo della musica, che entra immediatamente in sintonia con chi lo ascolta».