La primissima formazione dei Weather Report, quella nata dalla comune esperienza davisiana, vede tra le sue fila oltre ai 2 leader Joe Zawinul e Wayne Shorter, Miroslav Vitous al contrabbasso, Alphonse Mouzon alla batteria e Airto Moreira alle percussioni. Purtroppo questa line-up durerà lo spazio del 1° album; e ad eccezione di qualche live che potete trovare anche su YouTube, non ci ha lasciato molte altre testimonianze. Weather Report (1971) è comunque un bel pugno nello stomaco a tutto il jazz venuto prima; e lancia le basi per quella rivoluzione elettrica e poi elettronica che vedrà il gruppo protagonista assoluto del cambiamento.

A partire dal 2° Lp, I Sing The Body Electric dell’anno successivo, capolavoro assoluto che anche nel titolo (Canto il corpo elettrico) è emblematico delle intenzioni dei Weather Report, iniziano gli avvicendamenti destinati a diventare ovvietà e consuetudine: alla batteria arriva un folletto, il geniale e sottovalutato Eric Gravatt che Zawinul definisce «il migliore di tutti»; e l’istrionico Dom Um Romão, percussionista brasiliano famoso per trarre suoni e ritmi da qualunque cosa gli capiti fra le mani: perfino un paio di sandali Dr Scholl! Ascoltate Second Sunday In August e le magie elettroacustiche che l’album dispensa e ve ne renderete conto. Segue il doppio Live In Tokyo (1972), con la band a dimostrare l’intensità e la coesione raggiunte, che però segna anche l’inizio di una frattura insanabile fra i 2 capi e Vitous.

Nel disco successivo, Sweetnighter (1973), la svolta funk si fa infatti più decisa, tanto che Zawinul e Shorter decidono di affiancare a Vitous il basso elettrico del pulsante Andrew White, mentre la seconda batteria da accostare a Gravatt viene affidata a Herschel Dwellingham, poi inspiegabilmente sparito nel nulla. Questo è l’album di Boogie Woogie Waltz e di 125th Street Congress, che in seguito verranno più volte campionati e utilizzati in ambito hip hop. La musica si fa più aggressiva e meno riflessiva, più ritmo e meno intelletto, più corpo e meno anima, anche se la componente intellettuale mai scomparirà dalle composizioni del gruppo.

È quindi la volta del viaggiatore misterioso, quel Mysterious Traveller che vede l’ingresso nell’organico del basso maestoso di Alphonso Johnson e della batteria di un formidabile Ishmael Wilburn. Il disco, fra l’altro, viene ricordato per il coretto nel 1° brano che recita ciò che sembra essere un perfetto insulto in italiano: “figlio di puttana“. Ma forse è solo suggestione.

Da qui in avanti il gruppo cambierà radicalmente, raggiungendo però vette di popolarità che nessun altro in ambito jazzistico potrà mai vantare. I Weather Report vincono sistematicamente ogni referendum, sono i campioni assoluti in fatto di vendite e la critica non fa che osannarli. Da Black Market (1976) a Weather Report (1982), 2° album a intitolarsi col nome della band, Jaco Pastorius diventa il 3° leader. La sua presenza e il suo genio ammanteranno le opere dei WR con quell’inimitabile suono di basso, quel virtuosismo, quella visione panmusicale che è stata la sua caratteristica più importante. Non dimentichiamoci che Jaco poteva contare sull’apporto, alla batteria, di quel Peter Erskine capace di integrarsi alla perfezione con l’estetica consolidata da Joe Zawinul.

La scomparsa di Pastorius, ucciso a botte fuori dal Midnight Bottle Club di Fort Lauderdale una sera di settembre del 1987, getta Zawinul nello sconforto e alla disperata ricerca di un sostituto all’altezza. Viene contattato Omar Hakim, drummer che si sta imponendo a New York come sessionman fra i più richiesti e apprezzati, avendo suonato con gli Chic, David Bowie, Madonna. Lo vanno a sentire al Seventh Avenue South, locale di proprietà dei fratelli Brecker, dove si esibisce nella band del vibrafonista Mike Mainieri… e il giorno dopo Omar è il nuovo batterista dei Weather Report: pirotecnico, eccellente, di sicuro valore e garantite prospettive, ma il basso dov’è? Hakim propone un suo vecchio amico, Victor Bailey, che partendo dalla lezione di Pastorius ha saputo crearsi un suo stile personale. Alle percussioni arriva Jose Rossy, portoricano, e il gioco è fatto. 2 album bellissimi come Procession (1983) e Domino Theory (1984) consacrano i nuovi arrivati facendo dimenticare i fasti del “periodo Jaco“.

Sportin’ Life (1985), con Mino Cinelu alle percussioni reduce dal gruppo di Miles Davis e This Is This (1986), album bello per l’emotività, ma anche per quel senso d’addio e fine di un’avventura durata quasi 30 anni (sintomatica quella stretta di mano fra Joe e Wayne sul retrocopertina) in cui Shorter suona solo in 1 brano e il suo ruolo viene preso dalla chitarra di Carlos Santana come solista principe, sanciscono la fine del Bollettino Meteorologico ma non della carriera di Zawinul (mentre il sassofonista guiderà 1 dei migliori quartetti acustici della storia del jazz con Danilo Perez al piano, John Patitucci al contrabbasso e Brian Blade alla batteria, passando prima per esperienze elettroniche degne comunque di nota).

Joe dedicherà gli ultimi anni della sua vita alla sua nuova creatura, lo Zawinul Syndicate, band multietnica in cui suoneranno musicisti provenienti da ogni angolo del mondo (dalla Costa d’Avorio al Mali; dal Brasile al Perù) dove esalterà il concetto di musica del mondo, senza confini; e nella quale, sostituendo il sax di Wayne con la chitarra elettrica, troverà un maggior equilibrio compositivo anche dal punto di vista timbrico.

Weather Report in concerto alla Shinjuku Kosei Nenkin Hall, 11 giugno 1981

Il suo grande merito è stato quello di aver creato una musica totale, senza confini, senza barriere, senza differenze. Omogenea ma soprattutto dal fascino unico e inimitabile. In molti hanno tentato di replicare quelle sonorità. Ma un sintetizzatore o un piano elettrico, nelle mani di Joe Zawinul si trasforma in magia, mentre in mano a un musicista non così dotato, diventa un giocattolo fastidioso, noioso, inutile. Quando si ascolta Zawinul, quel suono è solo e unicamente suo. Mescolando Europa e America, Africa e Asia, sonorità ancestrali ed effetti futuristici, ha creato la musica di oggi… e di domani.

Tanti sono gli omaggi che i colleghi musicisti gli hanno tributato, ma nessuno ha mai raggiunto le vette dell’originale. Per farvi un’idea della sua evoluzione d’artista partite da Mercy, Mercy, Mercy a opera del quintetto di Cannonball Adderley; passate per In A Silent Way di Miles Davis; soffermatevi su Doctor Honoris Causa dedicata all’amico Herbie Hancock; lasciatevi trasportare dalla magia elettroacustica di 1 qualsiasi dei Weather Report; gustatevi 1 dei magici duetti con Wayne Shorter; abbandonatevi all’orgia sonora del Syndicate e terminate in bellezza con 1 brano a 4 mani in compagni di Friedrich Gulda (magari un concerto di Mozart…) perchè da lì è nato tutto.

Joe Zawinul e il nostro Giuliano Zorman

Mi piace ricordare l’ultimo nostro incontro nel mio ufficio alla Sony Music di Milano, ormai quasi 20 anni fa. Lo abbracciai, ricambiò con affetto e io gli domandai in tedesco: «Pepi, Maestro, wie geht’s?» (Pepi, Maestro, come va?). Lui mi rispose con il suo solito sorriso: «Immer weiter, Juli!» (Sempre avanti, Giuliano!). In memoria di un uomo che, appunto, è stato sempre avanti.