L’8 ottobre 1993, in Lombardia e per gli appassionati di rock in particolare, fu una giornata biblica. In centinaia salimmo a bordo di un’arca per sfuggire a un’alluvione e seguire il nostro Noè, Joe Ely, che per la prima volta si materializzava in carne ed ossa in Italia. Data l’inagibilità della Sala Marna di Sesto Calende allagata dal Ticino, l’indimenticabile promoter Carlo Carlini coadiuvato con pazienza olimpica dalla moglie, immobile sotto la pioggia con un cartello che indicava la nuova destinazione, dirottò noi naufraghi privi di cellulari, navigatori e Google Maps in un altro angolo per molti misterioso del Varesotto, Vergiate, oltre il portone di una discoteca di provincia, il Sinatra’m, abituata ad ospitare ben altri popoli della notte.

Un sentito e postumo ringraziamento a Carlo, che registrava per il suo archivio personale ogni concerto da lui organizzato. E ora anche alla New Shot Records di Renato Bottani e Marco Melzi, “nuova etichetta destinata agli amanti di cantautori e simili ” (musica folk, blues, soul e roots) che da qualche tempo s’è messa a pubblicare con l’autorizzazione di promoter, artisti e loro eredi un tesoretto di registrazioni “live in Italy ” (ma non solo) riportando alla luce outtake di studio ed esibizioni di John Hammond, Danny O’Keefe, Eddie Hinton, Greg Trooper, Tom Russell, Lee Fardon e altri beautiful losers che abbiamo imparato a conoscere e ad amare percorrendo le strade blu del rock and roll e della canzone d’autore.

La rimasterizzazione puntigliosa e la cura del suono (oltre alle accurate e appassionate note di copertina, scritte in inglese) sono un punto d’orgoglio dell’artigianale label italiana, che anche in questo caso ha fatto le cose in maniera impeccabile. Peccato soltanto che l’esigenza di comprimere il programma in 1 solo Cd, alcuni difetti del master originale emersi in fase di transfer digitale e la volontà dello stesso artista di escludere 1 brano per il suo soggetto oggi considerato “troppo delicato”,  abbiano imposto un taglio deciso alla scaletta: 10 brani invece di 18, con una durata ridotta a 53 minuti.

Vediamo però il bicchiere mezzo pieno, considerando che la qualità audio è nettamente superiore a quella dei bootleg circolati fino ad oggi e che la concentrazione del set ci mette di fronte a una performance tesa come una corda di violino e senza un attimo di tregua. «È un sacco di tempo che aspettavo questa serata, gente», esordisce Ely davanti a una piccola platea di appassionati “stipati come sardine ” nel club e pronti a credere a ogni sua parola. Allora il texano cavalcava alto in groppa a un album come Love And Danger (1992) e al celebre Live At Liberty Lunch che nel 1990 aveva segnato il suo ritorno presso la major MCA con cui aveva esordito. Quella sera, in Italia, si mostrò altrettanto in palla grazie anche a un solidissimo quartetto per ¾ identico, che oltre al batterista Davis McLarty e al nuovo bassista di Austin, Glen Fukunaga, già alla corte di Bob Dylan, sfoggiava ancora la solista di David Grissom, formidabile guitar hero all’epoca impegnato anche a fianco di John Mellencamp. «Merita un Academy Award per il modo in cui suona la chitarra», dichiara Ely nelle note di copertina e non si può che dargli ragione ascoltando questa masterclass in cui si tiene magistralmente in equilibrio fra misurate sottolineature e feroci svisate soliste.

È la band che ci vuole per disegnare quei paesaggi un po’ romanzeschi che ci portarono (e ci portano tutt’oggi) a 9.000 chilometri di distanza, dalla Lombardia al Texas e verso il Messico, non solo con le canzoni di Joe ma anche con quelle dei suoi soci nel trio Flatlanders. Porta la firma di Jimmie Dale Gilmore, infatti, il boogie blues di Dallas in cui anche noi immaginiamo di vedere le luci della metropoli dai finestrini di un DC-9 sullo sfondo delle dialoganti twin guitars elettriche di Joe e David, mentre i pezzi scritti da Butch Hancock sono addirittura 4: la delicata If You Were A Bluebird con i suoi aromi Southern e di confine; l’amara e grintosa Row Of Dominoes, eseguita con l’urgenza di chi si sente sempre sul filo del rasoio; una Boxcars dal ritmo pressante e dal crescendo vorticoso (che a Joe, come confessa lui stesso dal palco, calza a pennello dato che tutta la sua famiglia lavorava appresso alle ferrovie) e una romantica ma disincantata ballata del border come She Never Spoke Spanish To Me.

Il repertorio originale non è da meno. Epica, travolgente e cantata dalla prospettiva di un suo rivale in amore, Billy The Kid rievoca una figura classica della mitologia americana incastonandola in un gioiello che non ha mai smesso di brillare; Highways And Heartaches condensa in una manciata di minuti una filosofia di vita; Settle For Love è un’invocazione a cuore aperto a lasciare spazio all’amore (anche in Paesi martoriati come la Somalia e la Bosnia, allora sulle prime pagine dei quotidiani e dei notiziari tv per le loro tragiche vicende) che con un riff quasi hard e un ritornello da cantare a gola spiegata chiude il set, prima che in coda Ely ci ricordi che “la strada prosegue all’infinito e la festa non finisce mai ” (The Road Goes On Forever di un altro texano doc, Robert Earl Keen) e in Letter To L.A. rallenti il ritmo riducendo la musica a un sussurro e poi al silenzio, per poi dare modo a Grissom di liberarsi nell’assolo più micidiale della serata.

È una musica nutrita da un immaginario che in tanti anni abbiamo mandato a memoria: banditi, cuori infranti, santi, peccatori, treni, autostrade, polvere, sogni abbaglianti e dorati, gli spazi sconfinati del Sud degli States e un amore che all’autore rievoca le luci notturne e i miti cinematografici della città degli angeli. Potrebbero sembrare stereotipi triti, non fosse che uno come Ely li abbraccia con la naturalezza di chi certe cose le ha vissute davvero e ci soffia sopra il fuoco inestinguibile del rock and roll, del country e del tex mex. Materializzando quel mondo un po’ onirico e un po’ reale davanti a noi, quella sera umida e buia di tregenda a Vergiate, 31 anni fa, come oggi nel salotto di casa. Brividi, nostalgia e grande musica.