Eccomi qui a tirar le somme di JAZZMI, andato in scena dal 12 ottobre fino al 5 novembre 2023. La proposta live, a Milano, è stata la più sostanziosa degli ultimi anni: più di 100 concerti in ogni dove per 25 giorni. Forse troppo, tutti insieme… ma l’appetito vien mangiando. Come sempre, al di là dei super nomi Gilberto Gil, Marcus Miller, Ibrahim Maalouf, Hiromi, Paolo Fresu e Omar Sosa, ho cercato di dare spazio a chi non conosco affidandomi ciecamente a Luciano Linzi e a Titti Santini, i deus ex machina dell’ottava edizione di questo intrigante festival.
Le mie scelte sono state condizionate dal fatto di aver visto in precedenza un gran numero di concerti: Gilberto Gil e Judith Hill li ho ammirati all’Estival Jazz di Lugano; Lacera Benjamin a Bergamo Jazz; Camilla George e Omar Sosa con Jaques Morelenbaum al Blue Note di Milano…
Shabaka Hutchings
Mentre considero John Scofield, Jeff Lorber, Hamid Drake e Christian McBride conoscenze di lunga data (anche se in JAZZMI le formazioni erano diverse) gli altri musicisti si sono rivelati per il sottoscritto sorprese totali.
Makaya McCraven
Sperimentatore di suoni e di emozioni capace di comporre collage elettroacustici mischiandoli a poesie di strada e a poliritmìe brasiliane, il cornettista Ben LaMar rappresenta quell’avanguardia di Chicago che si muove con “voci nuove ” quali il vibrafonista Joel Ross e i batteristi Makaya McCraven e Hamid Drake, quest’ultimo presente a JAZZMI con Majid Bekkas e Shabaka Hutchings, trio che a mio parere valeva tutto il festival complice l’afro-jazz con sonorità arabe in grado di smuovere perfino gli angoli più reconditi dell’anima.
Capitolo di tutto rilievo, invece, la jam del contrabbassista Christian McBride con il sassofonista Marcus Strickland, il batterista Nasheet Waits e il trombettista Josh Evans, citazionisti a favore di Ornette Coleman, Eric Dolphy e Sonny Rollins, per una musica potente ed espressiva che mi ha letteralmente travolto.
Hamid Drake
Concerto interessante quello di Ashley Henry, giovane pianista britannico d’origini giamaicane appartenente a quella generazione di musicisti all’avanguardia che si muove fra jazz e hip-hop. Altrettanto valido Mansur Brown, virtuoso chitarrista britannico di matrice classica ma estensibile ad altri generi musicali fra swing, afrobeat, il malinconico sound design di Burial e l’hip-hop di Timbaland.
Majid Bekkas
Tutt’altra atmosfera per Lucas Santtana, chansonnier brasiliano allegro e coinvolgente che insieme a Gilberto Gil e a Bebel Gilberto ha “contaminato ” il festival di musica verdeoro. Thee Sacred Souls, visti alla Santeria, mi hanno impressionato per il sound che mischia la soul music anni 60 con il groove r&b dei primi ’70. Il loro cantante, Josh Lane, si è mosso sul palco con una sicurezza da star consumata sfoggiando la sua voce inebriante su ballate per giovani romantici e cuori infranti.
Josh Lane
Che dire invece del John Scofield Trio con il bassista Vicente Archer e il batterista Bill Stewart? La loro ineccepibile performance ha spaziato dal jazz, al funk, fino al blues, mentre un bel bollino di qualità l’ho dato al tastierista Jeff Lorber che ha suonato al Blue Note insieme a Jimmy Haslip (bassista storico e fondatore degli Yellowjackets) e a Sonny Emory (Earth, Wind & Fire, Steely Dan, Bruce Hornsby, B-52’s): un trio di stelle di prim’ordine che è passato dal jazz al rock, dal rhythm & blues al funky e ai ritmi africani rispolverando quella fusion che ha fatto sfracelli negli anni 70 e 80.
John Scofield
Gran finale al Base con il quartetto di Makaya McCraven che è batterista, percussionista, compositore e producer fra i più prolifici della scena contemporanea. Punto di riferimento del jazz d’avanguardia, è un fine sperimentatore e il suo ultimo album In These Times ne è la dimostrazione lampante con le sue composizioni ispirate dalle lotte culturali e da una comunità multietnica come quella di Chicago. In scena con McCraven il trombettista Marquis Hill, il bassista Junius Paul e il chitarrista Matt Gold, per un epilogo col botto in presenza di un pubblico osannante.
Marquis Hill
© Alessandro Curadi