Stavolta ho scelto per le mie divagazioni un libro che ha già una lunga storia alle spalle. O meglio, una nuova edizione aggiornata di un saggio apparso nel lontano 1975 e già allora capace di grandi sconvolgimenti nel dibattito etico sui rapporti fra la nostra specie e tutti gli altri animali. Risale a quell’epoca la nascita di un nuovo termine, specismo, inventato dallo psicologo britannico Richard Ryder e destinato a entrare nella nostra cultura accanto a sessismo, razzismo e magari (perché no?) anche a totalitarismo.

Professore di Bioetica alla Princeton University (USA) e Melbourne, Peter Singer (nato nel 1946 da una famiglia ebrea immigrata in Australia) ha scritto molti altri saggi, senza troppo discostarsi dai temi della battaglia animalista che combatte da sempre. A parte gli ovvi aggiornamenti, questa edizione di Nuova liberazione animale (il Saggiatore, 440 pagine, € 25) si avvale della prefazione di un altro grande studioso, Yuval Noah Harari (l’autore di Sapiens). Insomma, un libro davvero imperdibile ma anche una lettura ardua, a tratti dolorosa, almeno per qualsiasi lettore con un minimo di umana sensibilità. E già qui mi chiedo: ha ancora senso usare espressioni come “umana sensibilità ”? Devo ammettere che la storia della nostra specie animale non mi aiuta a dare una risposta.

Il libro si articola in 6 sostanziosi capitoli. Il 1° affronta il tema dell’uguaglianza e si tratta di un primo nodo non facile da sciogliere. Se è vero che il contrario di uguaglianza è diversità; se è vero che la prima difficile battaglia è stata ed è ancora quella che riguarda l’uguaglianza di diritti delle donne; si può immaginare quanto più difficile è affrontare il tema per gli animali (con tutta la loro infinita diversità). Dunque a quali animali riconoscere qualche diritto? Ai cani, ai gatti? Agli animali domestici o anche a quelli selvatici? E soprattutto in base a cosa? Forse all’intelligenza? Esistono magnifici studi sulle capacità intellettive dei polpi e in generi dei cefalopodi. Forse alla sensibilità estetica? Quante straordinarie esibizioni nell’arte dei colori o dei suoni sono state documentate riguardo agli uccelli! Forse alla capacità d’organizzazione sociale? Bastano le ricerche compiute su formiche, api e altri insetti per riempirci di meraviglia…

Peter Singer
© Derek Goodwin

Tuttavia Singer non ha dubbi e sceglie la strada più logica, quella già tracciata del filosofo Jeremy Bentham (Londra, 1748-1832): La domanda non è “Possono ragionare? ” né “Possono parlare? ”, ma “Possono soffrire? ”. Dunque è dalla capacità di soffrire che si può attribuire a un essere vivente il “diritto a un’uguale considerazione ”. Qualsiasi essere senziente può provare piacere o dolore. Le discussioni sulla linea di confine di chi soffre e chi no sono state lunghe,  appassionate e sembrano ancora irrisolte. Nessuno, a parte l’essere umano, può esprimere la sofferenza attraverso il linguaggio: molti animali, comunque, non sono muti e dai loro versi non è difficile cogliere piacere o sofferenza; altri, come i pesci, sono muti, ma le contorsioni nella loro lunga agonìa sono più che leggibili.

Il 2° capitolo è dedicato all’uso di animali nella ricerca medica e scientifica. In linea di principio dovrebbe trattarsi di sacrifici per salvare vite umane, ma quante volte diventano abusi, neanche utili a realizzare nuove cure? Le numerose testimonianze di “ricercatori pentiti ” raccontano di test su animali che sono autentiche torture, ma che servono soltanto a fare brillanti carriere e a produrre introiti colossali per l’industria della sperimentazione. Il 3° capitolo affronta invece il tema più terrificante: quello degli allevamenti intensivi. Chiunque può rendersi conto delle sconfinate differenze tra l’esistenza degli animali allevati con metodi tradizionali (dove pure non si risparmiano gesti di crudeltà) e quella degli animali nella moderna industria alimentare. Le anime più sensibili sono giustificate se qui saltano qualche pagina e qualche dettaglio. Tuttavia, anche a loro consiglio di dare un’occhiata alle pagine sulle sofferenze delle galline ovaiole e dintorni; oppure di ricordarsi che in moltissimi paesi (come il nostro) esiste una legislazione che prevede nella macellazione di bovini, suini e persino pesci una fase di stordimento prima dell’uccisione, ma per esigenze di tempi di produzione viene ridotta la fase di stordimento e l’animale viene spesso ucciso ancora cosciente.

A questo punto devo introdurre una nota personale, che a qualcuno potrà apparire quasi scandalosa. Sono cresciuto in una famiglia di commercianti del settore alimentare: nel negozio di mio padre si vendeva di tutto e sono stato allevato al piacere del cibo, che non è solo sopravvivenza. Per tutta la mia non breve esistenza ho trovato senza difficoltà di che nutrirmi e ho imparato parecchio sull’arte della degustazione, del mangiare e bere bene, secondo le mie personali preferenze e con la giusta attenzione alla mia salute. Non sono mai stato vegano e tantomeno vegetariano, anche se in prevalenza mi sono sempre nutrito di carboidrati e prodotti vegetali e col tempo ho ulteriormente diminuito il consumo di prodotti animali. Dunque appartengo, per usare le parole di Singer, alla categoria (mica tanto innocente) degli “onnivori coscienziosi ”. Forse, chissà, negli ultimi mesi della mia vita diventerò completamente vegetariano e magari, mentre mi gusterò un bel risotto alle ortiche, chiederò scusa a quelle simpatiche creature urticanti… Già, perché anche il mondo vegetale è vita e come tale è più che probabile che possieda una sua sensibilità, una sua memoria, una sua peculiare intelligenza. Resta comunque la mia gratitudine a Peter Singer e al suo straordinario lavoro, che ci aiuta a raggiungere un grado di consapevolezza rendendoci tutti (al di là delle proprie scelte alimentari) più ricchi: s’intende nello spirito, non nel portafogli.

Ma torniamo alla lettura di Nuova liberazione animale. I successivi capitoli (4°, 5° e 6°) approfondiscono il tema dello specismo e tutto il dibattito storico-filosofico che ci ha portato fino a questi giorni. Indubbiamente specista è già il celebre passo della Genesi, in cui Dio crea l’uomo a sua immagine e somiglianza; e perciò concede a lui il potere su tutto il resto del creato. Dopo la tradizione del 1° popolo monoteista – appunto gli Ebrei – viene quella dei Greci, molto diversa su tanti punti ma non su questo. Infatti Aristotele, oltre a giustificare la schiavitù, sostiene che anche gli animali esistono per servire gli scopi umani. Il pensiero cristiano (nonostante l’amore compassionevole di Francesco d’Assisi e pochi altri) non fa che fondere le 2 tradizioni. Proseguendo nei secoli, né l’Umanesimo Rinascimentale e tantomeno l’Illuminismo cambiano nella sostanza l’atteggiamento degli umani nei confronti degli altri animali. Qualcosa ha cominciato a vacillare con Charles Darwin (1809-1882), ma l’evoluzionismo scandalizza molti ancora oggi e la presunzione antropocentrica è davvero dura a morire.

Immagino che qualcuno potrebbe obbiettare che si sta vivendo tempi così cupi, tra il proliferare di nuove guerre e di disastri climatici, che non è possibile, non può essere prioritario pensare alle sofferenze di milioni di animali. Come se non fossero collegate a tutto il resto… Ma infine mi chiedo: il cinismo dell’industria alimentare non è lo stesso dell’industria bellica? Forse, per salvare questo magnifico pianeta, la prima cosa da cambiare è la mentalità egocentrica della specie animale dominante. Sempre che ci sia ancora il tempo.