11 settembre 1962. A Milano, il livornese Gianfranco Baruchello incontra al ristorante El Ronchett di ran il francese Marcel Duchamp. È immediata l’empatìa fra l’inusuale pittore e il geniale ideatore del ready-made, che dell’opera baruchelliana darà un’interpretazione persuasiva e calzante: «Fa dei grandi quadri bianchi», dichiarerà senza indugi, «con delle cose piccole piccole che bisogna guardare da vicino».

Gianfranco Baruchello
(1924-2023)

Si riferisce, Duchamp, alla folgorante mise en place che Baruchello “apparecchia ” su ogni candida tela capiti fra le setole del suo pennello, tracciando minuscoli disegni da agganciare e sganciare a parole dipinte in libertà, metaforeperifrasi e calembours in un labirinto visibile e al contempo cerebrale, che s’identifica nell’ambizione duchampiana del “porre la pittura al servizio della mente ”.

Di nuovo a Milano, a 1 anno dalla scomparsa di Gianfranco Baruchello alla venerandissima età di 99 anni la galleria MASSIMODECARLO mette in scena fino al 9 marzo 2024 nello splendore marmoreo dei suoi ampi spazi (Casa Corbellini-Wassermann, progettata negli anni 30 dall’architetto Piero Portaluppi per le famiglie Corbellini e dell’imprenditore farmaceutico tedesco August von Wassermann) la mostra intitolata Primo alfabeto che in collaborazione con la Fondazione Baruchello e con la curatela di Carla Subrizi e Maria Alicata riunisce per la prima volta una ventina di opere eseguite fra il 1959 e il 1963. È il periodo che vede Baruchello alla ricerca di un alfabeto personale da lui stesso definito “provvisorio ”, da riferirsi al corpo e alla sfera affettiva e da porsi idealmente in relazione con artisti a lui contemporanei: il neodadaista Jasper Johns, il concettuale Piero Manzoni, il poverista Jannis Kounellis.

Primo alfabeto (1959-1962)

Prologo e simbolo della mostra è Primo alfabeto, con la doppia datazione (1959-1962) a indicare il processo temporale della nascita e della formazione di “pre-immagini ” che lo identificano. Come annota Carla Subrizi nel testo a corredo dell’esposizione, “l’alfabeto di Baruchello vuole muoversi sul terreno dell’ipotesi, dell’ambiguità dei significati, dell’esplorazione dell’insolito; al di fuori dalle categorie già stabilite non per rifiutarle, ma perché tutto deve essere sottoposto a verifica ”.

E ancora: “Dire personale, per Baruchello, non indica un sistema individualizzato in cui credere e a cui affidarsi, ma la sfera del tutto arbitraria di una ricerca basata su ipotesi, mai assoluta o da intendersi raggiunta in una fine. Fine e principio si scambiano continuamente di posizione, così come le cause e gli effetti, il significato e l’assenza di significato. Indagare il nulla del significato, ovvero i territori di confine o ancora sconosciuti, è ciò che lo interessa ”.

In questo “dizionario provvisorio ”, a mettersi in evidenza sono le sagome stilizzate e piatte che annullano ogni parvenza di forma umana, mentre in Elementi alfabetici e nell’Insieme di personaggi – dipinti fra il 1960 e il 1961 – le forme iniziano a sovrapporsi con l’aggiunta cromatica del giallo, del bianco e del rosso, nonché la comparsa di elementi tratti dal mondo industriale e da quello umano.

Che l’anno della svolta sia il 1962, non solo lo testimoniano l’incontro milanese con Duchamp, l’approdo parigino dai galleristi Leo Castelli e Ileana Sonnabend e la partecipazione alla Sidney Janis Gallery di New York alla collettiva The New Realists con artisti quali Arman, Enrico Baj, Peter Blake, Christo, Jim Dine, Tano Festa, Robert Indiana, Yves Klein, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Daniel Spoerri, Jean Tinguely, Andy Warhol e Tom Wesselmann, ma anche la creazione di un “oggetto-scultura ” come Wishing Them All Very Merry Incarnations II, con quella pila di quotidiani nascosti sotto uno strato di vernice bianca e tramutati in un parallelepipedo incollato a una tavola lignea dipinta di minio allo scopo d’annullare la forza dell’informazione che stava assumendo un peso significativo nell’ambito dell’arte; o come Grande Palomar, ovvero le forme smaterializzate e ridotte a un’astrazione di linee e di colori.

Dal 1963 in poi, complice la personale romana alla galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis, Baruchello farà sedimentare la sua definitiva figurazione che non mancherà di cogliere riferimenti al New Dada e alla Pop Art, ma soprattutto avrà le sue fondamentali presenze in quelle minuziose scritte in quei minuscoli disegni. Il dado, finalmente, è tratto.

Gianfranco Baruchello, Primo Alfabeto, installation view at Massimo De Carlo, Milano, 2024
Courtesy Massimo De Carlo, photo: Roberto Marossi

Gianfranco Baruchello
Primo alfabeto
Fino al 9 marzo 2024, galleria MASSIMODECARLO, viale Lombardia 17, Milano
tel. 0270003987