New York, settembre 1968. Lou Reed convoca al Riviera Café nel Greenwich Village il chitarrista Sterling Morrison e la batterista Maureen Tucker. Dopo aver annunciato che il violista/avanguardista John Cale è uscito dal gruppo, rincara provocatoriamente la dose: «Volete andarvene via con lui o restare qui con me?». Sterling e Moe sono delusi ma tutt’altro che sorpresi. Sapevano che prima o poi sarebbe accaduto: impossibile far coesistere l’ego di Lou con quello (altrettanto straripante) di John.
I Velvet Underground, dunque, voltano pagina. Entra in formazione il bostoniano Doug Yule, bassista e tastierista sponsorizzato dal nuovo manager Steve Sesnick, fra novembre e dicembre 1968 la band incide ai TTG Studios di Hollywood e a marzo 1969 il loro 3° album, The Velvet Underground, è sul mercato discografico. «Ero convinto che non avremmo dovuto realizzare un altro White Light/White Heat», confiderà Lou Reed. «Sarebbe stato un imperdonabile errore e ci credevo davvero. Dovevamo mostrare un lato differente di noi stessi». The Grey Album (soprannominato così per la copertina grigia che ritrae i 4 seduti su un divano della Factory di Andy Warhol, a luci soffuse, fotografati da Billy Name) è ovattato anziché essere abrasivo, cantautorale invece di sperimentale (tranne per l’inaspettata The Murder Mystery). Che sia rock (What Goes On, Beginning To See The Light), blues (Some Kinda Love) o predisposta alla melodia (Candy Says, Pale Blue Eyes, Jesus), la cifra compositiva di Lou Reed è chiaramente votata alla “forma canzone”. Il velluto, stavolta, è sostanza e lo puoi musicalmente “toccare”.
The Velvet Underground: Doug Yule, Lou Reed, Sterling Morrison, Maureen Tucker
Nel 2013 The Velvet Underground si è moltiplicato x 6 Cd: il 1° con il Valentin Mix delle 10 canzoni; il 2°, il Closet Mix di Lou Reed. Difatti, dopo la registrazione e il missaggio del disco effettuato dall’ingegnere del suono Luis Pastor “Val” Valentin, Lou torna in studio insoddisfatto del risultato e remixa il tutto. A Sterling Morrison, in particolare, l’ellepì non piace: suona in un modo claustrofobico, come se fosse stato inciso in un cassetto (“closet”). Negli Stati Uniti viene pubblicato con il Closet Mix; in Gran Bretagna con il Valentin Mix. Le successive ristampe abbandonano il Closet Mix, eccezion fatta per il ben noto boxset Peel Slowly And See del 1995. Il 3° Cd propone invece la versione mono utilizzata per le copie promozionali + la single version di What Goes On. Il 4°, che comprende il cosiddetto Lost Album inciso nel 1969 ai Record Plant Studios di New York, sgrana Lisa Says, Andy’s Chest, Ocean, Coney Island Steeplechase, I Can’t Stand It, She’s My Best Friend e We’re Gonna Have A Real Good Time Together che Lou Reed riutilizzerà, modificandole, nei suoi dischi solisti. Il 5° e il 6° Cd offrono il Live At The Matrix inciso il 26 e 27 novembre 1969 nell’omonimo club di San Francisco. Strepitosa la scaletta: si va da I’m Waiting For The Man a Rock & Roll; da White Light/White Heat a Sweet Jane, con contorno di Heroin e dei 37, incendiari minuti di Sister Ray.
The Velvet Underground (1969, Polydor)