Diciamocelo in tutta franchezza. Il rock vive momenti d’appannamento, latitano idee e progetti, il vuoto si espande nella dispersione di cuffiette, “downloads”, condivisioni “social”. Eppure c’è stato un tempo in cui il Rock (quello con la maiuscola) dominava le classifiche di mezzo mondo con dischi come Quadrophenia degli Who, ovvero The Maximum R&B Band. Detto per inciso: band assai particolare, più originale rispetto a qualsiasi altra. Prima di essere gruppo, infatti, The Who sono tutti solisti del proprio strumento, voce inclusa. Lo capirete ascoltando fin dalle prime note quest’album: perchè Keith Moon (batteria) non si limita a tenere il tempo, ma disegna su tamburi e piatti (soprattutto questi ultimi) una tonnellata di rullate riuscendo sempre e miracolosamente a dare alla formazione un “bit” perfetto; John Entwistle (basso) diffonde sul manico dello strumento un’infinità di arabeschi arricchendo insieme a Moon la più potente, fantasiosa sezione ritmica mai ascoltata. Un discorso a parte merita Pete “braccio rotante” Townshend (chitarra): non un “guitar hero” dagli assoli spaccatimpani, bensì il Master of Sound della band londinese. Infine Roger Daltrey: voce pastosa, che non si pone limiti semplicememte perchè non ne conosce. Registrato fra maggio 1972 e giugno ‘73 agli Olympic Studios e The Kitchen Battersea di Londra, Quadrophenia è una maestosa Rock Opera che narra le vicissitudini di Jimmy, ragazzo affiliato a quei Mods che si scontravano coi Rockers causando grande scompiglio nelle città inglesi. Sfrattato da casa e perso il lavoro, Jimmy cercherà rifugio nelle droghe subendo però una grossa delusione dagli ideali a cui la sua banda si ispirava. Nel prologo, The Sea, si percepiscono il suono del mare di Brighton e gli echi in sottofondo delle canzoni che si susseguiranno. E dopo Roger Daltrey che dà voce alla straziante richiesta “can you see the real me, can you?”, parte The Real Me e dal quel preciso istante lo stereo esplode, forte della sfrontata potenza marchiata The Who.

Si prosegue col pezzo che dà il titolo all’album, magnifico strumentale ricco di chitarre sovraincise, che ci consegna un Pete Townshend in gran spolvero compositivo; e la dolcissima Cut My Hair, in cui vengono riportati i servizi radiofonici sui furiosi scontri fra Mods e Rockers. Con The Punk And The Godfather, la chitarra di Townshend dà il “là” a un’esplosione di sonorità, la ritmica di Entwistle & Moon stringe in pugno lo stomaco e il canto di Daltrey risveglierebbe perfino una mummia egizia. Dopo un simile poker di pezzi, non c’è flessione compositiva: I’m One è una tenera, dolcissima ballata che si risolve in un furioso rhythm and blues dove già s’indovina la futura rabbia del punk; 5.15, soffice e rabbiosa, vede furoreggiare una maestosa sezione fiati; Sea And Sand, Doctor Jimmy, Drowned e Love, Reign O’er Me, suggellano come si deve l’epilogo del disco. Voglio ricordarvi, infine, che da Quadrophenia è stato tratto l’omonimo film diretto da Frank Roddam con gli Who in veste di produttori esecutivi, che sfoggia un’imperdibile colonna sonora con 10 delle 17 canzoni originali, 3 brani che non compaiono nell’album (Get Out And Stay Out, Four Faces, Joker James) e pezzi di James Brown, The Kingsmen, Booker T. & the M.G.’s, The Ronettes e altri artisti amatissimi dalla scena Mod. Inglese e non.

The Who, Quadrophenia (1973, Polydor)