Ecco un “classico” esempio di competitività positiva. E fruttuosa. Nuova line-up, attitudine incazzata, tecnica mostrata ai massimi livelli. Il tutto per cosa? Per dichiarare al mondo, e quindi anche a loro stessi, che “quella è la direzione da seguire“. Già, perchè se i Led Zeppelin hanno picchiato duro fin dal primo disco, i Deep Purple l’hanno fatto al quarto producendo quell’In Rock passato alla Storia: a partire dalla copertina che è l’Icona del rock in assoluto, con quel clone del Mount Rushmore dove scolpiti nella pietra ci sono i 5 volti dei componenti della band inglese anzichè quelli dei 4 presidenti americani; ai pezzi in sè, che hanno ispirato carriere di gruppi a venire, Iron Maiden anzitutto. Certo è più facile quando sei artista e contemporaneamente produttore, scegli Ian Gillan alla voce e Roger Glover al basso formando così la Mark II: cioè la seconda formazione, quella mitica che va dal 1969 al ’73, ripresa in occasione della reunion dell’84. Quella per intenderci che scolpisce nella “roccia” (e quindi per sempre) Blackmore, Gillan, Glover, Lord e Paice, i quali firmano nell’ordine tutti i brani dell’ellepì. Si inizia con Speed King e già potremmo terminare qui: ritmo veloce, suoni di chitarra distorti e accordi semplici ma ben definiti, che è anche la caratteristica peculiare di Blackmore. Tenete poi presente che “speed king” è il modello del pedale super veloce delle batterie Ludwig, già brevettato dagli Anni ’60.

Si prosegue sullo stesso tono e si arriva a Child In Time: che precede, anche se di un solo anno, Stairway To Heaven dei Led Zeppelin ed è anch’essa un “lento”, una ballad o una suite, come la si usava definire in passato. Che oltretutto ha fra le pieghe movimenti di tempo con accelerazioni ed emozionanti aumenti d’intensità sonora. Non sarà una super hit ma è un pezzo di storia della musica; utilizzata, fra l’altro, nelle colonne sonore di Le onde del destino (Lars Von Trier) e Denti (Gabriele Salvatores). I futuri gruppi hard rock ed heavy metal includeranno sempre almeno un lento nei loro dischi: alcuni in chiave blues, altri in forma di ballata. Ma un lento, gli Scorpions e anche i Judas Priest, ce lo metteranno. L’ultimo esempio di modernità e bellezza è la track conclusiva, Hard Lovin’ Man, in puro stile cavalcata “pre-ironmaideniana” col basso terzinato. Se tutto è partito dai Beatles, In Rock ne è senz’altro influenzato: dal feedback chitarristico all’inizio di Speed King (I Feel Fine) e dall’abbassamento del volume, e il suo aumento, nel finale di Hard Lovin’ Man (Helter Skelter). Se Machine Head, primo album registrato per la loro neonata etichetta Purple Records, rappresenta la maturazione artistica dei Deep Purple (avendo inserita in scaletta l’intramontabile Smoke On The Water) In Rock ne è certamente il degno, ruvido punto di partenza.

Deep Purple In Rock (1970, Harvest)