Il rock ha sempre avuto i suoi orgogliosi inni generazionali. Negli anni 50 Rock Around The Clock di Bill Haley e Blue Suede Shoes di Elvis Presley; nei 60, My Generation degli Who e (I Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones; nei 70, Anarchy In The UK dei Sex Pistols e London Calling dei Clash. Sempre in quel decennio, glam rock sugli scudi, All The Young Dudes fa sobbalzare non pochi cuori. Dudes = Damerini. Tutti i giovani damerini: come nella miglior accezione glamour, fra allusioni omosex e una spiccata propensione all’estetismo.
Fiore all’occhiello dell’omonimo album uscito l’8 settembre 1972 – il cui art concept originario è la foto scattata da Mick Rock a un kid con la sua chitarra di carta, poi sostituita dalla pagina pubblicitaria di una marca d’abbigliamento maschile, la Society Brand Clothes, pubblicata il 24 marzo 1917 sul Saturday Evening Post – il brano viene composto da David Bowie per i Mott the Hoople. All’apice della notorietà con l’incarnazione efebico/aliena di Ziggy Stardust, l’artista londinese acciuffa per i capelli la band capitanata da Ian Hunter (voce, chitarra, piano) affiancato da Mick Ralphs (chitarra), Pete “Overend” Watts (basso), Dale “Buffin” Griffin (batteria) e Verden Allen (tastiere).
Mott The Hoople
Estimatore del quintetto inglese, Bowie non può tollerare che dopo un pugno di dischi ai bordi dell’hard rock e del blues (Mott the Hoople, Mad Shadows, Wildlife, Brain Capers) nonchè un “concerto d’addio ” a Zurigo, i Mott debbano masochisticamente sciogliersi compromettendo ogni possibile chance di successo. Sicchè li iscrive nelle liste glam (farà altrettanto, nei mesi successivi, con il Lou Reed di Transformer e l’Iggy Pop di Raw Power), propone a Ian Hunter il brano Suffragette City (che questi rifiuta: «Era una buona canzone, ma noi ne avevamo di altrettanto buone. Ne occorreva una grande», ha di recente dichiarato al mensile Mojo), rilancia senza scomporsi con All The Young Dudes e il gioco è praticamente fatto.
Kid with the Card Guitar, 1972
© Mick Rock – Courtesy of the Mick Rock Estate
Rimasterizzato per il suo mezzo secolo di vita, All The Young Dudes si ripropone in doppio vinile arancio con l’eterna empatìa del suo rock muscolare (Momma’s Little Jewel, la rollingstoniana Jerkin’ Crocus) che si fa volentieri “gayo ” nel nome ancheggiante dell’estetismo “glamour ” (Sucker, One Of The Boys); che rende omaggio ai Velvet Underground con una fedele rivisitazione di Sweet Jane, astutamente collocata in apertura del disco (Ian Hunter affermò che “non essere un gay di New York ” lo aveva messo vocalmente in svantaggio; e con un’infelice battuta riuscì persino a offendere Lou Reed, in visita negli studi di registrazione); che snocciola nel miglior finale possibile una Sea Diver elegantemente arrangiata da Mick Ronson.
Society Brand Clothes advertisement, 1917
Nella sua prima versione intitolata Ride On The Sun, proprio Sea Diver fa parte delle outtakes e delle rarità che rendono assai godibile il 2° Lp: vedi Movin’ On, poi registrata dai Bad Company; Black Scorpio, ossia la futura Momma’s Little Jewel; ben 3 versioni di One Of The Boys (1980 remix, edited, US single); il singolo a stelle e strisce di Sweet Jane; le cover di 3 rock & roll d’annata: Shakin’ All Over e Please Don’t Touch di Johnny Kidd & the Pirates; So Sad (To Watch Good Love Go Bad) degli Everly Brothers. E All The Young Dudes? Sbrilluccica, glam all’ennesima potenza, intonata con maestrìa da David Bowie e Ian Hunter.