A Los Angeles, sulla Sunset Strip, al 1° piano del Rainbow Bar & Grill c’è chi all’alba degli anni 70 s’inventa gli Hollywood Vampires contando sul suo tasso etilico e le sbronze di bourbon di chi passa da lì. Vanno e vengono John Lennon, Ringo Starr, Harry Nilsson, Keith Moon, Bernie Taupin… Chi si strafà di whiskey è il benvenuto in questo club degli alcolisti tutt’altro che anonimi “gestito” da Alice Cooper, lui e il suo boa constrictor in vena glam. E quando l’adrenalina è sobria, hai visto mai che non ci scappi una jam session in compagnia? Nel 2015 Vincent Furnier (già: al debutto in carriera Alice Cooper era il nome della sua band) ha l’idea di riesumare gli Hollywood Vampires sul palcoscenico del Roxy Theatre. Con lui, alle chitarre ci sono Johnny Depp in pausa cinematografica e Joe Perry in pausa dagli Aerosmith. Il resto della formazione è variabile: dipende dai pezzi in scaletta. Sicchè si avvicendano Marilyn Manson, Duff McKagan, Matt Sorum, Tom Morello, Tommy Henriksen. Tutti insieme, sobriamente, rendono omaggio alle rockstar passate a miglior vita.

Nata la superband, tocca all’album d’esordio prodotto da Bob Ezrin (3 titoli su tutti: School’s Out – ovviamente – di Alice, Berlin di Lou Reed, The Wall dei Pink Floyd) che vede aggiungersi al trio un va-e-vieni di pluridecorati musicisti e cantanti quali Paul McCartney, Zak Starkey (figlio di Ringo Starr), Robby Krieger (Doors), Slash (Guns N’ Roses), Brian Johnson (AC/DC), Joe Walsh (Eagles) + Christopher Lee aka Dracula, cavernosa voce narrante all’inizio e alla fine del disco.

Ed è proprio il ritratto del conte dai canini aguzzi a campeggiare sulla copertina di Rise, che a differenza del disco precedente che puntava tutto sulle coverCome And Get It (Badfinger), My Generation (Who), Manic Depression (Jimi Hendrix), Break On Through (Doors), Jeepster (T. Rex), Itchycoo Park (Small Faces), I Got A Line On You (Spirit), Another Brick In The Wall (Pink Floyd), Whole Lotta Love (Led Zeppelin) – si limita a 3 riletture (che vedremo più in là) e tutto il resto è farina del sacco dei Vampires, inclusi i 4 interludi posizionati ad hoc in scaletta: cameristici, pianistici, vocianti, in feedback, da ambient music claustrofobica.

«Credo che Rise possa davvero definire il nostro sound, dal momento che nel primo album abbiamo solo reso omaggio ai nostri fratelli venuti a mancare troppo presto», ha precisato Alice Cooper rivolgendo una simbolica prece a Keith Moon, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Marc Bolan, Ronnie Lane, Steve Marriott, Randy California, Syd Barrett e John Bonham. «Rise nasce da una pura e incondizionata energia creativa», gli ha fatto eco Joe Perry, «che è esattamente quella che si sprigiona quando suoniamo dal vivo».

Proprio così, a iniziare da I Want My Now che credi stia finendo subito, in quell’apocalisse sonica da end tutt’altro che happy, ma il bello deve ancora venire: drumming forsennato figlio del punk, chitarre e tastiere in cima al wall of sound e la voce scartavetrata di Alice a scavallare il tutto fino all’epilogo tardo psichedelico. Si prosegue con il rock & roll ghignante, duro come il marmo di Who’s Laughing Now e il rock blues chiaro e tondo di The Boogieman Surprise, per poi stupire gli astanti con Welcome To Bushwackers featuring Jeff Beck & John Waters, il trash film director qui particolarmente ciarliero. È un Amici miei in salsa country & western, perfino godurioso quando irrompe la chitarra elettrica di Beckola.

Dopo la parentesi paraculamente metal di Git From Round Me, ovvietà del disco, la nostalgia canaglia mi attanaglia: perché New Threat ha l’inconfondibile scorza del glam rock cooperiano. Cosa che vivaddìo si ripete sia con Mr. Spider (siamo nei paraggi dell’album Billion Dollar Babies, destinazione mood sepolcrale di I Love The Dead) sia con We Gotta Rise (vabbè, qui si fa sarcasticamente l’Inno Politico o si muore: come ai bei tempi di Elected). E siccome per gli Hollywood Vampires il caro estinto non è un racket bensì un elogio, ecco in ordine d’apparizione la cover di You Can’t Put Your Arms Around A Memory di Johnny Thunders, ballata che ti entra nel cuore intonata da un Joe Perry stile Keith Richards; una versione di Heroes tutt’altro che vampirizzata, incisa proprio sul luogo del David Bowie berlinese – i leggendari Hansa Studios – la più vicina possibile all’originale, magna cum laude al canto di Johnny Depp; un’ultrasonica, trascinante rivisitazione di People Who Died, la perla maledetta del poeta, romanziere (The Basketball Diaries) rocker sotterraneo ed eroinomane Jim Carroll. Dopodichè titoli di coda ed è Congratulations: grumo di chitarre acustiche, spoken word, un che di tarantiniano. L’epilogo più logico per un disco, Rise, divertito e divertente come pochi altri.

Foto: © Ross Halfin
© Kyler Clark