I neuroni specchio hanno compiuto 30 anni. In quei giorni ormai lontani il gruppo di ricercatori dell’Università di Parma, coordinati dal professor Giacomo Rizzolatti, aveva lavorato a lungo per far compiere un prodigioso passo avanti alle neuroscienze cognitive. E non solo: l’aver scoperto che queste particolari cellule cerebrali riguardassero il fenomeno dell’empatìa e fossero in qualche modo responsabili di ogni volta che un essere vivente si mette nei panni di un suo simile, era un fatto così clamoroso che valicò molti confini interessando anche psicologi e filosofi.

Ricordo ancora che quella notizia mi provocò una specie di conversione: non potevo continuare a usare il mio cervello senza sapere nulla del suo funzionamento e delle basi neurali del pensiero. Cominciò allora il mio percorso di autodidatta che tentava di recuperare attraverso molte letture (spesso assai faticose per la mia preparazione) il gap d’ignoranza che non potevo più accettare.

Finalmente, in occasione della conferenza Il meccanismo mirror e la comprensione degli altri – organizzata dal Centro di Bioetica Luigi Migone – che concludeva nella Sala della Croce Rossa di Parma la serie I mercoledì della bioetica, ho avuto il piacere di conoscere il professor Rizzolatti e di manifestargli tutta la mia gratitudine per avermi aperto una finestra sull’universo delle neuroscienze. Ho sentito persino un po’ di emozione durante la passeggiata con l’amica Eleonora Tarantino (mia guida personale nella città emiliana) prima di raggiungere la Sala in una tiepida serata decembrina: in fondo anche per me sono 30 anni di ricordi.

Giacomo Rizzolatti

La conferenza ha preso il via dal racconto delle prime fasi della ricerca, fra gli anni 80 e 90 del secolo scorso, e con gli iniziali studi sulle scimmie: venivano applicati elettrodi sulla corteccia frontale e si esaminava il comportamento dell’animale. Innanzitutto si è palesata l’importanza di distinguere fra il semplice movimento (qualsiasi spostamento di un’articolazione) e l’atto motorio vero e proprio, quando cioè i movimenti sono collegati per raggiungere uno scopo. Poi si è scoperto che alcuni neuroni si attivavano sia quando la scimmia compiva un’azione, sia quando la vedeva compiere da altri. Ecco i neuroni specchio!

«A questo punto – ha proseguito Rizzolatti – i miei collaboratori erano al settimo cielo; solo io ero ancora preoccupato, temevo che la scimmia ci ingannasse». Così gli esperimenti si sono ripetuti a lungo, quindi sono stati presi contatti con altri centri di ricerca e infine, con tecnologie sempre più avanzate, si sono avviati gli esperimenti su esseri umani, dimostrando che anche nel nostro cervello esiste un simile sistema, ma ben più ricco e complesso, con neuroni specchio presenti in diverse aree cerebrali.

Con una serie di esperimenti di controllo, che si sono realizzati sempre a Parma, si è meglio compreso i rapporti fra attività visiva e attività motoria: se un uomo vede un cane mordere, lo comprende perché ha in comune la capacità di mordere; ma quando lo vede abbaiare non è la stessa cosa, perché l’uomo non abbaia. Così, se un uomo vede un suo simile prendere un bicchiere di birra si attiva nel cervello un’area relativa al sistema motorio, mentre se lo vede compiere un gesto strano si attiva solo il sistema visivo e in seguito deve ragionare per capire cosa sta facendo. «Dunque esistono 2 diversi modi di comprendere le azioni di altri esseri viventi: il primo modo che capisco immediatamente, perché quell’azione è anche dentro di me; e un secondo che riguarda solo l’area visiva ma non quella motoria, per cui in seguito devo ragionare per capirlo cognitivamente».

Rizzolatti ha proseguito descrivendo numerosi altri esperimenti sulla «comprensione delle azioni altrui», sulle emozioni e su come si attivano le stesse aree, sia in chi prova certe emozioni, sia in chi le legge sul volto dell’altro. Quindi ha esaminato la definizione della parola “empatia ”: «La capacità di cogliere e comprendere l’esperienza soggettiva di un’altra persona, cercando di calarsi nei suoi panni, guardando le cose dallo stesso punto di vista». Il che non vuol dire essere particolarmente buoni o comprensivi, ma piuttosto entrare (grazie ai neuroni specchio) nello stesso stato mentale dell’altro. «Quindi – ha precisato Rizzolatti – se io leggo sul giornale dei bombardamenti in Palestina certo mi dispiace, ma non è empatìa. Se invece assisto direttamente a un incidente stradale, magari con un bambino ferito, ho una reazione ben diversa: per un tempo brevissimo provo lo stesso trauma, la stessa sofferenza che prova lui». Si tratta dunque di una condizione emotiva che, per quanto brevissima, provoca un incontro con un’altra persona sul piano soggettivo; cioè si penetra nell’esperienza altrui e non la si considera solo oggettivamente.

«Molti mi chiedono se sarà possibile aumentare l’empatìa. In realtà è più facile l’opposto, cioè peggiorare le nostre capacità empatiche». E qui Rizzolatti è solito portare l’esempio di Adolf Eichmann, gerarca nazista che organizzava il trasporto e lo sterminio degli ebrei, processato e condannato a morte in Israele. Dal punto di vista psicologico risultava una persona d’indole mite e buona, ma un certo tipo di educazione e di propaganda lo aveva convinto che esistevano uomini e sottouomini e che era suo dovere eliminare questi ultimi. Qualsiasi traccia di capacità empatica era stata cancellata dalla sua mente.

Tutto questo non deve comunque determinare una visione troppo pessimistica. Infatti i neuroni specchio e l’empatìa sono ancora al centro di molte ricerche e potranno comunque risultare utili in diverse direzioni, non solo terapeutiche, ma anche più ampiamente sociali: si va dalle nuove indagini su cervello e linguaggio fino alla riabilitazione in ortopedìa, ma in futuro potrebbe contribuire a significativi miglioramenti in malattie gravi come autismo, parkinson e sclerosi multipla. E una fondamentale conferma di tali prospettive è venuta, alla fine della conferenza, dal grande interesse del pubblico e dalle numerose domande rivolte al professore.

Il neuroscienziato insieme a Peppo Delconte

Ora si è fatto tardi, mi resta il tempo per un veloce scambio di opinioni sugli argomenti trattati e Rizzolatti si presta gentilmente a soddisfare le mie domande.

I neuroni specchio possono essere protagonisti anche nella preparazione degli sportivi?
«Certamente. Basta riflettere sui gesti con cui gli atleti mimano la sequenza di movimenti coordinati, per esempio prima di un salto: è la cosiddetta motor imagery, non è solo concentrazione, ma piuttosto è lo sforzo di ripassare l’insieme dei gesti ripetuti tante volte in allenamento e coordinati nei tempi esatti. Se tu pensi prima il gesto che devi fare, lo fai meglio. Qualcosa di simile avviene anche nella riabilitazione e l’uso di video che riproducono i gesti richiesti può essere fondamentale».

Nelle numerose ricerche che si compiono oggi in tutto il mondo, su quali aspetti principalmente si indaga: sul sistema motorio o sull’empatìa?
«Direi su entrambi, anche se quelle sul sistema motorio sono ovviamente più facili, mentre è molto più complicato lavorare sulle emozioni».

Passiamo al mistero della coscienza: lei si è sempre dichiarato piuttosto perplesso sui risultati finora raggiunti. Eppure si continua a sfornare ipotesi e teorie e a pubblicare molti libri…
«Questo è un problema scottante. Prima o poi qualcuno riuscirà a scoprire qualcosa di decisivo, ma in genere su questo argomento si dicono banalità. In un recente convegno in America alcuni hanno parlato di significativi passi avanti, ma la grande maggioranza degli studiosi presenti ha reagito, sostenendo che non è vero e che sostanzialmente ne sappiamo come 20 anni fa. Comunque bisogna precisare che sul coma o sull’anestesìa, come sul sonno, cioè sulla coscienza che scompare o ricompare, si sono fatti passi avanti giganteschi, ma il nocciolo del mistero resta l’autocoscienza, cioè io so di essere io…».

Si può dire che oggi non c’è più contrapposizione tra filosofia e neuroscienze, che filosofi e scienziati possono collaborare fra loro?
«No, secondo me non c’è mai stata contrapposizione: ovviamente i nostri studi, riguardando le emozioni piuttosto che la ragione, interessano più i fenomenologi che i logici. Comunque non c’è contrapposizione. Un filosofo come Giulio Giorello mi ha più volte invitato a fare conferenze a Milano; insieme a un altro filosofo, Corrado Sinigaglia, ho scritto un libro (So quel che fai – Raffaello Cortina Editore, 2006) che l’editore ha considerato un best seller. Ne abbiamo pubblicato insieme un secondo (Specchi nel cervello – Raffaello Cortina Editore, 2019), ma negli anni del Covid ha avuto scarsa promozione e quindi meno fortuna. Ora è stato tradotto in inglese e questo potrebbe rilanciarlo anche qui».

Sulla strada del ritorno mi accorgo di essermi dimenticato (mi capita spesso) di fare un’altra domanda cui tenevo molto: quella sui sogni e su quanto l’attività onirica ha interessato le ricerche dei neuroscienziati. Una dimenticanza imperdonabile. Non mi resta che sperare in un prossimo incontro… D’altronde tutti facciamo sogni e certo anche il professore sogna, magari che i suoi neuroni specchio possano regalare in futuro qualche altra gradita sorpresa all’umanità.