Quando George Harrison pubblicò nel 1973 l’Lp Living In The Material World, sembrava la stella più luminosa fra tutti i Beatles solisti. L’album triplo del 1970 – All Things Must Pass, in cima alle classifiche grazie al brano My Sweet Lord – l’aveva consacrato al pari creativo degli ex compagni John Lennon e Paul McCartney.
Il singolo principale di Living In The Material World, Give Me Love (Give Me Peace On Earth) – secondo N°1 del chitarrista di Liverpool – sembrava confermare le sue abilità di hitmaker, ma accennava anche a un certo tumulto interiore che in parte caratterizza questo suo disco. Un verso del ritornello, “Give me hope, help me cope/With this heavy load ” (“Dammi speranza, aiutami a far fronte/a questo pesante carico ”) sottolinea la condizione di disagio che attraversa fra le righe tutta la canzone.
George Harrison
Quando scrisse la maggior parte dei brani, Harrison si trovava infatti in una situazione di forte stress emotivo: le vendite da capogiro di All Things Must Pass gli avevano consentito di lanciare The Concert For Bangladesh, evento pionieristico di beneficenza all-star che si era portato a casa il Grammy Award come Lp dell’anno, ma questi successi furono seguiti da un vero e proprio “mal di testa ” in rapida crescita: My Sweet Lord venne accusato di plagio; i fondi generati da The Concert For Bangladesh furono causa di forti dispute legali; il matrimonio con Pattie Boyd iniziò a sgretolarsi e come se non bastasse incombeva di nuovo la rottura dei Beatles, faccenda controversa e caotica che si svolgeva nelle aule di tribunale e nelle sale riunioni.
Harrison descrive questi guai legali in modo fulminante nel brano Sue Me, Sue You Blues, la cui collocazione (è la seconda canzone in scaletta) suggerisce fino a che punto i problemi dell’artista abbiano plasmato l’album il cui ritmo, languido, gli dà un’aria leggermente cupa. Se infatti Give Me Love (Give Me Peace On Earth) e la title track forniscono all’inizio note ingannevoli di luminosità mentre Don’t Let Me Wait Too Long e Try Some, Buy Some camuffano lo stato emotivo con arrangiamenti elaborati, Living In The Material World si affida in gran parte a ballate e a un maestoso pop eseguiti così lentamente da essere scambiati per canti delle cerimonie funebri.
La produzione, dello stesso Harrison, aiuta peraltro ad attenuare l’aria di rassegnata introspezione del disco. Inizialmente aveva pianificato di riunirsi a Phil Spector, che aveva prodotto All Things Must Pass; ma quest’ultimo, in quel periodo, pensava solo a ubriacarsi e alla fine George decise di prendere le redini guidando personalmente le sessions nei nuovi studi Savile Row della Apple, ma eseguendo la maggior parte delle registrazioni al FPSHOT, il suo studio domestico a Friar Park. Riunì un gruppo affiatato di compagni di viaggio: Klaus Voormann, vecchio amico dei Beatles dai tempi di Amburgo, si unì ai tastieristi Nicky Hopkins e Gary Wright, al batterista Jim Keltner, occasionalmente a Ringo Starr e insieme andranno a realizzare un Lp che è intimo nell’umore anche se non espansivo nel suono.
La 50th Anniversary Edition sottolinea questa intimità grazie al remix di Paul Hicks, che in precedenza aveva svolto un compito simile su All Things Must Pass; grazie al bonus disc con takes alternative di ogni pezzo dell’album; grazie a Sunshine Life For Me (Sail Away Raymond), pezzo dall’impronta country che Harrison diede a Ringo Starr per il suo Ringo. In generale, le takes alternative offrono poco più che sottili differenze dai brani ufficiali, come la mancanza di strumentazione indiana durante la sezione centrale di Living In The Material World, ma la presenza di 2 composizioni inedite aggiunge quella dose d’allegria vistosamente assente nel disco originale.
Tuttavia, questa vena di tristezza harrisoniana ha un suo fascino e persino nei momenti più silenziosi (Be Here Now è così lenta da sembrare sul punto di fermarsi) i compagni di band portano un certo calore che attenua la tendenza a scivolare nell’acidità. Quell’empatìa musicale, alla fine, conferisce a Living In The Material World una sensazione di sollievo, facendo in modo che ci possa essere una luce tremolante, da qualche parte, nell’oscurità.
Il disco bonus è pura delizia: niente nuove canzoni, a differenza del tesoro del box All Things Must Pass del 2019, ma inedite takes alternative. Be Here Now (Take 8) è ad esempio mozzafiato: minimale, drammatica, niente sitar, per lo più solo Harrison all’acustica con Nicky Hopkins al piano. Gli outtakes sottolineano il fatto che questa è l’unica volta in cui George è stato un bandleader, lavorando con un’unità affiatata di spiriti affini. Se poi Who Can See It è molto più vivace della versione dell’album, Miss O’Dell – lato B del 45 giri Give Me Love (Give Me Peace on Earth) – ci fa sentire George mentre spettegola sul suo vecchio amico della Apple, Chris O’Dell, ridendo così forte da non riuscire a cantare la seconda strofa. L’edizione super deluxe comprende inoltre 1 vinile esclusivo con la registrazione mai ascoltata di Sunshine Life For Me (Sail Away Raymond) con Robbie Robertson, Levon Helm, Garth Hudson e Rick Danko della Band, insieme a Ringo Starr.
In complesso, questo ambizioso e “lussureggiante ” compendio (con tanto di opzioni) di alcune fra le migliori tracce di George Harrison, è l’ideale sia per chi scopre per la prima volta la magia di Living In The Material World, sia per coloro che desiderano semplicemente rivisitarlo.