Nella musica che chiamiamo jazz, il suono è il terreno di ricerca di tutta una vita. Nel caso specifico del pianista Franco D’Andrea tale ricerca ha radici lontane, lontanissime. Fin dagli esordi nel gruppo di Nunzio Rotondo, poi in seno al progressive rock del Perigeo e ancora nelle memorabili esperienze con Enrico Rava e con Aldo Romano, D’Andrea ha saputo reinventare il suono dandogli nuova vita e a 81 anni compiuti non solo non ha mai smesso di sperimentare ma ha esplorato nuovi territori con Luca Roccatagliati aka DJ Rocca, nel triplo album intitolato Franco D’Andrea meets DJ Rocca (Parco della Musica Records).
Franco D’Andrea
Un incontro, il loro, che dimostra quanto la musica sia avvincente. E se magari qualcuno storcerà il naso, sappia che oggi il ruolo del dj è quello di un musicista che con la consolle e il computer tesse le proprie trame interfacciandosi con il solista. Sicchè tutte le possibili connessioni fra jazz ed elettronica vengono proposte in questo progetto kolossal che unisce passioni comuni, generazioni diverse, riferimenti culturali a volte contrastanti ma uniti dalla comune passione per quella forma d’arte chiamata musica. Se D’Andrea è stato il 1° in Italia a utilizzare il piano Fender elettrico e il sintetizzatore, DJ Rocca si è rivelato il 1° a fondere la grande tradizione jazz con i suoni campionati e sintetici dell’elettronica. Era destino, quindi, che i 2 dovessero incontrarsi e iniziassero a dialogare mettendosi umilmente in discussione.
DJ Rocca
Tutto è nato da un remix che DJ Rocca ha realizzato su un breve frammento di D’Andrea, giudicato da quest’ultimo geniale. Da allora, Franco ha inserito il lavoro di Roccatagliati in diversi suoi progetti, ma non aveva ancora immaginato un dialogo musicale a 2. In Franco D’Andrea meets DJ Rocca non esiste una “scaletta” e neppure un repertorio di riferimento: tutto è nato e si è sviluppato al momento. Riff, sequenze ritmiche, intervalli, poliritmìa, timbri, sono alla base di un dialogo che man mano è diventato più serrato, più “complice“.
Prima ancora di essere un disc jockey e un appassionato di elettronica, Roccatagliati è un cultore di musica jazz che ha frequentato il Conservatorio e vanta una preparazione musicale d’altissimo livello; il che gli ha consentito di dialogare alla pari con il pianista di Merano dando vita a un’opera che si rivela snodo fondamentale nella storia della musica di derivazione afroamericana prodotta nel Belpaese. D’ora in poi, chiunque auspicherà un incontro fra jazz ed elettronica dovrà fare i conti con questo labirinto ritmico che l’incisore e grafico olandese M.C. Escher (1898-1972), maestro delle geometrie visionarie, avrebbe saputo catturare al meglio su tela.
D’Andrea ci offre una prova magistrale della sua sapienza: fraseggi che rimandano a Thelonious Monk si frappongono a sortite à la Cecil Taylor, facendo sì che tutta la storia del pianoforte jazz si concentri sulle sue dita. DJ Rocca, dal canto suo, gli fornisce elettronicamente ciò di cui ha bisogno, ovvero la libertà d’inserirsi a suo piacimento nelle trame futuriste, perfettamente compatibili con il suo linguaggio. La loro è una sorta di “estatica estetica“: a ogni fraseggio pianistico, corrisponde un soundscape elettronico. Fruscii, suoni sintetici, schiocchi, tappeti sonori, ritmi incalzanti e ipnotici si fondono con la magia insita nel pianoforte. Il passato incontra il futuro per dare vita a un presente musicale in divenire, dove confluiscono ricordi, sogni, suggestioni e la speranza che questo incontro possa avere un seguito.
L’accademica irremovibilità non appartiene ai trascorsi di Franco D’Andrea e tantomeno al background di Luca Roccatagliati. Il che ci fa pensare che questo sia solo il 1° capitolo della lunga storia di un Ulisse catapultato nel mondo dei suoni e delle loro infinite evoluzioni. Le Colonne d’Ercole, con questo affascinante lavoro discografico, le abbiamo già superate. Ora non si naviga più a vista, ma ci si tuffa nell’Oceano alla scoperta di nuove terre da conquistare, di nuovi tesori da carpire.