Difficile concepire adesso l’atmosfera calcistica che precedeva il Campionato 1980/81. Oggi che c’è un’overdose di calcio e che, volendo, si possono gustare le partite del Campionato del Guatemala o che si può conoscere a memoria la formazione del Nizny Novgorod, può sembrare straniante pensare a quel periodo in cui calciatori stranieri non giocavano in Italia. I campionati esteri (ma solo quello inglese, spagnolo e tedesco) erano conosciuti esclusivamente per le squadre più importanti e i calciatori, soprattutto i sudamericani, erano avvolti da un’aura di leggenda.
Ma nell’estate del 1980 venne tolto il divieto di importare calciatori dall’estero; e questo fece salire a mille la curiosità di tutti gli appassionati. Dico solo che quando arrivò Paulo Roberto Falcão alla Roma, tutti si davano di gomito: è “il regista della nazionale brasiliana”. E siccome il Brasile era un mito a prescindere, esserne il regista significava essere qualcosa di mostruoso. Oppure vedere il Torino che acquistava Pato Hernandez, sostituto di Diego Armando Maradona nell’Argentina: e dunque, se costui era quello che veniva subito dopo El Pibe de Oro, doveva essere poco meno in basso del “soglio di Dio“.
Mundialito per Club 1987, Inter vs Porto, Juary e Fabio Calcaterra
La Fiorentina acquistò Daniel Bertoni, che aveva segnato un gol argentino nella finale del Mondiale 1978. Ma chi accendeva la fantasia era comunque il Brasile: la maggior parte degli acquisti stranieri proveniva da lì e a parte Falcão c’erano Luis Silvio per la Pistoiese, Eneas per il Bologna e Juary per l’Avellino.
Di Luis Silvio non c’è molto da aggiungere alla leggenda che si è creata su di lui: sinonimo di BIDONE, c’è chi diceva si fosse ridotto a fare il venditore di gelati allo Stadio di Pistoia; e chi insinuava fosse finito a fare il pornodivo in Brasile. Nulla di tutto ciò. L’unica vera realtà, a dimostrazione del dilettantismo di un certo calcio ruspante degli anni 80, era che la Pistoiese avesse bisogno di un attaccante, di una “punta“. Recatisi a cercare una punta brasiliana, gli esperti (per modo di dire) ebbero informazioni su una “ponta” del Ponte Preta, cioè Luis Silvio, e lo acquistarono. Salvo che, col termine “ponta” i brasiliani intendono un’ala e non un attaccante; e così Luis Silvio fallì ma i pochissimi filmati che lo mostrano, dimostrano che non era poi tanto male: seppur se leggerino, aveva un buona tecnica.
Eneas, morto tragicamente nel 1988, era invece un buon centrocampista che fece un bel Campionato a Bologna, ma lo spettacolo lo avrebbe garantito Jorge Dos Santos Filho detto Juary, acquistato dall’Avellino. Dal Brasile erano già filtrati alcuni video dove si vedeva questo attaccante esterno, mingherlino e dalla velocità impressionante, segnare e poi esultare danzando intorno alla bandierina del corner. Sarebbe bastato anche di meno, per esaltare l’affamata curiosità dei calciofili italiani; e d’altronde, solo la sua presenza giustificò la compagnia di un amico milanista per un dimenticabile Inter – Avellino di Coppa Italia. Juary non toccò palla per decine di minuti ma poi, a un certo punto, sulla ¾ gli arrivò un passaggio e con le sue gambette partì veloce come un proiettile per infilarsi nell’area nerazzurra senza neppure dribblare. Semplicemente lasciò sul posto i difensori e poi tirò costringendo Ivano Bordon a una parata impegnativa. Superfluo dire che non lo si vide più per il resto della partita. Praticamente tutta Italia attendeva un suo gol e così avvenne finalmente contro il Cagliari: si precipitò al corner, braccio alzato e poi non una vera e propria corsa quanto una danza a passettini attorno alla bandierina.
In quel Campionato Juary si comportò bene: la sua velocità lo rendeva imprendibile e potremmo dire che nella storia dell’Avellino sia stato la migliore ala d’attacco, ma negli anni successivi i suoi limiti vennero a galla: tecnicamente non era fenomenale e il fisico leggerino lo rendeva facilmente “sbattacchiabile” contro le difese. Finchè giocava ad Avellino con gli spazi aperti davanti, le cose avrebbero potuto continuare a funzionare; ma poi venne acquistato dall’Inter solo perché i nerazzurri non erano riusciti a prendere Walter Schachner. Sicchè il piccolo brasiliano si rivelò un succedaneo, neanche tanto valido, dell’austriaco. Credo che l’unico ricordo sia un gol in Coppa Italia proprio sotto la curva Nord, con conseguente balletto sotto il tifo più caldo. Per il resto, un Campionato da dimenticare condito da soli 2 gol.
L’esultanza di Juary dopo il gol segnato al Bayern Monaco
La provincia era la sua dimensione. Infatti, passato successivamente ad Ascoli e a Cremona ebbe modo di riprendersi, ma non andando più in doppia cifra i fasti avellinesi erano ormai solo un ricordo. Tuttavia, Juary ebbe ancora qualche sussulto di gloria quando andò al Porto. In un calcio meno fisico poteva ancora dire la sua, ma soprattutto fu protagonista nel 1988 di un evento che allo Stadio Partenio di Avellino non avrebbe potuto immaginare neanche nei sogni più spinti: segnare il gol decisivo nella finale di Coppa dei Campioni contro il Bayern Monaco.