Ci sono inciampato per caso in questo disco, “allertato” da Giuliano Zorman, il nostro esperto in jazz. Che mi ha chiesto, qualche tempo fa, se avevo ascoltato Iggy Pop duettare con Dr. Lonnie Smith (1942-2021) che dell’organo Hammond B3 è stato proverbiale maestro. Di solito, quando l’ex Stooges batte un colpo io sono lì – per così dire – “sul pezzo”. Stavolta, invece, l’Iguana mi è letteralmente sgusciato via di mano. Tant’è che sono andato sul sito del Dottor Smith da Buffalo, New York; e di lui mi hanno colpito il copricapo dalla foggia indiana e la lunga barba da guru (ho scoperto che la rivista Jazz Times lo aveva definito “un indovinello avvolto in un enigma, avvolto in un turbante”). Dopodichè l’ho messo bene a fuoco nello scatto fotografico in bianco e nero con Iggy Pop e infine ho letto di Breathe, l’album dal vivo che ho appena finito di ascoltare per l’ennesima volta ribadendo a me stesso che è una sciccheria.

Dr. Lonnie Smith e Iggy Pop

Chiedo venia, però, se inizio proprio da Iggy che ha avuto facoltà di aprire e chiudere il disco. Ma così è (se vi pare). Mr. Osterberg, che da tempo stimava Lonnie Smith e ne era giustamente ricambiato, ha accolto l’invito del tastierista e nel 2018 ai Criteria Studios di Miami ha inciso le cover di Why Can’t We Live Together (Timmy Thomas, 1972) e di Sunshine Superman (Donovan, 1966). Non c’era verso, però, che riuscisse a trovare il ritmo giusto. Ad accorgersene è stato anzitutto il chitarrista Jonathan Kreisberg, che ha ricordato come all’improvviso, nel bel mezzo dell’ennesima reprise, «Iggy ha iniziato a fare sul serio. Ricordo di essermi girato verso di lui e di averlo visto mentre si toglieva di dosso la t-shirt per ridiventare Iggy Pop, energia compresa».

Risultati: se in Why Can’t We Live Together le morbide dita di Dr. Lonnie Smith assecondano sui tasti la voce calda e pastosa dell’Iguana (che al termine dell’esecuzione esclama un «Niiice!» liberatorio) per poi sublimare la soul music e il felpato easy listening di questa hit (raggiunse la vetta della Billboard Hot 100) contro la guerra – all’epoca in Vietnam – e a favore della pace, l’intrigante e coinvolgente Sunshine Superman viene rivisitata con eleganza sopraffina da un Iggy allo żènit del crooning e da un Lonnie in chiave decisamente space age. Insomma, 2 autentiche perle.

Altrettanto prezioso è dal principio alla fine Breathe, registrato nel 2017 durante una settimana di concerti al Jazz Standard di New York da colui che ha identificato da sempre l’Hammond B3 come «la luce del sole, la pioggia e il tuono»; che è stato introdotto dalla madre al gospel, alla musica classica e al jazz; che s’è letteralmente immerso nelle registrazioni di organisti quali Wild Bill Davis, Bill Doggett e Jimmy Smith; che ha cantato in vari gruppi vocali fra cui i Supremes, ben prima che la Motown Records lanciasse le Supremes; che ha suonato in più di 70 dischi con il “Who’s Who” dei più grandi jazzisti, bluesmen e alfieri del rhythm & blues; che ha militato nel George Benson Quartet; che ha inciso di tutto, dalle cover dei Beatles, degli Stylistics e degli Eurythmics, agli album-tributo a Jimi Hendrix, John Coltrane e Beck, impiegando ensemble che andavano dal trio alla big band di 15 elementi.

Dr. Lonnie Smith è salito sul palco del Jazz Standard con una formazione ampliata: Jonathan Kreisberg alla chitarra, Johnathan Blake alla batteria, John Ellis al sax tenore, Jason Marshall al sax baritono, Sean Jones alla tromba e Robin Eubanks al trombone. L’Hammond B3 del Dottore, in un mordi-e-fuggi con la chitarra che fa faville e un sax che travolge, plasma il jazz scintillante di Bright Eyes, mentre lo swing vellutato di Too Damn Hot s’increspa di assoli d’organo vieppiù travolgenti e il funk e il blues di Track 9 vengono sottolineati da una sezione fiati che non fa una grinza per poi spezzarsi in un rincorrersi di ubriacanti assoli free jazz.

Tutt’altra atmosfera scandisce World Weeps: notturna, sospesa, fatta di rintocchi percussivi e impeccabili fraseggi chitarristici che via via accelerano per fare spazio a un Hammond dalle infinite coloriture sonore. E se Pilgrimage si svela blues dalle increspature gospel affidato alla voce colma di soul del mezzosoprano Alicia Olatuja, gli accordi e le atonalità di Epistrophy, immortale standard del pianista Thelonius Monk, scovano inedite energie nella maiuscola rivisitazione del Doctor.

Lonnie Smith ha debuttato nel 1967 con l’album Finger Lickin’ Good Soul Organ. Mezzo secolo dopo, nuovi ascoltatori – compreso il sottoscritto – lo stanno ancora scoprendo. Il suo Hammond B3, nel frattempo, non ha perso neppure 1 grammo di anima. Rest in Peace, dear Doctor.