Ho la fortuna d’intrattenere da anni scambi epistolari, di mail, di telefonate con alcuni dei miei idoli, protagonisti della scena jazzistica mondiale. Da timido “corretto“, mi avvicino a loro in punta di piedi, senza essere invadente e cercando di stabilire da subito un rapporto improntato al rispetto reciproco, alla simpatia, alla condivisione dell’amore infinito per questa musica. Con alcuni di loro, sono anche diventato amico.
Dave Weckl, grandissimo batterista, l’ho approcciato quasi 40 anni fa. Ero un ragazzo innamorato del jazz elettrico e lui stava imponendosi come il “nuovo fenomeno” del drumming. Il primo a farmi il suo nome è stato Michael Brecker, poi Peter Erskine e infine, quando è entrato a far parte della band di Chick Corea, ci hanno conquistato la bravura e la genialità di questo ragazzo di belle speranze. L’ho contattato via mail così, più che altro per curiosità e non perchè sperassi di entrare in contatto con lui. Ho giocato molto sul fatto che entrambi abbiamo un cognome d’origini germaniche e la chiave è stata che a Trieste, durante il periodo asburgico, un certo Matthias Weckl fu incaricato dall’Imperatore di ridisegnare la struttura commerciale del porto.
Guarda caso, il mio bisnonno era un ammiraglio dell’Imperial Regia Marina Asburgica, che con Weckl aveva intrattenuto rapporti quotidiani di lavoro. A sorpresa Dave mi ha risposto, confidandomi che stava cercando di ricostruire le sue origini europee e austriache in particolare. Così siamo entrati in contatto e da allora ci sentiamo e ci scriviamo regolarmente. E adesso che Dave ha una moglie italiana, Clivia Tanisi, la simpatia si è rafforzata ulteriormente e la cosa mi rende orgoglioso. Quando Chick Corea è venuto a mancare, gli ho inviato una mail in cui esprimevo tutta la mia tristezza per aver perso un punto di riferimento. Dave mi ha risposto commosso.
Dave Weckl
«Chick mi ha cambiato la vita. Prima ero un buon batterista, di cui si parlava bene a New York, ma in pochi mi conoscevano e mi avevano ascoltato. Lui è venuto ad ascoltarmi su suggerimento di Michael Brecker e mi ha ingaggiato la sera stessa. Stava preparando il suo ritorno elettrico e così è nata la Elektric Band, con quel fenomeno del bassista John Patitucci. Con mia grande felicità Chick mi ha coinvolto subito nel progetto. Abbiamo suonato in elettrico, poi in trio acustico e ogni volta è stato emozionante. Non era un leader, era il mio amico Chick che mi dava sempre la possibilità di esprimermi ai massimi livelli. So che molti critici hanno espresso giudizi negativi sulla Elektric Band e perfino sull’Akoustic Band… Ma continuino pure ad ascoltare l’ennesima interpretazione di My Funny Valentine di Chet Baker, o il simpatico Take Five di Paul Desmond. Si trastullino pure con l’ennesima scala cromatica di Charlie Parker… Musicisti grandissimi, ma il jazz è evoluzione, è crescita costante e fa i conti con il tempo in cui viene creato e interpretato. Per paradosso è improvvisazione, ma non ci si può improvvisare critici di jazz! Chick è stato osteggiato troppo spesso nel corso della sua carriera: quando finalmente comprenderemo l’immenso contributo che ha apportato all’evoluzione della musica del nostro tempo sarà troppo tardi. È lui che mi ha insegnato a osare, a non aver paura, a sperimentare: passavamo da Round Midnight, alle sue partiture elettriche complesse e articolatissime. Era un continuo metterci in discussione. Sapeva come ricavare il meglio da tutti noi semplicemente con uno sguardo, un gesto, una parola».
Chick Corea nel 1978
Cosa ha significato diventare il batterista che ha suonato più a lungo con lui dopo autentici fuoriclasse quali Lenny White, Joe Chambers e soprattutto Steve Gadd, che è il tuo punto di riferimento?
«È stata la sfida più importante della la mia vita. Quando Chick mi ha offerto di diventare il batterista della sua nuova formazione ho dovuto applicarmi ancora di più, proprio perchè sapevo che inevitabilmente tutti avrebbero fatto il confronto con chi mi aveva preceduto. Confrontarmi con Steve Gadd è del tutto improponibile, poiché ha reinventato il modo d’intendere la batteria. Io mi sono limitato a suonare, senza eseguire pedissequamente ciò che Chick scriveva, ma cercando di aggiungervi qualcosa di mio. Tieni conto, inoltre, che Chick suonava più che bene la batteria: non a caso, agli inizi della carriera ha inciso con Dave Liebman e con Marion Brown, per cui ogni suo giudizio in merito non era mai banale, anzi!».
Di recente è uscito il Cd che include le partecipazioni al Festival di Montreux…
«Documento molto interessante, perchè raccoglie le famose esibizioni, ormai definite mitiche, di cui tutti abbiamo sentito tessere le lodi e che coprono un arco temporale che va dal 1988 al 2010. Si passa dall’Akoustic Band, con Tom Brechtlein alla batteria che in quell’occasione mi ha sostituito, alla Freedom Band con Kenny Garrett e Roy Haynes. Chick ha sempre avuto il grande merito di rimanere se stesso, ma al contempo di differenziare le sue proposte musicali a seconda dei partner con cui doveva misurarsi. Fai caso a come suona in modo differente a seconda del tandem ritmico che ha dietro di sé: con Jeff Ballard e Avishai Cohen, ad esempio, è più “aperto “, più sperimentale…».
Che significato aveva per lui Montreux?
«Era il festival europeo che gli dava la possibilità di esprimersi liberamente, senza dover per forza di cose dimostrare la sua classe. Montreux gli consentiva un rapporto con il pubblico, un dare-avere, un interscambio che altre situazioni non potevano consentirgli. Pensa al botta e risposta che Chick instaura col pubblico: quanti jazzmen possono dire di raggiungere quel livello d’intimità e di comunione?».
A breve uscirà il triplo album The Future Is Now, live inedito della Elektric Band tratto dall’ultimo tour, quello della reunion.
«Sono curiosissimo d’ascoltarlo, perchè io ho le mie registrazioni (eseguite un po’ di fortuna) e voglio gustarmi quella meravigliosa atmosfera che si respirava durante quella tournée. Ci eravamo ritrovati dopo molti anni d’inattività della band e c’era, oltre all’entusiasmo, una certa curiosità di come ci saremmo ritrovati. Suonare in coppia con John Patitucci è sempre stato un immenso piacere: so perfettamente cosa lui andrà a suonare e riuscire a integrare il suo discorso con le mie trame ritmiche è sempre stata per me una gioia. Chick ci ha sempre lasciato molta libertà e questo emerge, soprattutto dal vivo, dove non hai limiti di tempo e di spazio. In più, il chitarrista Frank Gambale e il sassofonista Eric Marienthal sono 2 solisti semplicemente magnifici».
In tour emerge la personalità del leader, anche perchè si passa molto tempo insieme…
«È la meraviglia del suonare insieme, del condividere. A ogni cena, a ogni conferenza stampa, Chick ci coinvolgeva facendo in modo che fossimo parte attiva. Non è mai stato un leader accentratore, tutt’altro. Sapeva che mai avremmo oscurato la sua figura, ma l’avremmo esaltata proprio stando al suo fianco».
Quello che hai appena detto è bellissimo, perchè un leader questo deve fare: riconoscere che chi ha accanto a sè lo aiuta a essere migliore.
«Ma Chick ha sempre saputo che chi suonava con lui era straordinario! Pensa a Steve Gadd: erano amici da sempre, hanno iniziato insieme, si sono sostenuti a vicenda, si sono aiutati… Sai cosa dicono di lui Stanley Clarke, Al Di Meola, John Patitucci, Carles Benavent? Che è stato un leader fantastico, perchè ha sempre saputo esaltare chi aveva accanto».
Cosa rimane della lezione di Chick Corea?
«Il coraggio di osare. L’umiltà di rimettersi ogni volta in discussione».
Quanto c’era di italiano in lui?
«Chick non ha mai rivendicato le proprie origini. A Rochester, dov’era cresciuto con la comunità italiana (non a caso i primi contatti musicali sono stati proprio con Steve Gadd, anch’egli di origini italiane, e con i fratelli Mangione) non ha mai fatto il “paisà“. Eppure si è sempre interessato di cinema italiano, di musica italiana, di letteratura italiana. Quando trovava qualcosa di valore, era orgoglioso che provenisse dall’Italia. Ricordo che mi parlava di un musicista, Pino Daniele, che definiva geniale. Ma non l’ho mai sentito esaltare qualcosa d’italiano a discapito di altre culture, di altri mondi. Come sai Chick amava la Spagna, si sentiva mediterraneo… Quello era l’ambito culturale che lui riconosceva come suo patrimonio; e nella sua musica cercava sempre d’inserire qualcosa che provenisse da quel particolare ambito, questo sì. Amava moltissimo il vino italiano, la cucina italiana, ma è sempre stato un uomo interessato a tutte le culture del mondo, senza pregiudizi».
L’Eternal Child del jazz ha ancora parecchia musica da regalarci e le prossime pubblicazioni non potranno far altro che confermare la grandezza di un artista che ha sempre saputo rinnovarsi. Che suonasse con l’Orchestra Siciliana, in solo, in trio, in quintetto, in duo con un altro pianista, aveva la capacità di offrire a chi lo ascoltava un aspetto della sua straripante personalità. Esistono più Chick Corea, non 1 solo. E il piacere d’ascoltarlo è un lascito fondamentale per la musica che amiamo: quel jazz di cui è stato assoluto protagonista. Return… to FOREVER!