«Gli italiani hanno perso fiducia nella democrazia, quindi diamo loro la monarchia: la minchiata giusta al momento giusto». Ipse dixit Cetto La Qualunque: verità inconfutabile. Sono trascorsi 9 anni dal suo debutto cinematografico con Qualunquemente, 7 da Tutto tutto, niente niente e tante cose nel Belpaese (per modo di dire) sono cambiate. Era quindi inevitabile che il grottesco personaggio tornasse con CettoC’è senzadubbiamente: autore e protagonista quell’istrione di Antonio Albanese e la collaudata regia di Giulio Manfredonia. Siccome non si parla altro che di politica sovranista, cosa c’è di meglio per l’immaginario collettivo se non portare alla ribalta un Re “Cafonal”, più che valido rappresentante di quei valori italioti che sono il qualunquismo, il maschilismo, l’immoralità? Pronti, via, ecco questa bella favola surreale, a tratti indigesta, un pugno (di risate) nello stomaco. (E.T.)
I tempi erano maturi per il ritorno di Cetto?
«Si tratta di un film fortemente voluto dai fan del personaggio, che da anni mi chiedevano di farlo tornare. Col tempo mi sono reso conto che con tutto quello che succede ultimamente nella politica italiana, Cetto rischiava di trasformarsi in un moderato e che forse doveva riapparire adeguandosi all’aria del tempo, facendosi ancora più trasgressivo e potente. Io e lo sceneggiatore Piero Guerrera ci eravamo ripromessi di pensare a un altro film della serie soltanto se ne fosse valsa la pena, se fosse arrivata un’idea giusta per animarlo con efficacia e con l’energia che meritava. L’idea è venuta dopo 7 anni e ci è sembrata molto divertente: avevamo immaginato in un primo tempo un certo Presidente della Repubblica che fosse una sorta di educatore/guru legato alle religioni, ma poi nel lavoro di documentazione, leggendo e ascoltando varie storie, abbiamo verificato che il mondo della monarchia non è affatto scomparso in Europa, anzi si mantiene vivo e vitale».
E conta tra i suoi esponenti anche il nostro Cetto…
«Ci divertiva l’idea di partire da una strana nostalgia monarchica e abbiamo provato a inventare per il nostro personaggio un ceppo nobile. Ma non bastava, ci siamo industriati a lungo e siamo riusciti a trovare un sostegno credibile: non si sapeva niente di Cetto da 7 anni, era come se fosse stato conservato in una teca per preservarlo e così lo abbiamo immaginato “esiliato” a gozzovigliare a modo suo in Germania, dove vive con una nuova moglie giovane e bella gestendo con successo una catena di pizzerie. Non ha alcuna intenzione di tornare in Italia fino a quando scopre di essere il figlio naturale di un Principe… In un momento come quello attuale, in cui la politica è improvvisata e la gente è cronicamente insoddisfatta Cetto si trasforma: prende lezioni di galateo e di bon ton, inizia a frequentare i nobili, partecipa alla caccia alla volpe e ci sembrava interessante scoprire la distanza tra un uomo così indecente e un certo tipo di istituzioni come la monarchia. Col tempo adotta, così, un tenore di vita da monarca e finisce col proporsi direttamente come Re diventando “Cetto Primo Buffo delle due Calabrie“, con conseguente trionfo del politicamente scorretto che lo porta a molestare sia la democrazia sia la cultura».
Che tipo di collaborazione avete instaurato con Piero Guerrera in fase di sceneggiatura?
«Una collaborazione totale. Abbiamo lavorato in simbiosi e poi, come è naturale, l’intervento e i ritocchi del regista Giulio Manfredonia per rendere tutto più funzionale sono stati fondamentali; c’ è stato un forte spirito di collaborazione e di coesione per poter mantenere lo stesso ritmo e la stessa energia di tutti i reparti. Oltre all’apporto del nostro abituale direttore della fotografia Roberto Forza, vorrei sottolineare anche l’appoggio prezioso e convinto del produttore Mario Gianani che si è innamorato del progetto e ha partecipato al percorso del film in ogni fase con tutto il suo staff della Wildside».
Quali analogie e quali differenze esistono tra questo film e i 2 che lo hanno preceduto?
«Le analogie sono ovviamente legate al personaggio, ma c’è uno sviluppo perché abbiamo elevato Cetto trasformandolo in qualcosa di più sorprendente e anche di più divertente rispetto al passato, quando portava con sé anche una certa durezza. Questa volta è più conosciuto e ci siamo divertiti a renderlo più comico con l’aiuto dei personaggi che lo circondano: la cosiddetta “cupola”, il gruppo di sostegno guidato dal braccio destro Pino lo straniero, interpretato da un Nicola Rignanese in gran forma».
Dietro la macchina da presa c’è ancora una volta Giulio Manfredonia, tuo prezioso alleato ormai da quasi ¼ di secolo…
«Sì, e ne sono felice. Giulio è ogni volta più bravo, siamo cresciuti insieme e in comune abbiamo la voglia di preservare il nostro modo di vivere e di lavorare. Anche lui, dopo aver letto il copione, si è esaltato e siamo partiti con allegria. Vorrei ricordare, poi, l’apporto importantissimo del cast: non conoscevo Caterina Shula e ho scoperto che oltre a essere giovane e bella è un talento raro, sorprendente. Prima delle riprese abbiamo provato le scene come se fossimo in teatro, per me è quasi una regola obbligatoria perché in quella fase puoi modellare battute e dialoghi e lei si è sintonizzata bene con i tempi comici, è entrata nella parte come meglio non poteva. A proposito poi di Gianfelice Imparato, devo dire che è un attore completo in grado di mostrare un’ampia gamma di espressioni. Lo conoscevo e stimavo molto, in particolare per la sua splendida interpretazione nel film Gomorra. Potevo solo sperare che fosse libero nel periodo delle riprese, perché era sicuramente perfetto per il suo ruolo e lui si è fidato del progetto e ha individuato bene il suo personaggio che era quello che speravamo, con sfaccettature giuste, eleganza, garbo, tempi perfetti e grandi sottigliezze. Con Nicola Rignanese, infine, abbiamo recitato un po’ con il pilota automatico: ci siamo dovuti fermare più volte perché sul set morivamo dal ridere e non riuscivamo a frenarci. Valga per tutte la sequenza delle lezioni di bon ton in cui era assolutamente irresistibile nella sua devozione servile».
(L’intervista ad Antonio Albanese è stata gentilmente concessa da Vision Distribution/Wildside/Fandango)
Foto: © Claudio Iannone