E così te ne sei andata anche tu. Ti ho sempre pensato invincibile, immortale, eterna. La tua figura esile ma forte, il tuo sorriso beffardo e irriverente – come la tua musica, d’altronde – i tuoi modi decisi, il tuo carisma, il tuo fascino, il tuo genio… La prima volta che mi sono accorto di te è stato nel 1977: tour europeo, con una band che nelle sue fila annoverava personaggi quali Andrew Cyrille alla batteria, Hugh Hopper al basso, Roswell Rudd al trombone e John Clark al corno francese, solo per citarne qualcuno.

Concerto in piazza gratuito, come si usava allora. Tu sei arrivata per ultima, ti sei seduta all’organo, un cenno della mano e siamo stati inondati da una musica meravigliosa e magica, che pur facendo riferimento alla grande tradizione delle big band jazzistiche, annoverava al suo interno elementi di rock progressivo, di funk, d’avanguardia europea, tracce di minimalismo e di dodecafonìa. Un mix esplosivo che nessuno, allora, era in grado di proporre con la tua onestà intellettuale, il tuo coraggio, la tua sfrontatezza.

Sfrontatezza che ti ha contraddistinto per tutta la vita e tutta la carriera. Hai sempre proposto musica “avanti “, in netto anticipo sui tempi. Fin dai tuoi esordi, quando regalavi le tue composizioni a George Russell, a Jimmy Giuffre, al tuo marito di allora, Paul, a Don Ellis e a Gary Burton, hai saputo mantenere una coerenza e un’incredibile capacità di essere moderna, contemporanea, oserei dire futuribile. Infatti ci sono voluti decenni perchè la critica comprendesse quanto fosse geniale e innovativa Carla Bley. Di origini svedesi, quindi con un chiaro background europeo, ma fortemente americana, hai sempre saputo coniugare questi 2 aspetti, a volte contrastanti, della tua personalità.

Rivoluzionaria” è il termine che ti è sempre stato appicciccato addosso. In effetti, rivoluzionaria lo sei stata tutta la vita, anche in termini politici, schierandoti sempre al fianco di popolazioni oppresse e combattendo per i loro diritti. Hai fatto campagne, hai rischiato il carcere in Portogallo all’epoca del regime fascista di António de Oliveira Salazar, negli Stati Uniti sei stata boicottata dai repubblicani ma non ti sei mai arresa e la tua musica ha sempre riflettuto la tua idea di libertà.

Libertà che non ha mai significato caos, mai cacofonìa, ma la sapiente miscela di regole e improvvisazione,  circondata da musicisti che hanno aderito totalmente e incondizionatamente alla tua estetica di una “panmusica ” che fosse linguaggio universale. Con il tuo fraterno amico Charlie Haden, avete creato quella meravigliosa macchina di protesta e denuncia sociale che fu la Liberation Music Orchestra: e ancora oggi mi vengono i brividi e gli occhi lucidi ad ascoltare i capitoli di quella straordinaria avventura umana e musicale. Da un punto di vista strettamente tecnico, hai portato a compimento gli studi sul sistema cromatico lidio; hai sviluppato l’uso e la coniugazione delle scale pentatoniche indiane; ti sei divertita con scansioni ritmiche impossibili, dispari e terzinate; hai veramente rivoluzionato il concetto di comporre jazz.

E ancora, hai consentito a generazioni di musicisti passati nelle fila della tua orchestra di affermarsi e diventare i protagonisti del jazz odierno. Hai scoperto talenti e li hai valorizzati, offrendo loro un palcoscenico: penso a Terry Adams, a Gary Windo, ad Andy Sheppard, a Julian Arguelles, a Gary Valente. Suonare con te, per te, essere parte di quell’organico perfetto, di quella straordinaria macchina da musica che è sempre stata la tua big band, è stato fonte di orgoglio e di prestigio.

Cosa rimarrà? La tua lezione, il tuo esempio, le tue composizioni, la tua assoluta originalità, nella speranza che le giovani generazioni ti rendano omaggio sempre. Sei nell’Olimpo del Jazz accanto a Duke Ellington, a Count Basie, ai giganti di una musica che ti ha visto protagonista e per la quale ti sei ogni volta spesa, donandoti a essa. Hai onorato la tradizione e l’hai ravvivata con intuizioni geniali, spesso difficili ma sempre affascinanti, se pur iconoclaste e spiazzanti. Hai ascoltato tutta (o quasi) la Musica del Mondo: dissertavi sul canto “su tenuri ” sardo, sulle ballate brasiliane, sui canti dei griot africani del Mali e sulle armonie gregoriane con una competenza degna del miglior musicologo senza mai prosopea, con un’umiltà e un amore verso ogni forma di musica che raramente si riscontra.

La musica era ed è sempre stata la tua vita. Ti ho intervistato anni fa e sei stata talmente gentile da comprendere la mia emozione e mettermi subito a mio agio, grazie anche alla vicinanza di colui che è stato il tuo ultimo compagno: Steve Swallow, gigante del basso elettrico, musicista e uomo di grande cultura a cui va il mio abbraccio in questo triste momento. Il mondo della musica perde una delle sue protagoniste più creative, più affascinanti e più lungimiranti che si possa immaginare. Il vuoto lasciato non può essere colmato da nessuna delle nuove generazioni, perchè nessuna ha dimostrato, finora, di avere la tempra, la personalità, la statura per assurgere al tuo ruolo.

Da Jazz Composers Orchestra fino agli ultimi dischi in trio con Steve e Andy Sheppard, è impossibile scegliere dalla tua sterminata discografia 1 solo o qualche album che meglio ti rappresenti. Ogni tuo album è un unicum: da Dinner Music con gli Stuff di Steve Gadd e Richard Tee, a spalleggiarti in un repertorio dalle forti tinte soul e rhythm & blues, a Musique Mecanique; da European Tour 77, a Social Studies, dove figura quella che a mio giudizio è la tua composizione immortale, Utviklingssang, melodia di struggente bellezza.

Da Big Band Theory, a Lost Chords, fino a Christmas Carols, sono tanti i tasselli per comprendere quel pazzo puzzle che era la tua personalità. Ogni volta ci verrà da sorridere pensando a quella signora bionda, arruffata, spettinata, carismatica e inimitabile che sarà sempre Carla Borg Bley.