“Sono stato ingannato, Signore, mi sento come se mi avessero derubato / Mi sento una grande vittima sacrificale, la mia vita è stata cancellata, annullata e svuotata”

Nel 1979 anche Bruce Springsteen è scosso dalla tragedia sfiorata di Three Mile Island, la centrale nucleare allestita su un isolotto della contea di Dauphin, in Pennsylvania, che alle 4 di mattina del 28 marzo subisce una parziale fusione del nocciolo rilasciando nell’ambiente radiazioni potenzialmente nocive che gettano nel panico la popolazione circostante (lui vive ancora in New Jersey, a poco più di 170 miglia di distanza).

Bruce Springsteen

Corre in studio e registra un brano polemico, concitato e furente, Roulette, il 1° destinato al nuovo album The River da cui verrà tuttavia estromesso diventando un oggetto misterioso da bootleg e da collezionisti fino a quando, 9 anni dopo, affiorerà inaspettatamente come lato B del singolo One Step Up. È la prima canzone “politica” del Boss, scritta e incisa in un momento in cui il ricorso all’energia nucleare è un tema caldissimo e divisivo, sull’onda degli allarmi lanciati dall’esploratore, oceanografo e naturalista Jacques-Yves Cousteau; del clamore suscitato dal processo per omicidio intentato dal padre della chimica e sindacalista Karen Silkwood contro la società Kerr-McGee (produttrice di barre di plutonio per reattori nucleari) e del profetico film The China Syndrome (Sindrome cinese) di James Bridges, con Michael Douglas, Jane Fonda e Jack Lemmon, uscito nelle sale cinematografiche 12 giorni prima dell’incidente.

Springsteen è sconvolto, incazzato, preoccupato. Non ha più dubbi: per la prima volta accetta di prestare la sua faccia e la sua musica a una causa pubblica di rilevanza nazionale, accogliendo la proposta di Jackson Browne, di Bonnie Raitt, di Graham Nash e degli altri fondatori del MUSE (Musicians United for Safe Energy) che lo invitano a esibirsi come headliner in 2 show al Madison Square Garden di New York, il 21 e 22 settembre. Sono gli ultimi di 5 spettacoli organizzati nella più celebre arena al coperto degli Stati Uniti: vi si esibiscono Browne, la Raitt, Crosby, Stills & Nash, i Doobie Brothers, Carly Simon, James Taylor, Jesse Colin Young, Gil Scott-Heron, Peter Tosh e un giovane Tom Petty con gli Heartbreakers. Ma tutti aspettano lui, Bruce, a digiuno di concerti quell’anno dopo che nel 1978 il tour di Darkness On The Edge Of Town gli ha cucito addosso un alone mitico consolidandone la fama di più grande performer sulla piazza.

Chi lo vide allora nel film No Nukes (3 brani soltanto) senza essere mai stato a un suo concerto, ricorda ancora lo shock, la folgorazione, la rivelazione di quell’incontro a distanza attraverso uno schermo: uno shock, una folgorazione e una rivelazione oggi ravvivati dalla pubblicazione integrale del suo show, ricomposto assemblando il meglio delle 2 serate in formato audio (remixato e rimasterizzato dall’inossidabile Bob Clearmountain) e video, 1 Dvd o 1 Blu-ray abbinati al doppio Cd e contenenti la versione restaurata dei filmati su pellicola 16 mm girati con camera a mano da una crew di cui faceva parte il giovane Jon Kilik, che oggi ricorda con entusiasmo quei momenti di cinéma vérité: «Niente prove, nessun segno sul palco, nessuna coreografia, nessun piano», gli obiettivi dei cameramen lanciati all’inseguimento dell’azione senza sapere cosa sarebbe accaduto da un momento all’altro.

Sul palco quelli della E Street Band sembrano ancora una gang di ragazzotti del New Jersey, baldanzosi e con gli ormoni a palla, corpi vibranti, occhi pungenti, scariche di adrenalina a raffica. Giacche, gilet, panciotti e cravattini, vestiti della festa a buon mercato buoni per un matrimonio di provincia o una cresima di periferia, sguardi e pose da film di Martin Scorsese, ciuffi e basettoni, anche se Roy Bittan è già calvo mentre “MiamiSteve Van Zandt non ha ancora abbandonato la coppola per la bandana. “Big ManClarence Clemons è immenso come George Foreman e Muhammad Alì; Max Weinberg è una piovra e rulla implacabile come una drum machine con il turbo; Danny Federici resta seminascosto dietro il suo organo; Gary Tallent con i capelli lunghi ondeggia con il basso mentre Bruce è in movimento perpetuo, invasato come l’avesse morsicato una tarantola, la voce rauca che urla rabbia e invoca redenzione.

E Street Band

La sua Telecaster e la Stratocaster di Van Zandt stridono lacerando il Wall of Sound, uno spectoriano muro del suono d’impatto impressionante amplificato dal missaggio e in cui il collettivo e la squadra contano molto più dei singoli e dei solisti, unica parziale eccezione il pianismo fluido ed elegante del professor Bittan, come sempre risplendente in Jungleland (e peccato per quell’improvvido fan che ne sporca i passaggi più delicati con una fastidiosa trombetta da stadio). Il formato obbligatoriamente ridotto della performance – 1 set da 1 ora e ½, invece di 3 – rende tutto più concentrato, adrenalinico, bruciante. Di fronte a 20.000 spettatori urlanti ed estasiati che invocano Bruuuuce prende forma uno spettacolo in cui si percepisce tensione e non solo divertimento: Springsteen non ama essere ripreso, gli interessa celebrare il momento e non documentare la storia, si indispettisce quando vede Lynn Goldsmith scattargli delle foto da sotto il palco, la trascina su, la presenta come la sua ex fidanzata, la strattona e poi ordina di allontanarla (di tutto questo in No Nukes non c’è traccia: «Non è un momento musicale», si giustifica il regista Thom Zimmy responsabile del montaggio).

Bruce canta come fosse lui stesso seduto su un reattore nucleare, traboccante di passione e di testosterone. Prove It All Night (il 1° barrito del sax di Clemons è accolto da un boato), Badlands e The Promised Land, il trittico iniziale ripreso da Darkness, travolgono e spalancano la strada all’epica amarezza di The River, prima esecuzione assoluta della title track del disco in lavorazione che per Springsteen segna una cruciale svolta compositiva, story song ispirata alle vicende personali della sorella Ginny che assiste in diretta rendendosi conto con imbarazzo e sorpresa che quella canzone parla proprio di lei, del suo matrimonio e della sua precoce gravidanza. Non c’è Roulette in scaletta, il Boss preferisce scaricare lo stress con un altro brano destinato al nuovo disco, la spensierata Sherry Darling, mettendosi a ballare e trascinando Clarence a lato palco, verso un pubblico che poi esplode all’incipit di Thunder Road.

Aperta dal tour de force teatrale di Rosalita (Come Out Tonight), tutta la seconda parte dello show è all’insegna della danza, del divertimento sfrenato, della catarsi: in Stay con Jackson Browne, Tom Petty e la corista Rosemary Butler al microfono, è un regalo inatteso e una tantum; Born To Run è già un inno nazionale; la Detroit Medley che miscela successi e cover di un altro working class hero come Mitch Ryder, trasforma il Garden in una gigantesca pista da ballo facendo sussultare, come avverte Bruce scherzosamente, «i deboli di cuore e di stomaco». Poi, prima dell’omaggio a Buddy Holly con una tempestosa Rave On, tocca ai 9 minuti di Quarter To Three di Gary U.S. Bonds: è il momento in cui Springsteen evoca lo spirito e le pantomime di James Brown, fingendo di crollare sul palco per poi resuscitare, rianimato dai compagni di band. Allo scoccare della mezzanotte annuncia di avere compiuto 30 anni proclamandosi prigioniero di un rock and roll che, attraverso la sua voce, il suo corpo e la musica della E Street Band ha spalancato a tanti, tantissimi, le porte della libertà, dell’immaginazione e del riscatto.

25 anni dopo Elvis Presley ai Sun Studios di Memphis e mentre ancora soffia il vento iconoclasta del punk, con lui anche il rock and roll puro e primordiale resuscitava dopo essere stramazzato al suolo generando una potentissima onda di energia positiva, un messaggio politico di speranza, incitamento e solidarietà che non aveva neppure bisogno di un testo esplicito come quello di Roulette. È una coincidenza, ma significativa, che il suo No Nukes arrivi nei negozi proprio adesso, mentre in Italia il nucleare torna al centro del dibattito politico suscitando nuovi interrogativi e timori per il futuro.