Amici fotografi che conoscono la mia passione pittorica, mi hanno consigliato il concerto di Benjamin Clementine al Castello Sforzesco di Milano. Non te lo devi perdere, ha un viso intenso e particolare, pianista e interprete interessante…

Sovrastando e dominando il pianoforte, seduto a piedi nudi su 1 sgabello da bar con le mani che viaggiavano sulla tastiera all’altezza delle ginocchia e la folta capigliatura di biondi dreadlocks, il cantautore e poeta inglese di origini africane diventato famoso in Francia, autore di 3 album e di 1 Ep, si è presentato sul palco ben conscio della notevole prestanza fisica e scenica. Pubblico numeroso, appassionato e già predisposto all’applauso, conquistato da quella presenza fascinosa e dalle doti vocali non comuni. Al contrario, io non conoscevo Clementine e mi sono stupito dell’entusiasmo quasi eccessivo che si respirava.

Ha iniziato un po’ titubante, forse meravigliato dall’accoglienza meneghina, per poi giocare con la voce, gigioneggiare sulle note di Caruso o di un brano di Andrea Bocelli che nessuno ha intuito, imprecare contro le zanzare che qui, d’estate, sotto i riflettori ti mangiano vivo. Dopodichè, finalmente, Benjamin si è impegnato con alcuni pezzi forti del suo repertorio. Chissà perché, ma in quei momenti mi è venuto in mente Charles Aznavour con Istrione. La cosa buffa è che dopo il concerto ho letto la sua biografia e ho scoperto che nel 2015 ha duettato proprio con il cantautore di origine armena nel brano You’ve Got To Learn.

Benjamin Clementine
© Alessandro Curadi

Eh già, Benjamin Clementine è un istrione che ha fatto la gavetta da artista di strada, che sa stupire, che sa ammaliare, è ironico e la sua voce, accompagnata ritmicamente e in modo cadenzato dal piano minimale alla Erik Satie, ha dominato possente nelle sue canzoni più famose, da London a Genesis. 70 minuti così sono stati forse un po’ troppo, considerando la comparsa in un paio di brani di 1 contrabbassista e di 1 quartetto d’archi che avrebbero potuto dare di più anziché essere relegati a puro elemento scenografico.

Per quanto riguarda invece il vostro Pittoreporter, ritrarre Clementine si è dimostrato arduo considerando la decima fila dove ero posizionato, che è diventata l’ottava per un “buco” fra il pubblico. Sono andato molto a intuizione e a libertà interpretativa, ma il color giallo dei capelli, il nero e il magenta del fondo, mi hanno aiutato a ritagliare e a stagliare il volto dell’artista.

Tirando le somme, un concerto interessante che però non mi ha per così dire “rimescolato le budella ” come ha fatto ad altri a me vicini. Vero è che, di questi tempi, è già un dono riuscire ad ascoltare uno che sa cantare, ma per il sottoscritto manca ancora qualcosa. Da rivedere.