Poteva rivelarsi un monito appropriato per le molte persone che hanno fatto registrare il tutto esaurito il 31 gennaio 2020 al prestigioso Auditorium Parco della Musica di Roma. Certo, se l’eterogeneo pubblico di vecchi e nuovi fans di cui moltissimi giovani sperava, pensava, si aspettava il “vecchioBanco del Mutuo Soccorso, sarà senz’altro rimasto deluso. Accade che parecchi gruppi che hanno conosciuto il successo negli anni 70/80 continuino a esibirsi nella convinzione che dare una leggera spolverata ai gioielli di famiglia sia sufficiente ad accontentare i canuti nostalgici di quei tempi memorabili.

Il Banco di Vittorio Nocenzi ha invece saputo coraggiosamente reinventarsi dopo avere attraversato prove che avrebbero scoraggiato chiunque: sono infatti noti i dolorosi episodi che hanno portato alla perdita di 2 grandi e insostituibili artisti quali Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese, compagni della prima ora. E lo stesso Vittorio ha fatto a pugni con Caronte, uscendone però vincitore. E se l’uomo è fatto di pasta di farine antiche le cui semenze affondano ferocemente nella sua dolce e tormentata terra natìa, il musicista che ospita l’uomo è invece fatto di studio, disciplina e caparbietà: tutte cose che andrebbero insegnate a scuola.

Sapendo tutto ciò, era inevitabile attendersi l’imprevisto viaggio verso territori noti solo ai lupi. Ma il progetto Transiberiana non è solo musicale ma umanistico e rivoluzionario, in questi tempi vuoti di senso e di qualità. Rimettere la musica al centro di tutto, forgiarla a propria immagine e somiglianza, renderla propedeutica e terapeutica. Questa era l’idea. Ma devo raccontarvi del concerto! Scusate l’introduzione un poco lunga, ma mi sembrava utile per comprendere meglio il seguito. Parafrasando Blaise Pascal direi che “ho scritto questo articolo più lungo del solito semplicemente perché non ho avuto tempo di farlo più corto”.

La Sala Sinopoli del PDM ha comode poltrone rigorosamente rosse. Si spengono le luci e senza parole veniamo investiti da una composizione-free dove i toni sono jazzistici, pop rock con afflati di musica classica. Sul palco, al centro, un set di tastiere. Allungo il collo per vedere se è l’ectoplasma di Joe Zawinul che suona, ma guardando bene riconosco Vittorio mentre domina sicuro i tempi dispari frustati dalla sua incontenibile mano sinistra. Poi tutti sulla stessa linea: 2 chitarristi – 1 solista dal suono tagliente, Filippo Marcheggiani; 1 ritmico filtrato all’acido, Nicola Di Già – e ancora il motore basso (Marco Capozi) e batteria (Fabio Moresco), forza e volumi da Iron Maiden.

Mi rivolgo e chiedo al mio vicino sentendomi un po’ stupido: «È il Banco vero? Non è per caso una jam di musicisti americani con Vittorio ospite?». Lui, con gli occhi sbarrati, mi fa: «Statte zitto, famme sentì, è robba forte!». Sentiamo allora: la robba effettivamente è forte ma si dipana con fluidità e naturalezza. Poi, come se fosse semplice, si evolve nell’introduzione di Cento mani e cento occhi e La conquista della posizione eretta, dall’album Darwin.

A questo punto aspetto (non sono il solo) la prova del 9, cioè la voce. Come non pensare a Francesco, alle sue liriche, alle sue poesie cantate con voce da tenore ma con cassa da baritono, modulate e addomesticate con grande, inimitabile arte… Perfettamente a tempo, entra nel tema e in scena il nuovo “cantanteToni D’Alessio. La tentazione di far paragoni è umana, ma devo dire che dura poco: Vittorio ci ha sapientemente portati altrove su un altro piano musicale dove le comparazioni diventano impossibili. Toni entra sicuro come una spada e dimostra una grande, intonata potenza vocale in piena sintonia con le sonorità di questo nuovo/vecchio Banco del Mutuo Soccorso.

Segue poi un percorso ben marcato fra prima e dopo, dove il recente viene dosato con sapienza e integrato alla perfezione come in un unicum programmato. Poi Nocenzi ci delizia con piccole sorprese come il cammeo di un preludio dal clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach e ci parla di musica, ci racconta aneddoti, ci spiega le composizioni. Per lui è un esercizio nuovo, dà l’impressione che lo faccia per sé stesso oltre che per il pubblico, come se gli fosse utile per capire e godere appieno questa rinascita forse inaspettata.

La conclusione del concerto è naturalmente affidata a Non mi rompete, riproposta in una lunga e gioiosa versione in chiave ballo popolare. Una perla. Grandi applausi e tutti a casa, felici di aver perso un’inutile serata di fronte al computer facendo finta di collegarci col mondo. Per quanto mi riguarda, vi invito a salire sulla Transiberiana: ormai mancano poche fermate – 27 marzo Avezzano (AQ), 31 marzo Bologna, 4 aprile Martina Franca (TA) – e non sappiamo quando e come ripasserà. Bon voyage.

Foto: © Mic Mazzieri