Sono gli anni del Fender Rhodes, del piano elettrico, dei primi sintetizzatori, di chitarre elettriche, strumenti amplificatiesperimenti, innovazioni, rivoluzioni, tensioni creative e politiche che generano opere di valore destinate a diventare icone. In mezzo a band americane e inglesi, si impone un quintetto italiano, memorabile, che con 5 album all’attivo rivaleggia alla pari con i mostri sacri del genere.

Un contrabbassista toscano che ha suonato con tutti i nomi più importanti del jazz contemporaneo transitati in Italia; un pianista altoatesino, romantico e sempre aperto ai nuovi linguaggi; un sassofonista veneto, che dimostra più anni di quelli che ha, dotato di una “voce strumentale” riconoscibile; un batterista romano, giovanissimo ma già dotato di gran talento; un chitarrista americano che si è stabilito a Roma. Sono i 5 protagonisti del Perigeo.

Perigeo a Toronto, anni 70

Giovanni Tommaso, contrabbassista e bassista di gran valore, è arrangiatore per la RCA di Roma. Sta lavorando a un disco di Riccardo Cocciante ma ha già in mente un progetto che rivoluzionerà per sempre la scena musicale italiana. Si è innamorato delle nuove esperienze elettriche di Miles Davis e dei Weather Report e vuole proporre una personale visione di quell’estetica jazz. Accanto a sè chiama l’amico Franco D’Andrea, fra i più grandi pianisti europei, e gli suggerisce di cimentarsi al Fender Rhodes. Franco raccoglie la sfida, entusiasta delle possibilità dello strumento elettrico al quale affiancherà il sintetizzatore. Al sax vuole Claudio Fasoli, raro esempio di musicista perfettamente a suo agio in qualunque contesto musicale venga chiamato a esprimersi. Alla batteria sceglie Bruno Biriaco, uno dei pochi a poter suonare quelle istanze che Tony Williams prima e Jack De Johnette hanno sviluppato. Alla chitarra c’è un folletto come Tony Sidney, inserito alla perfezione nel jazz-rock.

La cosa più complessa è tradurre in musica le idee che affollano la mente, aperta e geniale, di Tommaso. Vuole parti improvvisate dove potersi sganciare dall’obbligo di portare il groove, per non limitare la natura jazzistica dei componenti del gruppo. La piramide basata sul suono, sul ritmo e sulla melodia fa nascere lo stile del Perigeo, nome che fa subito intuire le intenzioni: il punto più vicino alla Terra di una qualsiasi orbita, equivale a piedi ben piantati a terra, ma totale libertà di fluttuare nello spazio alla ricerca di sonorità, situazioni, momenti, espressioni.

«I miei sforzi sono tesi a eliminare qualsiasi barriera che si frappone fra il mio strumento e la mia sensibilità. La ricerca sta nel produrre una musica più viva, il più possibile aderente a una realtà individuale che, come musicista, sento il dovere di seguire e proporre con sincerità. L’iniziativa di formare questo gruppo mi ha dato un peso maggiore nella composizione del repertorio e nell’impostazione in generale, ma la cosa fondamentale è che ho chiesto la collaborazione a musicisti eterogenei, ma nel pieno rispetto delle loro personalità, poichè rispettando le singole individualità si riesce a dare il meglio di se stessi. La musica non è solo un modo di produrre suoni: è soprattutto un modo di pensare, di sentire, di vivere. Se è vero che in qualche modo è descrittiva, vorrei che la nostra musica descrivesse quelle sensazioni che ognuno di noi prova».

Parole di Giovanni Tommaso all’esordio della band, che avviene grazie agli ottimi rapporti lavorativi con la RCA e che apre al Perigeo le porte di un contratto discografico tutt’altro che scontato, vista la proposta originale e senza precedenti. Essendo a causa dello stressante lavoro di turnista un “forzato” della musica, Tommaso ha bisogno di una valvola di sfogo per esprimere la propria visione musicale; e il Perigeo diventa il mezzo ideale per intraprendere questa missione. Al suo fianco può contare su Franco D’Andrea il quale, anche se a volte non condivide il suo pensiero, lo sostiene continuando a ripetergli di non preoccuparsi, pur ignorando in quale direzione si sarebbe instradata la loro musica. Giovanni vuole coinvolgerlo anche in fase compositiva; ma Franco, noto per la sua forse eccessiva umiltà, preferisce declinare: «Dobbiamo prima incidere il 1° disco e poi, quando sarò completamente immerso nella tua musica e l’avrò fatta mia, potrò iniziare a proporre mie composizioni».

Tranne Tony Sidney, tutti i componenti provengono dal jazz tradizionale. Il che genera aspre critiche da parte di chi si ritiene depositario del verbo jazzistico. All’epoca è difficile imporre una musica di natura jazzistica, ma con un groove ritmico di derivazione rock e un sound collettivo che poco ha a che fare con gli stilemi classici. La chitarra aggressiva di Sidney, il pulsare del basso, i ritmi binari e i loop reiterati delle tastiere conquistano un’audience più giovane, aperta alle contaminazioni e al sincretismo. In questo, il Perigeo è pioniere di una nuova sensibilità e di un nuovo modo sia di fruire della musica, sia di concepire il messaggio musicale. Il trionfo avviene al Festival del Proletariato Giovanile organizzato dalla rivista alternativa Re Nudo, che li vede esibirsi davanti a 120.000 persone entusiaste e plaudenti.

Il consenso per il Perigeo valica i confini nazionali e ben presto il gruppo si trova a dividere il medesimo palcoscenico con Weather Report e Soft Machine. Joe Zawinul ammette di nutrire profondo rispetto e ammirazione per loro, che considera «un’originalissima visione del linguaggio elettrico, filtrato attraverso la grande tradizione melodica italiana. Davvero bellissimo fondere 2 tradizioni e approdare a una musica così intensa e cantabile. Ma in questo voi italiani siete maestri!».

I 5 album in studio (Azimut, Abbiamo tutti un blues da piangere, Genealogia, La valle dei templi, Non è poi così lontano), Live At Montreux del 1975, il doppio Live In Italy del 1976 e 1 Dvd, sono il contenuto del cofanetto Antologia (RCA) concepito e realizzato dal mio grande amico Luciano Rebeggiani, responsabile del Dipartimento Jazz e Classica della Sony Music. Il grande lavoro di pulizia dei nastri analogici, la rimasterizzazione, le note interne accuratissime, le foto inedite, gli aneddoti, i ricordi e le interviste ne fanno un must per chiunque abbia amato quella straordinaria stagione della musica italiana e di tutto il jazz-rock in generale. Noi italiani, di solito provinciali e avulsi dal contesto musicale che ci ruota attorno, siamo stati invece capaci di offrire al mondo una band che provinciale non lo era affatto, mieteva consensi dappertutto, suscitava invidie ed era considerata leader del movimento elettrico.

Brani come Rituale, Via Beato Angelico, In vino veritas, La valle dei templi, Tamale e Take Off, sono visti alla stessa stregua dei grandi classici del genere e tutt’ora riscuotono il plauso della critica e del pubblico. Giovanni Tommaso ha in seguito riproposto la “formula Perigeo” con un quintetto volutamente chiamato Apogeo in contrapposizione con lo storico gruppo, ma purtroppo non ha raggiunto le medesime vette espressive. La spinta creativa, i compagni d’avventura, le situazioni musicali e i tempi non erano più gli stessi. E allora tuffiamoci senza indugi in queste pagine immortali che spesso andiamo a cercare oltreconfine, ma che parafrasando l’ultimo album del Perigeo “non sono poi così lontane“.