Rumori, soffi, ticchettii. Le antimacchine di Jean Tinguely (1925-1991) sbeffeggiano la società dei consumi basata sul profitto e sullo spreco. Perciò: non producono nulla. Funzionano e basta. Sbuffando. Ha annotato nei Diari un suo grande amico e ammiratore, Keith Haring: «Le opere di Tinguely sono incantevoli e accessibili a molti livelli. Piene di metafore su tutto (dalla vita alla morte, fino all’industrializzazione e ai suoi effetti sulla condizione umana), ti costringono (in ogni caso gentilmente) a vederle, sentirle, diventarne parte». Sembrano le invenzioni d’uno scienziato pazzo a rimirarle una dopo l’altra, a decine, piccole, grandi, mastodontiche, sala dopo sala nel Museum Tinguely di Basilea progettato dall’architetto ticinese Mario Botta, inaugurato nel 1996 e circondato dal meditativo Solitude Park dove svetta l’ubertosa Gwendolyn scolpita e dipinta da Niki de Saint Phalle (1930-2002), compagna d’arte e d’amore dello scultore elvetico, la quale donò al museo le prime 52 opere che via via si sono moltiplicate fino a superare le 200.

C’è per esempio la Méta-mécanique del 1955, sopra un treppiede, che sembra la versione impazzita di un mobile di Alexander Calder. C’è l’Excavatrice de l’Espace (1958), con tanto di motore elettrico, assemblata in collaborazione con Yves Klein. Trottinette, del 1960, è invece una micro-bicicletta ricavata da micro-rottami, mentre Frigo Duchamp dello stesso anno non è nient’altro che un refrigratore, dono del “readymade-man”, che Tinguely s’è divertito a spruzzare d’argento e rosso sangue. E la totemica accumulazione del 1961 chiamate Baluba? Si arrampica nell’aria: tribale, filamentosa, metallica.

Teatrale, kolossal, il Ballet des pauvres (1961) è tutto un volteggiare di abiti, foulards, stole di pelliccia, paralumi. Poco più in là, ecco la ferrea Spirale del 1965 che somiglia alla versione aggraziata della falce e martello. E Crocrodrome del 1977? Un dragone, le cui fauci si aprono e si chiudono alla moviola. E si potrebbe continuare pressochè all’infinito fra mostri, automi, caricature, trovarobato da “marché aux puces” e scarti ossessivi, fino a cogliere la rombante bellezza di Pit-Stop (1984), gigantesca installazione fatta di carrozzerie di Formula 1, pneumatici e ingranaggi; o a percepire l’afflato poetico di Le Grand Oiseau Amoureux, variopinta scultura in poliestere eseguita dalla Saint Phalle e appoggiata su ruote e meccanismi “made by Tinguely”.

Dalle sculture a motore ai tecnigrafi; dalle opere di ferri vecchi ai macchinari tinti di nero; dalle sculture giganti ai cicli “pandemonici“, tutti i capolavori di questo genialoide nouveau réaliste (che come Yves Klein, Martial Raysse, César, Jacques Villeglé, Christo, Gerard Deschamps, Niki de Saint Phalle, Arman e Mimmo Rotella prendeva “materiali desunti dalla realtà, anche quella più banale“) hanno trovato casa dentro questo museo sovraccarico di suoni e di rumori che ha lo straordinario potere di farti tornare bambino: con gli occhi pieni di stupore e il naso all’insù, ad ammirare quest’arte fiabesca, grottesca ironica, ludica. Di seconda mano. Ma proprio per questo terribilmente bella e pronta a confrontarsi con le mostre a tema, d’arte contemporanea, che periodicamente il Museum Tinguely propone.

Museum Tinguely
Paul Sacher-Anlage 1, Basilea
tel. 0041-61-6819320

https://www.myswitzerland.com/it-it/home.html

https://www.basel.com/it

Foto: Museum Tinguely (north and east front), © 2018 Museum Tinguely Basel, Daniel Spehr
Frigo Duchamp, 1960, © The Niki Charitable Art Foundation/2018 ProLitteris Zürich, photo: Museum Tinguely Basel, Serge Hasenböler
Elément Détache I, Relief méta-mécanique, 1954, © 2018 ProLitteris Zürich, photo: Museum Tinguely Basel, Serge Hasenböler
Ballet des Pauvres, 1961, © 2018 ProLitteris Zürich, photo: Museum Tinguely Basel, Daniel Spehr
Untitled, Baluba, 1962, © Museum Tinguely Basel
Homage to New York (Klaxon), 1960, © 2018 ProLitteris Zürich, photo: Museum Tinguely Basel, Serge Hasenböle
Grosse Mèta-Maxi-Maxi-Utopia (detail), 1987, © 2018 ProLitteris Zürich, photo: Museum Tinguely Basel, Daniel Spehr
Niki de Saint-Phalle, Gwendolyn, 1966, in the Solitude Park, © F. Hoffmann-La Roche AG, photo: 2018 Museum Tinguely Basel, Bettina Matthiessen