Si dissolvono un poco alla volta. Fatalmente, la prima ad andarsene via è l’algida Christa Päffgen di Colonia, in arte Nico, che nel 1967 Andy Warhol aveva strategicamente aggiunto nell’intestazione del loro Lp d’esordio; poi è il turno del gallese John Cale, estromesso dall’egotico Lou Reed che a sua volta esce dal gruppo il 23 agosto 1970, dopo l’ultimo concerto al Max’s Kansas City di New York. Ciononostante, gli estinti The Velvet Underground continuano a crescere, a farsi ricordare, a rendersi vieppiù leggendari. Nessuno, come loro, si è rivelato l’antidoto più credibile al sogno hippie; l’Inverno del Nichilismo contrapposto all’Estate dell’Amore.
C’è un loro fan, il giornalista e fotografo francese Alain Dister, che sul finire del 1971 contatta Nico (che vive a Parigi accanto al regista Philippe Garrel), Lou Reed e John Cale, che il caso vuole siano a Londra: il primo impegnato a incidere l’album di debutto solista intitolato a suo nome; il secondo a registrare The Academy In Peril con la Royal Philharmonic Orchestra. I Velvet Underground “smagriti ” (senza il chitarrista Sterling Morrison e la batterista Maureen “Moe” Tucker) rispondono che sì, sono disposti a effettuare un’imprevedibile reunion parigina a Le Bataclan di rue Voltaire. “Velvets reform ”, titola in Inghilterra una rivista musicale svelando che “three members of the original Velvet Underground are to reform for two concerts, in London and Paris, over the next couple of weeks ”. Se la data londinese è destinata a risolversi in un nulla di fatto, il 29 gennaio 1972 rimarrà invece scolpito nella memoria come il 1° e unico concerto unplugged di 3 musicisti che nella setlist hanno dato libero sfogo al loro genio, ai loro accordi e ai loro disaccordi.
Una folla di migliaia di persone sfila nel Bataclan mostrando la medesima, sommessa reverenza dei fedeli, mentre fuori dal teatro 2.000 anime deluse si aggirano ben consapevoli di essere state “esiliate ” da quella che si preannuncia una notte solenne. Ripreso dalla tv francese, il concerto viene registrato e fatto circolare su bootleg a partire dal 1980: Paris 29.1.1972 il titolo del vinile, stampa italiana, copertina azzurra e in basso la dicitura “this is dedicated to Lou & Rachel” (per la cronaca: nata Richard Humphreys, musa e amante di Lou, a metà anni 70 Rachel gli fece da parrucchiera e da tour manager). A seguire, su Cd, l’ugualmente italiano Bataclan del 1997; Le Bataclan ’72 (2003) e Le Bataclan. Paris. Jan 29.’72 (2018), con l’aggiunta di 1 Dvd con le riprese televisive di 5 brani. In tutti i casi, per un errato trasferimento dei nastri originali il suono risulta rallentato e di conseguenza fiacca, se non addirittura “letargica ”, l’esecuzione.
Ben venga, allora, Bataclan: nei formati 2 Lp o 1 Cd con i 14 brani rimasterizzati di fresco + le rehearsal bonus tracks di Pale Blue Eyes e di Candy Says. Notevolmente migliorata la qualità sonora, la giusta velocità è stata finalmente ripristinata dando toni e ritmo al coinvolgente concerto nel quale si confrontano, si mescolano e si sfidano Lou Reed (voce, chitarra acustica), John Cale (voce, viola, pianoforte, chitarra) e Nico (voce, harmonium).
È Lou a inaugurare questo rito pagano, intimista e lo-fi. Accompagnato dalla tastiera di Cale, manda in estasi chi ha la fortuna di esserci, corpo e spirito al Bataclan, con una I’m Waiting For The Man giocata al ralenti, per poi affrontare in un irripetibile crescendo l’estetizzante Berlin («My Barbra Streisand song», sibila al microfono); una The Black Angel Death Song, starring la viola brumosa di Cale, di gran lunga più breve e comprensibile di quella racchiusa nei solchi di The Velvet Underground & Nico; la “conversation piece ” Wild Child, dalle ombreggiature dylaniane; una formidabile versione di Heroin, che non sarà mai più così densa e toccante.
Raccoglie il testimone John Cale e ad offrirsi disinteressata al pubblico è la melodia di Ghost Story, tratta dall’album dell’esordio solista Vintage Violence (1970), seguita dall’accessibile demistificazione velvettiana di The Biggest, Loudest, Hairiest Group Of All e da Empty Bottles, squisitezza composta per la cantautrice americana Jennifer Warnes. Magari sopraffatta dall’emozione, incatarrata senza alcun dubbio dalla nicotina, Nico fatica invece a trovare il passo giusto. Palesandosi e concludendo la sua – logicamente dark – esibizione in territorio V.U. con Femme Fatale, I’ll Be Your Mirror e All Tomorrow’s Parties, fa decantare la propria, glaciale raison d’être (supportata dal fedele harmonium), zigzagando negli album The Marble Index (1968) e Desertshore (1970) fra i tormenti esistenziali di No One Is There, Frozen Warnings e Janitor Of Lunacy.
Negli appunti che corredano il booklet di Bataclan, scritti dall’autrice inglese Nina Antonia – fra le sue biografie ricordiamo Johnny Thunders… In Cold Blood (1987) e The New York Dolls: Too Much Too Soon (2005) – c’è l’ideale chiosa del glorioso evento parigino: “Non proprio una reunion dei Velvet Underground, il concerto al Bataclan è stato sicuramente un bel ricordo di come erano ”.