Per pura coincidenza, Too-Rye-Ay As It Should Have Sounded dei Dexys Midnight Runners è arrivato sul mercato quasi in contemporanea alla nuova versione di Animals dei Pink Floyd: entrambi con una nuova copertina che evoca ma non riproduce la busta originale; entrambi riproposti con un suono differente, migliorato e radicalmente remixato rispetto alle vecchie edizioni considerate insoddisfacenti dagli stessi artisti. Il comandante della brigata Dexys, Kevin Rowland, aveva sempre avuto un rapporto difficile e conflittuale con il suo best seller. Non aveva mai digerito la versione dell’Lp confezionata per la Mercury dai premiati produttori Clive Langer e Alan Winstanley (allora in auge soprattutto per le hit sfornate a ripetizione con i Madness) e servita ai negozi il 22 luglio del 1982. Alte frequenze fastidiose e un sound troppo compresso che toglieva respiro alla musica, a suo dire, oltre a una dinamica insufficiente e incapace di riprodurre fedelmente le sfumature timbriche di una band che, come un’orchestra sinfonica, amava alternare i pianissimo ai fortissimo variando colori, ritmi e volumi.
Dexys Midnight Runners
In occasione del quarantennale, ha potuto togliersi quel fastidioso sassolino dalla scarpa e mondare il “peccato originale”, attribuendo al fonico e produttore Pete Schwier il compito di rimettere mano ai multitraccia originali per poi confrontarsi sui risultati con lui e con la violinista Helen O’Hara. Nessuna aggiunta e nessuna sovraincisione ex post, per fortuna, ma solo un gran lavoro di fader e di manopole sul materiale già all’epoca fissato su nastro per riportare alla luce certi dettagli rimasti sepolti nel missaggio. Con l’obiettivo, ha spiegato lo stesso Schwier, di mettere pienamente in risalto «la focosa emozione» delle parti vocali e di amplificare «la chiarezza e l’energia del sound» apportando alcune correzioni alle parti vocali e strumentali: un trombone che sostituisce un penny whistle all’inizio di Until I Believe In My Soul, un ingresso anticipato degli ottoni in Plan B, il coro che si abbassa di un’ottava in Liars A To E.
Il risultato è Too-Ry-Ay “come avrebbe dovuto suonare”: una director’s cut legittima come l’Apocalypse Now Redux di Francis Ford Coppola o il Let It Be… Naked di Paul McCartney; magari discutibile a tanto tempo di distanza ma indubbiamente brillantissima, proposta in vinile o in formato triplo Cd in 1 nuovo elegante cofanetto a forma di taccuino che nel libretto di 12 pagine racconta, attraverso le voci dei protagonisti, il prima, il durante e il dopo; mentre i contenuti musicali aggiungono al nuovo remix dell’album singoli, lati B, alternate take e outtakes inedite d’epoca, ma soprattutto la scintillante registrazione di un travolgente concerto allo Shaftesbury Theatre di Londra nell’ottobre del 1982: lampante dimostrazione di come i Dexys sapessero trasporre sul palco la complessità degli arrangiamenti eseguiti in studio, innestando spesso una marcia in più.
Qualcuno li ricorda erroneamente come degli one hit wonder che avevano pescato il jolly con Come On Eileen, l’irresistibile pop song che nell’era dei synth e dell’elettronica riportava alla ribalta il folk e i violini strappando a Irene Cara, ai Survivor e ai Culture Club lo scettro di best seller dell’anno in Inghilterra e agguantando il N° 1 anche negli Stati Uniti. Le cose, ovviamente, non stavano così. I Dexys hanno avuto una storia lunga e gloriosa e sono tuttora vivi e vegeti. Amavano i singoli pop da classifica ma erano una band da album dalle notevoli ambizioni e Too-Rye-Ay ha ancora il sapore di un viaggio sonoro colorato come il Sgt. Pepper’s beatlesiano, movimentato come un musical, organizzato secondo una sequenza che va ascoltata d’un fiato, dall’inizio alla fine. Aveva appena cambiato immagine, il gruppo, sostituendo i berrettoni di lana e i giacconi da portuali indossati i ai tempi del 1° album Searching For The Young Soul Rebels con un nuovo look zingaresco che la distingueva da chiunque altro, salopette, foulard, baschi e un aspetto trasandato da busker, da suonatori di strada.
Rowland, nel frattempo, era stato costretto anche a rivoluzionare la formazione, dopo la defezione in massa di tanti ex compagni stanchi dei suoi atteggiamenti dispotici, con il trombonista e coautore dei pezzi “Big Jim” Paterson rimasto come turnista a libro paga mentre fra i nuovi innesti spiccavano la chitarra e il banjo del giovane Billy Adams e i violini degli Emerald Express alias Steve Brennan e Helen O’Hara, studentessa virtuosa della Birmingham School of Music che Kevin aveva subito nominato “Ministra dell’Intonazione” del suo autocratico governo. E aveva sviluppato, “rubando” l’idea all’ex chitarrista Kev Archer, una nuova, coraggiosa e vincente formula sonora controcorrente: un Celtic soul che mischiava le sue radici irlandesi con la musica nera, metteva gli archi in competizione con i flauti e con i sassofoni, usava spesso il pianoforte, l’organo e la fisarmonica in funzione ritmica accanto a basso e batteria, fondendo il pop e il folk con le cadenze ballabili dei vecchi dischi della Stax e della Motown.
Introdotto da una presentazione in stile radiofonico e da un applauso posticcio che ricreava l’atmosfera di un concerto, The Celtic Soul Brothers era il manifesto di quella musica scattante e sanguigna che sprizzava energia incontenibile e grinta post punk strizzando l’occhio a Van Morrison come alla black music di Philadelphia e di Memphis: nell’album si fa apprezzare una versione robusta e piuttosto fedele all’originale di un classico del leone di Belfast, Jackie Wilson Said (I’m In Heaven When You Smile), mentre sul lato B del singolo venne pubblicato un riarrangiamento della celebre T.S.O.P. degli MFSB e nelle scalette dei concerti giganteggiava una travolgente Respect di Otis Redding, che con il suo parossistico crescendo da autentica soul revue è un indiscutibile climax anche dello show londinese riprodotto nel box.
Per tutti i suoi 40 minuti di durata, Too-Rye-Ay si nutre di questi incroci e di questi contrasti. Esaltano ancora il ritmo festaiolo e scoppiettante di Let’s Make It Precious (un incitamento a ricercare la purezza del suono senza quelle chitarre che suonano “troppo grezze e rumorose”); il beat contagioso e martellante di Plan B; le atmosfere cangianti e il break jazzato di Until I Believe In My Soul, un mini musical condensato in 7 minuti in cui un Rowland in crisi mistica si dichiara pronto a sacrificare la carne per entrare in contatto con la sua anima. E commuovono le ballate, l’”ultimo valzer selvaggio” di All In All (This One Last Wild Waltz), le aperture melodiche della bellissima Old, il midtempo avvolgente di Liars A To E, prima dell’apoteosi finale: l’hit single perfetto che contraddice le regole del gioco con tutti quei cambi di tempo e di tonalità, le interruzioni e le riprese, il riff e i coretti che si stampano nel cervello, l’irresistibile accelerazione finale.
La band inglese nel 1982
Nella versione di studio Rowland la chiude intonando a cappella i versi del traditional Believe Me, If All Those Endearing Young Charms scritto dal poeta irlandese Thomas Moore, dopo avere cantato di mamme che piangevano ascoltando alla radio la voce di Johnny Ray e i pensieri sconci indotti dalla visione di una ragazza in abito rosso, diavolo tentatore per un tipo cresciuto in un rigido ambiente cattolico come il suo. Lì, e in tutto il disco, la sua voce strabordante e straboccante di passione si confronta con le perfette orchestrazioni folk soul della band: Kevin gorgheggia (spesso in falsetto), duetta con i coristi, dialoga a ruota libera, sussurra, strilla, singhiozza, ridacchia, talvolta geme, tossisce e fischietta come un moderno crooner sovraeccitato (il nome Dexys derivava dalla dexedrina, droga di riferimento per i cultori britannici del Northern Soul).
Nelle sue pagine e nei bit dei 2 bonus CD, Too-Rye-Ay As It Should Have Sounded integra in maniera esauriente il racconto di quegli anni. Accanto a versioni spettacolari e piuttosto fedeli agli originali dei pezzi dell’album (l’eccezione è una Until I Believe In My Soul più veloce e completamente riarrangiata), la scaletta del concerto di Londra ridisegna con i nuovi colori strumentali diversi pezzi del 1° album, rielaborando il trascinante mix di Giamaica e rhythm & blues di Geno (il primo hit single del gruppo), aggiungendo un assolo di violino a Tell Me When My Light Turns Green, reinterpretando il lento blues di I Couldn’t Help If I Tried, chiamando la risposta del pubblico in Seven Days Too Long e chiudendo sommessamente con lo slow organistico di I’m Just Looking. Il materiale extra di studio serve invece a tracciare il percorso che da Show Me, incisivo uptempo fiatistico prodotto da Tony Visconti e pubblicato 1 anno prima dell’album su 45 giri, arriva alla b side Reminisce (Part 1), con quei fitti dialoghi fra i musicisti che anticipano un tipico espediente narrativo adottato nel successivo Lp Don’t Stand Me Down, documentando fra rantoli e sospiri il ritorno di Rowland a Dublino alla ricerca dello spirito dello scrittore Brendan Behan. In mezzo si trovano versioni alternative di pezzi di Too-Rye-Ay, strumentali sulla scia dei Bar-Kays e di Booker T. & The MG’s, il voce & piano di Love Part 2, l’altro singolo Let’s Get It Straight From The Start in cui il folk irlandese si contamina con il gospel e il country & western americano.
Sono lo specchio dell’irrequietudine di Rowland, che sul palco dello Shaftesbury Theatre, prima che esploda una cacofonìa vocale e che gli ottoni esalino gli ultimi barriti, canta in There, There, My Dear il suo bisogno di ricerca spirituale, mentre in Plan B il coro lo incalza ripetutamente a muoversi e ad andare avanti. È il mantra di una vita e di un percorso artistico: come racconta la O’Hara nel libretto, lui e quel che resta dei Dexys non ci metteranno molto a gettare nella spazzatura le salopette sostituendole con camicie e giacche eleganti acquistate da Brooks Brothers a New York. Il pubblico mainstream e la casa discografica, che si aspettavano un nuovo Too-Ry-Ay invece dell’ambizioso Don’t Stand Me Down, gli volteranno le spalle restando ancorati a quel disco che a Rowland provocò subito frustrazione e imbarazzo, e che solo oggi dice di potere finalmente riascoltare con il cuore in pace.