Sono gli ultimi giorni di agosto e Federico ha compiuto dodici anni da poco. A settembre comincerà la seconda media e quest’anno la sua famiglia è tornata a casa dal mare un po’ prima perché tra qualche mese si trasferiranno nella casa nuova e ci sono ancora tante cose da organizzare. Il tempo d’estate regala ancora caldo e giornate di gioco, ma alla sera il sole tramonta ogni volta un po’ prima e all’ora di cena il cielo ha già il colore dell’autunno che sta arrivando. Certe sere, quando Federico va a dormire, dalla serranda filtra ancora un po’ di luce e lui rimane a guardarla fino a che non resta solo quella dei lampioni della strada davanti a casa. Dopo due mesi passati al mare dalla nonna il profumo di casa è qualcosa di strano, un misto di lenzuola pulite e finestre chiuse, dell’odore della polvere sui libri in sala e quello della cena che viene dalla cucina.

Federico scende ogni giorno in cortile a giocare con gli altri ragazzi del palazzo e nel pomeriggio tutti insieme vanno al bar sotto casa a comprare il ghiacciolo, che fa ancora caldo e le corse sull’asfalto fanno venire sete. Nell’aiuola del cortile, lunga e stretta, i forasacchi si infilano nelle calze di spugna e i ragazzi giocano a lanciarseli come se fossero freccette. Sono settimane che non piove e la polvere si ammucchia sulla strada e sulle auto parcheggiate.

Il ghiacciolo ha un buon sapore e la carta bianca con la scritta BIF fa un bel rumore quando si apre. A dire il vero a Federico non piace entrare nel bar sotto casa: c’è qualcosa che lo mette a disagio, ma non riesce ancora a capire cosa sia. Forse sono le persone sempre sedute a parlare e bere e fumare, Federico non lo saprebbe dire, ma qualcosa c’è. L’ombra in cui è avvolto tutto il bar non gli è mai piaciuta e anche se le due porte sono sempre aperte lì dentro c’è sempre buio, anche nelle giornate di sole. Insomma, non gli piace e preferisce dare le cento lire a qualcuno dei suoi amici e farsi comprare il ghiacciolo aspettando fuori.

Due persone in particolare lo mettono in soggezione: sono due ragazzi, o forse sono uomini, Federico non lo sa, non sa dare un’età a quei due, sembrano giovani, ma non come i suoi genitori e non vestono nemmeno come suo padre che va a lavorare ogni mattina con il vestito intero e la cravatta. Quei due hanno i jeans rovinati, i giubbotti di pelle scura e gli stivali. Uno dei due, quello che chiamano Gancio, è molto alto, ha i capelli lunghi, il viso magro e il naso affilato e beve sempre qualcosa di rosso in cui ogni tanto fa aggiungere un liquore trasparente da una bottiglia rettangolare. L’altro lo chiamano Spado, è un po’ più basso, più muscoloso, rasato a zero, ha i baffi e gli occhi chiari, una bottiglia di birra sempre in mano e parla in un modo strano, come se non avesse la erre.

I ragazzi del cortile sono tutti incuriositi da quei due che sembrano passare la vita dentro al bar, parlando quasi sempre di musica senza fare altro che bere e fumare. Federico e i suoi amici, Vinco, il Cocco, Luca, Davide e Giuseppino e tutti gli altri ne sono spaventati ma anche affascinati. La madre di Federico gli dice di star lontano da quei due che non si sa bene chi siano e probabilmente sono dei poco di buono e la stessa cosa dicono le altre madri ai loro figli.

Stefano, uno dei ragazzi più grandi che quest’anno comincia le superiori, racconta che lui lo sa che quei due hanno la droga. Dice che Spado vuol dire che usa l’eroina che si inietta con la siringa che in gergo si chiama spada e che l’altro picchia da mancino e per quello lo chiamano Gancio. I ragazzi fantasticano su quei due immaginando risse e polizia e fughe e chissà cosa altro. Insomma, Federico al bar a comprare il ghiacciolo non ci va mai volentieri, resta fuori ad aspettare gli amici e da fuori osserva quei due seduti dentro a bere e a parlare. Gli fanno paura i volti di Gancio e Spado, che se hanno dei nomi così è di sicuro perché son dei cattivi e gli fa paura anche il ghigno del proprietario del bar che nessuno sa bene come si chiama e sta sempre dietro il suo bancone a preparare da bere e a scaldare pezzi di pizza e crostini che ogni volta lascia per troppo tempo sulla piastra, facendo arrivare fin fuori l’odore di bruciato. A Federico non piace quel barista tarchiato dalla voce cavernosa, muscoloso e senza capelli ma con baffi e pizzo come Kit Carson dei fumetti di Tex, sempre con un sorriso che non si capisce mai se sia vero o se voglia prendere in giro i ragazzini che entrano e sempre con l’odore di bruciato addosso.

* * *

Michele Ganci e Gabriele Spadoni hanno venticinque anni e si conoscono da quando sono nati, hanno fatto tutte le scuole insieme e poi hanno cominciato a lavorare nell’officina del padre di Michele, aggiustando e truccando moto e motorini. Quando il padre di Michele ha deciso che aveva lavorato troppi anni, ha lasciato l’officina al figlio che ne ha immediatamente ceduto metà all’amico. Dopo pochi mesi i due hanno messo a punto un motore da moto e lo hanno venduto a una ditta di corse che ha rilevato anche l’officina. I due hanno messo in banca i soldi ricavati in modo da avere una rendita mensile che è come uno stipendio. Questo è successo un paio di anni prima e da quel momento Gancio e Spado non hanno più lavorato. I due vanno pazzi per la musica e passano le giornate ad ascoltare la radio del bar e a parlare di dischi. Michele ama soprattutto Pink Floyd e Genesis, Gabriele preferisce i Rolling Stones e ascolta tutto il blues che trova, da qualsiasi parte arrivi. Negli ultimi due anni i due amici hanno speso i loro soldi solamente in birra, Campari e dischi. Nessuno sa dove abitano, ma ogni mattina quando gli abitanti del condominio escono per andare a lavorare e passano al bar a prendere il caffè, quei due sono già lì.

Il proprietario del bar ogni tanto si diverte a stuzzicarli chiamandoli sfaticati e buoni a nulla e non sembra che scherzi.
“Ma voi due non avete altro da fare che star qui a dar fastidio a me? A saper così il bar lo aprivo dall’altra parte della città”.
“Guarda che saremmo venuti lo stesso tutti i giorni, eh Spado? Non è mica facile liberarsi di noi”.
“Sì, ma date cattiva fama al locale. Ogni tanto non potete andare da qualche altra parte? C’è pieno di bar nel quartiere”.
“Sì, ma il tuo è il più bello”.
“Continuate pure a fare gli stronzi”.
“Come vuoi, intanto alza un po’ la radio che questa è l’ultima dei Supertramp ed è bellissima”.
“Sì sì la radio, un giorno vi ci mando io a far colazione in America”.

Passa un camion e non si sente più nulla.
”Cazzo! Ma proprio adesso?! Ma non dovevano fare una tangenziale? Camion e macchine e autobus, non è mica normale che passino tutti di qui”.
“Be’, cosa vuoi? Che faccia deviare io il traffico da una delle strade più antiche d’Italia solo perché voi due volete ascoltare la musica nel mio bar?”.

I due hanno smesso di ascoltare il barista, o almeno così sembra.
”Oh Spado, a novembre esce quello nuovo dei Pink Floyd”.
”Gancio e chissenefvega! Son dei fuovi di testa sballati di acido, vuoi metteve con i Volling Stones?”.
“Roba vecchia, buona ma vecchia. I Pink Floyd sono il futuro”.
“Intanto hanno cominciato solo un paio di anni dopo i Volling…”.
“Sì, ma i tuoi Rolling Stones son vecchi, roba già sentita”.
“Sè sè, savan buoni i tuoi Pink Floyd, han fin fatto volave un maiale su Londva”.
“E allora? A novembre esce quello nuovo, non hanno ancora detto come si intitola ma han detto che è una cosa nuova, speciale”.

Federico resta fuori ad ascoltare i loro discorsi e la musica della radio che arriva anche sul marciapiede, ma di entrare non se ne parla proprio, la paura è troppa. Però la musica piace anche a lui che ha già cominciato a comprare qualche disco, di quelli che si sentono in televisione o quelli di qualche cantante famoso che conoscono i suoi genitori. Uno in particolare che è morto un paio di anni prima di cui Federico vede tutti i film che mandano in tv al pomeriggio e che gli piace da impazzire. I suoi compagni di classe lo prendono in giro dicendo che è musica vecchia, ma a lui piace soprattutto quando canta Jailhouse Rock e American Trilogy.
I suoi amici gli dicono che quello che ascolta è vecchio come fa Gancio con Spado, ma a Federico non importa, Elvis gli piace e basta. Ma di entrare in bar ancora non se ne parla.

* * *

Un giorno Federico chiede ai suoi genitori chi sono i Pink Floyd, ma né suo padre né sua madre ne sanno nulla. Allora lo chiede agli amici più grandi, gente di prima superiore che ha più dischi di lui e che sa le cose della musica rock. Il suo amico Pietro gli presta una cassetta con un triangolo con dei colori in copertina e sulle prime a Federico sembra musica molto strana, ma a forza di ascoltarlo quel disco gli entra in testa e gli piace molto. Lo fa ascoltare anche a sua sorella più piccola, ma lei gli dice che fa schifo.
Intanto è cominciata la scuola e un giorno della prima settimana, appena uscito dalla scuola, che si trova in centro, prima di prendere l’autobus per tornare a casa Federico va a comprare la cassetta e restituisce al suo amico la sua.

Il tempo di ottobre è ancora mite e dopo aver fatto i compiti si scende in cortile a giocare con gli amici. In quel periodo succede che uno dei ragazzi viene messo in castigo per una settimana per aver attraversato senza permesso la strada davanti a casa. Il fatto è che si tratta della via più trafficata della città, dove passano camion e auto ad alta velocità e nessuno dei ragazzi ha il permesso di attraversare senza che ci sia un adulto. La madre del suo amico va a prenderlo direttamente in cortile mentre gioca con tutti loro e lo fa vergognare da tanto che lo sgrida. Il fatto è che si è spaventata a morte poiché il figlio ha rischiato di farsi investire; la madre quasi piange mentre lo sgrida e forse è questo che fa vergognare di più il suo amico. Quando poi si viene a sapere che quella volta anche Gancio e Spado hanno chiamato il ragazzo dicendogli di non attraversare, la sgridata è doppia, ma qualcuna delle mamme comincia a considerare diversamente i due. Il barista invece pare aver fatto finta di non guardare o non ha guardato per davvero.
Il suo amico, però, se la prende più di quanto sembri, tanto che riprova ad attraversare la strada ancora e ancora, senza mai averne il coraggio, così per sfida.

Federico torna ogni giorno dopo la scuola davanti al bar e guarda i due a lungo, tanto che se ne accorgono anche loro e lo invitano ad entrare e anche il barista lo chiama, ma in modo diverso. Quel barista sorride sempre, ma non è un sorriso che invita. Nonostante ciò Federico ha ancora paura a parlare con quegli uomini. Però vorrebbe dirlo a Gancio che anche lui ascolta i Pink Floyd e che gli piacciono davvero, anche se sono diversi da Elvis e vorrebbe chiedergli se hanno fatto altri dischi, ma la paura lo ferma sempre. Ascolta i loro discorsi sulla musica e ascolta la musica che manda la radio – la prima radio libera d’Italia, come dice la pubblicità – ma ci sono ancora cose che lo spaventano. Rimanendo fuori dalla porta guarda i volti di Gancio e di Spado e osserva i loro occhi e un giorno si accorge che non fanno paura o forse è lui che comincia a non averne più paura; mentre gli occhi del barista sfuggono, un attimo prima stanno guardando in un punto e subito dopo sembra che si nascondano.
Un pomeriggio Gancio lo chiama chiedendogli se sa di quel ragazzo che per poco non è finito sotto un camion. La paura di Federico è tale che non riesce a spiccicare parola, se non a farfugliare “amico”. Allora Spado gli dice “state attenti voi vagazzi, vestate in covtile, che se succede qualcosa di bvutto poi nessuno ci può metteve vimedio”.
Federico non capisce bene, ma da quel giorno quei due gli diventano simpatici. Poi succede il fatto di cui parla tutto il quartiere.
Il suo amico, quello che è stato sgridato dalla madre davanti a tutti, ci prova un’altra volta ad attraversare la via e questa volta lo fa mentre sono tutti davanti al bar a comprare il ghiacciolo. Fa uno scatto improvviso e si lancia sul marciapiede dall’altra parte. I ragazzi non fanno in tempo nemmeno a rendersene conto, ma Federico vede, vede tutto quel che succede.
Federico vede che Gancio e Spado si lanciano fuori dal bar prima ancora che il suo amico tocchi terra, prima ancora che il suo amico venga colpito da un camion che arriva dalla parte dell’arco. Quei due si lanciano fuori e si inginocchiano sul suo amico, mettendogli tutte e quattro le mani sul petto e allora Federico non crede ai suoi occhi, ma le ali le vede bene; quattro ali immense e bianche che si agitano nell’aria sopra i giubbotti di pelle scura. È un solo attimo, poi le ali scompaiono e i due prendono in braccio il suo amico e lo portano dentro al bar rimettendolo in piedi. La botta è stata forte, o almeno così sembra, ma il suo amico cammina e parla ancora.
Quella sera non si parla d’altro, in cortile, nel palazzo e in tutto il quartiere. Si dice che al ragazzino è andata molto bene e che non si sa come sia successo.
Quella notte Federico non riesce a dormire, lui lo sa come è successo, ma si chiede se è poi vero quel che ha visto o se l’è immaginato. Dorme sempre poco, quella notte non dorme per niente e la mattina dopo è stanchissimo, ma va a scuola ugualmente. Non racconta a nessuno quello che ha visto. Ha paura di essere preso in giro. Quanto torna a casa, appena sceso dall’autobus davanti al bar, guarda dentro e i due sono lì: Gancio col bicchiere col liquido rosso e Spado con la sua birra a parlare di musica come sempre. Appena si accorgono di Federico lo salutano e lo invitano ad entrare. Federico sorride, non ha più paura di quei due, forse, ma dice che deve andare a fare i compiti e infila di corsa il cancello di casa.

“Cos’è, vi mettete a parlare anche coi ragazzini adesso?”.
“Te fatti gli affavi tuoi Asmo, non sei mica nostro padve, dammi un’altva bivva che questa si è scaldata”.

* * *

Intanto è arrivato l’autunno vero, quello con le nebbie, le castagne e il cielo che diventa scuro a metà pomeriggio e Federico ha cambiato casa. Non gioca più con i suoi amici in cortile e gli dispiace, ma alla fine non è andato ad abitare molto lontano, appena all’inizio del centro e ci sono dei viali dove si può andare in bicicletta e tornare alla vecchia casa in dieci minuti. E Federico ci va, qualche pomeriggio va ancora a giocare in cortile con i ragazzi del palazzo, anche se a volte gli viene da piangere, perché gli sembra di aver perso qualcosa, ma insieme ha la sensazione di avere qualcosa di nuovo. A Federico, per la prima volta nella sua breve vita, sembra di aver fatto un passo avanti, che ci sia stato un cambiamento e questa sensazione arriva più forte quando ascolta le sue cassette. Ne ha comprata un’altra con una mucca in copertina e gli piace anche più di quella con il prisma: ha imparato che quel triangolo con le strisce colorate si chiama così e scompone la luce. Il disco con la mucca fa sì che tutti i suoi compagni di classe o quasi lo prendano in giro e uno in particolare che va pazzo per la discomusic e la febbre del sabato sera dice che non si è mai visto un disco con una mucca in copertina. Ma Federico non se la prende.
Quando esce da scuola torna a casa ogni volta per una diversa strada, che qui si chiamano borghi, ed esplora la sua città. Il centro della città è completamente diverso da dove stava prima, con le luci, i negozi e le case antiche e le chiese e a Federico piace molto.

Ma ogni tanto torna davanti alla vecchia casa e una sera che è già tardi, qualche giorno prima di Natale, passa davanti al bar e vede Gancio e Spado seduti come sempre a bere e parlare di musica, con il barista che si lamenta perché non se ne vanno mai.
“Guarda Asmo che se ce ne andiamo anche noi, qui dentro resti tutto solo, al buio e con la tua eterna puzza di bruciato, ma chi ti ha insegnato a usare la piastra dei toast?”.

Asmo? Ma che nome è? Federico non l’ha mai sentito, magari è un soprannome da cattivo come quello degli altri due.

“Ma vai a cagare! Che io facevo già questo mestiere quando voi due non eravate ancora nati”.
“Ecco, a questo ci credo. Toh, guarda chi c’è, è da un pezzo che non ti vediamo, dove sei finito ragazzino?”.

Federico ripensa a quella volta che il suo amico è stato investito dal camion e non ha più paura di quei due: “Ho cambiato casa, sono andato a stare in centro”.
“Ma bravo”.
“Ho anche comprato il disco nuovo dei Pink Floyd, me lo sono fatto regalare per Santa Lucia”.
“Hai capito il vagazzino? – Spado punzecchia l’amico – “hai fatto pvoseliti Gancio”.
“Pianta lì di rompere Spado. Dimmi ragazzo ti piace?”.
“È molto strano, però è bello, mi piace soprattutto quella dove ci sono i ragazzi che fanno il coro”.
“Sì, quella è la prima che hanno sentito tutti ed è bellissima. Bravo, ma adesso mi sa che è ora che vai a casa”.
“Sì, devo andare se no mi sgridano. Ma perché si chiama così il disco?”.
“Hai guardato bene la copertina ragazzo?”.
“Sì”.
“Allora? Cosa ti sembra?”.
“Un muro”.
“Esatto ragazzo. Siamo tutti mattoni dello stesso muro”.

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Arturo Pagnanelli è nato a Parma, dove vive e fa l’avvocato, 54 anni fa. È appassionato di libri e di musica Rock. Ama  la letteratura del 900 e fra i suoi autori preferiti ci sono Stefano Benni, John Steinbeck, ma anche il primo Alberto Bevilacqua e Leonardo Sciascia. I suoi miti musicali sono Bruce Springsteen, Elvis Presley, Robert Johnson, Cure, Clash, Rolling Stones e Beatles.