Detail of cover art from the 1974 album <em>Marvin Gaye Live!</em>

«Smoke», disse un giorno Marvin Gaye all’amico, collega e produttore Smokey Robinson, «è Dio che sta scrivendo questo album. Sta lavorando tramite me». Si riferiva a What’s Going On, che ha appena compiuto 50 anni (uscì nei negozi il 21 maggio 1971) e che tante testate internazionali, a cominciare da Rolling Stone, continuano a piazzare al 1° posto nella classifica dei dischi più belli e importanti di tutti i tempi. Prima di Bob Dylan, dei Beatles e dei Rolling Stones; prima del Van Morrison di Astral Weeks e dei Beach Boys di Pet Sounds.

Perché? Perché fotografa con una nitidezza impressionante e con una musica paradisiaca un luogo, un tempo e una comunità – l’America e la collettività afroamericana dei primi 70 – proiettando sul suo grande schermo panoramico tanti problemi universali o mai risolti: le guerre, la brutalità della polizia americana, la distruzione dell’ambiente, il futuro a rischio delle nuove generazioni, i ghetti degradati, le droghe distruttive, la recessione economica che allarga il solco tra ricchi e poveri, il bisogno di credere nell’amore e nell’aiuto di un’entità trascendente per sopravvivere a tanti orrori. Anche per questo, e non solo per le sue meravigliose canzoni, riascoltato oggi mette ancora i brividi.

Marvin Gaye (1939-1984)
© Jim Britt/Michael Ochs Archives/Getty Images

Erano gli anni del Vietnam, delle marce della pace, delle Pantere Nere, delle rivolte nei quartieri afroamericani di periferia, del crollo del programma di riforma sociale che Lyndon B. Johnson aveva annunciato agli inizi dei 60 promettendo la trasformazione degli Stati Uniti in una “Great Society”, di “Tricky DickyNixon che imbrogliava gli americani, dell’FBI che spiava e controllava chi metteva in discussione l’ordine costituito. Eppure in un città industriale, a forte densità black e problematica come Detroit, c’era un’isola apparentemente felice: la “Hitsville U.S.A.”, la fabbrica musicale della Motown che sotto la guida inflessibile del “padre padroneBerry Gordy Jr. sfornava successi a ripetizione con i ritmi inflessibili delle catene di montaggio della Ford. Autori, musicisti, arrangiatori vi lavoravano a tempo pieno, stipendiati e sotto anonimato per portare ai volti rassicuranti della giovane “Black America” le canzoni con cui far ballare, distrarre e divertire le masse raggiungendo anche il pubblico dei teenager bianchi.

Di quel mondo scintillante Marvin era il re, il sex symbol, l’uomo piacente, elegante e romantico dei duetti con Tammi Terrell, di How Sweet It Is To Be Loved By You e di I Heard It Through The Grapevine su cui tutte le ragazze facevano sogni inconfessabili. Ma il ruolo ormai gli stava stretto e i demoni lo tormentavano: devastato dalla morte di Tammi stroncata da un tumore al cervello, inseguito dal fisco per tasse non pagate, dilaniato dai rapporti tumultuosi con la moglie Anna (sorella di Gordy e coautrice anche in What’s Going On), indignato dalla deriva politica, economica e sociale del Paese, aperto alle istanze della controcultura e dell’underground, decide che è il momento di dare una svolta alla carriera e alla sua vita, in attesa un giorno – chissà – di sviluppare abbastanza muscoli per giocare nella squadra di football dei Detroit Lions, il suo desiderio proibito.

L’occasione gliela dà Renaldo “Obie” Benson dei compagni di scuderia Four Tops, che dopo avere visto dal finestrino del tour bus, nel maggio del 1969, la polizia picchiare senza pietà i dimostranti pacifisti a Berkeley, ha scritto con Al Cleveland 1 pezzo che riflette i tempi turbolenti e in cui si chiede cosa stia succedendo, proclamando che “la guerra non è la risposta” e che “solo l’amore può vincere l’odio”. Gaye lo modifica, lo adatta, lo integra e porta la sua “canzone di protesta” a Gordy, che però non vuole saperne di pubblicarla: «È la cosa peggiore che abbia sentito in vita mia», pare sia la sua prima reazione, prima di pronosticare un suicidio commerciale e la fine della carriera di Gaye, con cui un giorno, sul West Grand Boulevard davanti alla sede della Motown, si prende persino a cazzotti. Quando il singolo What’s Going On, pubblicato all’insaputa del boss dai suoi più stretti collaboratori, arriva al N°2 delle classifiche pop e al N°3 di quelle r&b vendendo 100.000 copie in 1 solo giorno e guadagnandosi spazio persino nelle playlist di alcune stazioni rock FM, Berry cambia immediatamente idea: ci vuole subito 1 album per cavalcarne l’onda, che Gaye completa con il suo team di fiducia in 10 furibondi giorni di lavoro in studio, baciato da una magica ispirazione e avvolto in una perenne nuvola di fumo di marijuana (salvo poi volare a Los Angeles e cambiarne completamente il missaggio in extremis).

Gaye l’avrà vinta su tutto, a quel punto: What’s Going On sarà il 1° disco della Motown confezionato in una elegante e costosa busta apribile, il 1° a riprodurre i testi delle canzoni, il 1° a riportare in primo piano il nome dell’orchestratore e arrangiatore David Van DePitte e nei crediti quelli dei musicisti che hanno partecipato alle session. Dentro e fuori, nell’involucro come nei solchi, tutto profuma di novità, a cominciare dall’aspetto di Gaye, che nelle foto di copertina appare pensoso e con una barbetta da leader rivoluzionario, l’impermeabile lucido di pioggia con il bavero alzato, sullo sfondo un parco giochi senza un’anima viva intorno. È un indicatore inequivocabile di quel che ci aspetta: musica per adulti, musica su cui riflettere, musica in cui per la prima volta Gaye non canta di amore terreno ed erotico ma di Dio e di amore universaleNon si parla di uomini e di donne in nessuna parte dell’album», ricorderà il coautore Elgie Stover confessando che prima di cantare Gaye si masturba in modo da togliere ogni ombra di sesso e di libidine dalla sua intonazione vocale).

In 35 minuti e ½ di musica fluida, onirica e dolcemente ritmata prende forma 1 ciclo di canzoni senza soluzione di continuità scritte e cantate dal punto di vista di un reduce dal Vietnam che non può non ricordare Frankie, il fratello di Marvin che nell’inferno verde c’è stato per davvero. “Una rivoluzione del suono e dello spirito”, scriverà il giornalista inglese Ben Edmonds, che nella straordinaria title track ha il suo imprinting: un chiacchiericcio di voci “da strada”; una frase struggente di sassofono che diventerà iconica (e che viene registrata all’insaputa di William “Wild Bill” Moore mentre il musicista si sta ancora scaldando per la session); i Funk Brothers alias il bassista James Jamerson, il batterista Uriel Jones e i chitarristi Robert White ed Eddie Willis che con il sostegno di congas e bongos creano i deep grooves su cui fluttuano le voci sovraincise di Marvin e dei coristi; lo scat vocale di Gaye che mima un altro assolo di sax; gli archi eleganti della Detroit Symphony Orchestra.

È il viatico a un flusso musicale impetuoso e avvolgente, in cui un soulespanso”, rilassato e sognante (effetto della ganja?) si imparenta con i fraseggi del jazz, avvolgendosi in lussureggianti arrangiamenti che richiamano la lezione di Duke Ellington così come una versione più meditativa, spirituale e “coltraniana” di quel soul orchestrale che Isaac Hayes sta sperimentando con successo alla Stax di Memphis. Il quadro di What’s Happening Brother, che ritrae una nazione e una comunità senza soldi e senza lavoro, ne è la coda e la continuazione, mentre Flying High (In The Friendly Sky) traduce in musica un volo verso un altro, pacifico universo, con i piatti della batteria a ricamare un tappeto costante e tintinnante.

Come Sly Stone nel contemporaneo There’s A Riot Goin’ On, Gaye fotografa il tumulto sociale in corso, ma a differenza del geniale e paranoico musicista di San Francisco offre una via d’uscita e musica molto più empatica. What’s Going On produrrà altri 2 megahit che ancora oggi ascoltiamo di continuo in radio e nelle colonne sonore di film e telefilm: Mercy Mercy Me (The Ecology) piange e denuncia – già allora – le violenze perpetrate sulla Natura e sul nostro povero pianeta usando una parola – ecologia – talmente inusuale, ai tempi, che Gaye deve spiegarne a Gordy il significato. È la faccia morbida e suadente del disco che contrasta con l’immortale riff di basso e il ritmo più pulsante di Inner City Blues, il ritratto dei ghetti che muoiono di fame mentre il Governo manda l’uomo sulla Luna, le bollette strangolano le famiglie povere, “il crimine aumenta” e “il panico si diffonde”: solo Curtis Mayfield saprà descrivere con lo stesso acume, la stessa compassione, la stessa rabbia e la stessa poesia la disgregazione delle comunità afroamericane nei quartieri degradati delle città.

Gaye invoca di salvare almeno i bambini e il loro futuro, facendo di Save The Children un toccante sermone soul jazz in cui doppia le frasi del testo fra canto e voce recitante, mentre ai ritmi latineggianti con flauto e pianoforte della lunga Right On, la breve God Is Love e Wholy Holy rispondono con preghiere assorte illuminate di bellezza radiosa. Sono titoli meno celebrati, ma dettagli e colori essenziali di un affresco che ha l’immediatezza di un murale e l’acutezza di un saggio sociologico, la profondità di un pensiero filosofico-religioso e l’emozione del soul più autentico. Come Bob Marley, Gaye sembra un profeta che mentre guarda con cuore addolorato e incrollabile speranza a quel che accade intorno, predice involontariamente anche il nostro presente e il nostro futuro, dilatando nel tempo e nello spazio il suo messaggio universale: solo la fede (in Dio, o in altri ideali ed entità) e la musica possono salvarci.