Un paio d’anni fa fui invitato a compiere un viaggio di studio in Siberia, in una vasta regione in gran parte disabitata e selvaggia grande più dell’Europa. Volai da Milano a Mosca. Poi, con la Transiberiana, sprofondai nella steppa dentro un mondo senza fine. Mi guidava un giovane naturalista dell’Università di Mosca, di nome Sasha, che ben conosceva quelle parti per esserci stato più volte. Giunti a Novo Sibirsk pernottammo in un buco di albergo che a chiamarlo cesso sei solo a metà strada.

Restammo nell’area per un paio di giorni e visitammo la città e dintorni. Praterie sconfinate circondavano le ultime case dove l’occhio andava a perdersi sulla linea dell’orizzonte in qualsiasi direzione guardassi. L’ultimo mattino di sosta a Novo Sibirsk facemmo colazione in albergo. Fu in quel momento che vidi nelle mani di Sasha un giornale locale. Era stampato in caratteri cirillici e io lo guardai un istante senza capirci in tubo.

Partimmo a bordo di un pick up giapponese, un Nissan Navara, che viaggiava da dio. Sasha guidava con notevole abilità. Sasha, come già sappiamo, era un giovane naturalista che amava la natura più di quanto amava sé stesso. Faceva la guardia forestale e viveva in una baita d’alta montagna per sei mesi all’anno. Il resto lo passava all’Università di Mosca. Era il custode di un grande parco naturale del quale conosceva animali e alberi, ruscelli e sentieri, valli e canaloni. Il suo lavoro consisteva principalmente nel proteggere gli animali del parco dalle trappole dei bracconieri. Viveva solo, ma la solitudine gli era del tutto estranea. Aveva tanti amici lassù, come confessava dentro un sorriso di denti bianchissimi: i camosci delle rupi che gli leccavano il sale dalle mani, i conigli selvatici e le lepri che sgattaiolavano tra le sue gambe senza timore. Gli era grande amica anche l’orsa delle alte caverne, perchè un mattino di luglio le aveva salvato il cucciolo precipitato in fondo a un dirupo. Perfino il falco e l’aquila lo guardavano con sguardi amici. Inoltre Sasha aveva un cane, un pastore siberiano di nome Ljuba, che non lo lasciava mai, neanche per un momento.

Un frizzante mattino il giovane Sasha ed io salivamo al Passo del Lupo. Strada facendo, Sasha mi invitò a fare una sosta sopra uno spuntone di roccia dal quale si godeva lo spettacolo di verdissime colline che salivano rapide a diventare montagne, in fondo alle quali saltavano come cerbiatti impetuosi torrenti.

Dopo una lunga osservazione in religioso silenzio, Sasha prese improvvisamente a parlare. Aveva premura nel formulare le parole, tanto da farmi capire l’importanza che aveva per lui quanto andava raccontandomi. Giusto un anno prima saliva al Passo del Lupo con la fedelissima Ljuba. La sua meta erano le terre alte sopra i duemila metri, regno di camosci e stambecchi. Lassù viveva Macchia Bianca, una bella camoscia riconoscibile da un ciuffetto di peli bianchissimi che le spuntavano al centro del cranio. L’aveva lasciata qualche tempo addietro che già mostrava la sua condizione di futura mamma ed ora voleva accertarsi che i cuccioli e lei stessa fossero in buona salute.

Ljuba si arrampicava dietro di lui e ansimava come un vecchio ronzino. In prossimità del passo Sasha fece una sosta per prendere fiato. Stava per bere un sorso d’acqua dalla borraccia che teneva al collo quando una visione gli traversò la mente rapida come il lampo: due occhi gialli dentro un muso a punta. Sasha scosse il capo e portò di nuovo la borraccia alla bocca. E ancora quell’immagine gli passò velocissima tra i pensieri: due occhi gialli dentro un muso a punta.

Mosso dalla spinta che gli avevano trasmesso quei profondi occhi gialli, Sasha si precipitò a valle, seguito da Ljuba che aveva preso a latrare furiosamente. Il giovane saltava tra i massi a rompicollo. Poi, di colpo, la sua corsa fu bloccata contro un fitto cespuglio di more. E subito lo scorse: un volpacchiotto imprigionato in una tagliola.

Sasha volò a liberarlo. Mentre allargava a fatica le taglienti ganasce della tagliola, gli occhioni gialli dell’animale lo fissavano intensamente. Come riuscì a liberarlo Sasha si accorse che la ferita sanguinava ma, per sua fortuna, non c’era ombra di fratture. Sasha raccolse il volpacchiotto tra le braccia e decise di portarlo subito alla baita per prestargli le prime cure. Ljuba gli saltellava intorno eccitata e felice.

Giunto alla casetta, Sasha depose l’animale al suolo e lo osservò con attenzione. Si trattava di un esemplare giovane e ben fatto, ma ciò che lo colpì fu altro: la volpe aveva una stranissima macchia di colore verde sul groppone che pareva stampata. Il fatto lo interessò, ma non riuscendo a spiegarselo passò a disinfettare la ferita e a coprirla con una leggere fasciatura. Subito dopo l’animale si alzò, si stirò e trotterellò nel bosco senza alcuna fretta.

“Grazie dell’assistenza!“, gli urlò dietro Sasha.

Nuove stranezze, però, gli dovevano venire dal bizzarro animale. Ben presto Sasha ebbe la conferma di un vago sospetto che lo aveva turbato fin dal primo incontro: la volpe era telepatica. O, almeno, sapeva trasmettere ad altri talune forti sensazioni che le colpivano l’istinto.

Nei giorni a seguire capitava che gli occhi gialli dell’animale gli venissero improvvisamente alla mente, com’era già accaduto nell’occasione del primo incontro. E allora doveva correre da lei sempre guidato dalla capacità sensoriale dell’animale. Ciò succedeva quando la volpe necessitava di qualche cosa: dell’acqua, del cibo. Oppure occorreva rifare la fasciatura alla zampa.

Sasha provava un certo sgomento poiché si era reso conto che non poteva resistere ai comandi mentali della volpe. Ljuba, poi, si comportava con lei come una madre. La leccava, la carezzava. Cercava, addirittura, di farla giocare. La volpe, soddisfatte le proprie impellenti necessità, prendeva tranquillamente il largo.

Un pomeriggio al tramonto, Sasha ebbe la solita visione della volpe e sentì che era guarita. Al comando mentale si portò dietro la baita e la vide reggersi sulle quattro zampe. Allora le sciolse la fasciatura e massaggiò lievemente la zampa. Lei lo fissò un istante con i suoi grandi occhi gialli e poi mosse qualche passo verso il laghetto che sorgeva pochi metri più in là. Ljuba le razzolava intorno e appariva molto eccitata. La volpe, stranamente, digrignò i denti quasi che la presenza del cane la infastidisse. Ljuba si allontanò con un guaito. Mentre osservava la scena dalla porta di casa giunse alla mente di Sasha un nuovo messaggio della volpe. L’animale gli comunicava che Ljuba gli aveva trasmesso le pulci e che esisteva un solo mezzo per liberarsene. Occorreva perciò che lui le procurasse subito dell’erba. Sasha conosceva bene quell’ingegnosa astuzia delle volpi quando vengono assalite dalle pulci e raccolse subito un bel mazzo d’erba che lasciò cadere davanti al muso dell’animale.

La volpe prese subito a masticare l’erba. Masticò a lungo e ne fece una specie di palla grossa come un gomitolo di lana. Quindi la serrò tra i denti e trotterellò verso il laghetto nel solito modo. Giunta all’acqua vi si immerse lentamente.

Sasha e Ljuba la osservavano, immobili sulla riva. Col muso alto e la palla d’erba tra le zanne la volpe scomparve sott’acqua. Rimase a galla soltanto la palla d’erba che galleggiava pigra verso la riva.

Sasha si chinò sull’acqua e notò che l’ingegnoso sistema per liberarsi dei molesti insetti aveva funzionato ancora una volta. La palla d’acqua, infatti, appariva nera di tutte le pulci che un istante prima infestavano la folta pelliccia della volpe.

A quel punto il giovane si aspettava di veder ricomparire in superficie la bella testa. Tutto ciò non accadde. Lunghi minuti trascorsero, ma la volpe non riemerse.

Sasha si curvò di nuovo sull’acqua e aguzzò lo sguardo per vedere meglio, ma vide soltanto acqua chiara che tremolava sopra il basso fondale.

Il resoconto di Sasha finisce qui. Ora vi chiederete se anch’io, come il giornalista che ha esteso l’articolo, creda a questa curiosa storia. Onestamente non so a cosa pensare. E voi?

Fra i romanzi di  Sergio Cioncolini pubblicati da Pendragon ricordiamo Il cortile del diavolo (2011), I giorni corti (2012), Andava a veder morire i piccioni (2014), L’albero delle bionde (2015), Un’isola sottovento (2016), Un coltello di ceramica verde (2018), Danni collaterali (2019) e Vacanza di sangue (2020).