L’interiezione musicale Paraponziponzipò è stata definitivamente bandita. Un tempo accompagnava gli stornelli romaneschi piccanti e pertanto interdetti ai passaggi radiofonici, ma dal 1962 era stata abilitata all’ascolto da Edoardo Vianello grazie alla popolarissima I Watussi. Quegli “altissimi negri” oggi, ovviamente, sono stati soppressi dal “politicamente corretto”. Vianello e i suoi estimatori devono accontentarsi di tremarelle e abbronzatissime. Il rischio è il capitombolo occorso a Fausto Leali: una carriera decorosa con l’etichetta di “bianco con la voce nera” compromessa da una Angeli negri di troppo che gli è costata addirittura l’espulsione dal Grande Fratello VIP. Eppure quel brano aveva rinsaldato nel 1968 la fama di Leali dopo l’affermazione di A chi.

La copertina del 45 giri di I Watussi, brano scritto nel 1963 da Edoardo Vianello e Carlo Rossi

Erano decisamente altri tempi, in cui il linguaggio e il comportamento sociale diretti a scongiurare ogni tipo di offesa verso determinate categorie di persone, erano concetti astratti, impensabili. Soprattutto per un motivetto musicale. Distinguere e citare il colore della pelle non incuteva disagio. La canzone Angeli negri nata in Messico nel 1946 aveva incontrato in Italia il favore del pubblico già nel 1949, incisa da Carlo Buti, capostipite dei melodici italiani, diventando un disco da hit parade 10 anni dopo nell’interpretazione di Don Marino Barreto Jr, cubano dalla pelle scura beniamino del pubblico nostrano. Ricalcando Angeli negri, il pur pallidissimo Ricky Gianco nel 1964 aveva cantato una terribile Cuore di negro scritta da Antonello Branca e Giovanni Ornati: “Signore so che tu capirai anche un negro. / Lo so che saprai aiutar anche un negro. / Cos’ha la mia pelle? Perché l’altra gente non mi ama come te?”. Non passò mai in televisione ma ci è rimasto di quel brano un compromettente filmato a colori realizzato per il Cinebox.

Le esibizioni di Don Marino Barreto Jr. , Fausto Leali, Antoine e Nino Ferrer: quando il “politicamente corretto” non faceva differenze di colori. Dal programma Segreti Pop, la musica vietata di Michele Bovi, trasmesso da Raiuno nel 2014 con la conduzione dell’avvocato Italo Mastrolia

Già nel 1967 le canzoni giocavano con frequenza e disinvoltura su quel tema: mentre l’italo-francese Nino Ferrer furoreggiava in tutta Europa intonando Vorrei la pelle nera, il francese Antoine guadagnava il vertice della classifica con il brano Cannella: La chiamerò Cannella per il colore che ha / la pelle di Cannella impazzire mi fa / se dico così una ragione ce l’ho: io sono bianco e lei no”. Testi scritti per negligenza, burla, satira o surrettizio razzismo? Interrogativi che 50-60 anni fa gli italiani non si ponevano, meno che mai appunto per le canzoni. Specificatamente la figura dello straniero avviato a introdursi e a conquistare spazi che si ritenevano riservati ai soli cittadini dello Stivale, esordì nella musica pop italiana nel 1969 senza suscitare alcuna protesta: in quell’anno Bruno Lauzi, ovvero uno dei padri della nostra canzone d’autore, scrisse e incise Arrivano i cinesi, con uno scherzoso testo che preannunciava l’invasione di quei “piccoli e veloci” orientali “più gialli dei limoni che metti dentro al tè”. Lauzi ammoniva: “Arrivano i cinesi, succede un quarantotto, si piazzano in salotto e non se ne vanno più. Arrivano i cinesi e mangiano felici le quaglie e le pernici che avevi preso tu”.

Ricky Gianco canta Cuore di negro nel filmato realizzato nel 1964 per il Cinebox dalla SIF (Società Internazionale di Fonovisione)

Persino la violenza contro le donne veniva cantata sfrontatamente senza provocare la benché minima rimostranza. Piero Ciampi, ancora oggi rimpianto e ricordato come uno tra i più raffinati autori del nostro panorama musicale, poteva nel 1971 esibirsi in televisione con la sua Ma che buffa che sei e cantare “Quel pugno che ti detti è un gesto che non mi perdono. Ma il naso ora è diverso: l’ho fatto io e non Dio”.

Il Piero Ciampi violento e impunito di Ma che buffa che sei, dal programma Eventi Pop: i trasgressivi di Michele Bovi, trasmesso da Raidue nel 2004

Tuttavia il primato dell’esilarante temerarietà pop spetta senza dubbio a una canzone del 1965. Il tema era quello della droga, quando l’allarme per l’uso degli stupefacenti era ancora relativamente lontano. Il brano, scritto dal compositore milanese Walter Malgoni (lo stesso di Guarda che luna per Fred Buscaglione e Tua per Jula De Palma) con il testo di Gustavo Palazio, paroliere ma anche autore televisivo e sceneggiatore cinematografico, s’intitolava Cocaina. A interpretarlo era Giovanna Spagnulo, in arte Gianna, voce solista dei Cantori Moderni di Alessandroni, il gruppo musicale più impegnato negli anni 60 per le colonne sonore cinematografiche sotto la direzione dei principali compositori del settore: da Ennio Morricone a Bruno Nicolai. In Cocaina, Gianna raccontava allegramente di aver acquistato una bustina della sostanza in un vecchio tabarin per 30.000 lire e di averla nascosta, affinché la mamma non se ne accorgesse, in un vasetto di zucchero vanigliato. Il caso, però, volle che quella polvere finisse in una torta servita per merenda a tutta la famiglia riunita in salotto, assieme a ospiti vari, addirittura il parroco. Come finì? “Tutti a godere senza freni. – gorgheggiava Gianna – Ma che strana polverina la cocaina!”. Roba da far illividire le omonimìe di Eric Clapton e tutte le Rolls Royce di Achille Lauro.

La copertina del singolo Cocaina, canzone scritta nel 1965 da Walter Malgoni e Gustavo Palazio per la voce di Gianna (Giovanna Spagnulo, solista dei Cantori Moderni di Alessandroni)

I campanelli d’allarme, negli anni 60, squillavano solo per la politica e il sesso. Con punte da brivido per l’omosessualità. Bastava un falsetto per insinuare il sospetto: l’Equipe 84 fu censurata nel 1965 dalla RAI perché nell’interpretazione di Prima di cominciare i 2 cantanti Maurizio Vandelli e Franco Ceccarelli usavano “vocine” e mosse giudicate formalmente equivoche. Lo stesso gruppo fu un anno dopo penalizzato dalla radio per il testo di Auschwitz, scritto da Francesco Guccini, giudicato socialmente aspro. Insomma, erano gli eccessi a preoccupare: il troppo duro e il troppo tenero. Nessun timore per il colore. In fondo la tv era in bianco e nero.

Alfio Cantarella, già batterista dell’Equipe 84, racconta le censure a Auschwitz e Prima di cominciare. Dal programma Segreti Pop, la musica vietata di Michele Bovi, trasmesso da Raiuno nel 2014